giovedì 12 settembre 2013

Per andare contro i Marò l’Espresso aggiunge le sue menzogne a quelle degli indiani


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Nel presentare la sua collezione primavera-estate di notizie false o manipolate, già lo scorso mese di gennaio la sinistra forcaiola filo rossotogati giustizialisti ha schierato in campo una delle sue punte di diamante, il Fatto Quotidiano, che ha messo in discussione le critiche alla perizia balistica relativa all’uccisione dei due pescatori indiani della quale sono accusati i Marò. 
Una perizia effettuata in modo a dir poco approssimativo da presunti esperti indiani e della quale il perito balistico Luigi Di Stefano ha evidenziato omissioni, manipolazioni ed incongruenze. In quel caso, ovviamente, non potendo contestare le conclusioni nel merito, il FQ ha agito come fanno a sinistra quando mancano loro argomenti di discussione: mettono in modo la macchina del fango per minare o distruggere la credibilità dell’avversario di turno. Per cui le controdeduzioni della difesa dei Marò sostenute da Luigi Di Stefano sono false perché questi non è laureato in ingegneria, non è iscritto ad alcun albo professionale, ma soprattutto perché, orrore e sacrilegio, sarebbe un simpatizzante di Casa Pound. Perché essere un simpatizzante di destra inficia le prestazioni di un normale professionali, mentre essere un militante della sinistra barricadera alla Ingroia migliora le qualità professionali persino di un giudice cui si richiede almeno di essere imparziale.

Ora, volendo andare in fondo, sarebbe facile contraddire il fogliaccio orchestrato, più che diretto, da Antonio Padellaro. Noi ci limitiamo a segnalare che Di Stefano viene chiamato ing. solo dagli ignoranti, giornalisti e non, perché dovrebbe essere risaputo che chiunque consegua un diploma in materie tecnico-scientifiche in America è definito engineer, che non si traduce ingegnere, ma esperto tecnico. Luigi Di Stefano ha conseguito negli USA un diploma presso l’istituto para-universitario Adam Smith University, per cui laggiù è definito un engineer, e non è colpa sua se poi qualcuno in Italia lo chiama ingegnere invece che perito. 
Quando Di Stefano, in veste di consulente del tribunale di Palermo, con la sua perizia ha contribuito a stabilire che l’aereo Itavia ad Ustica era stato abbattuto da un missile, allora era bravo, non era fascista ed era attendibile perché accreditava e dava peso all’ipotesi antimilitarista che la sinistra aveva avanzato, che coinvolgeva nelle responsabilità per l’abbattimento del velivolo civile alleati NATO dell’Italia. Per meglio supportare le sue infondate supposizioni sulla colpevolezza dei Marò, il FQ arriva addirittura a definire Freddy Bosco, che ha la colpa di essersi contraddetto clamorosamente portando acqua al mulino della difesa dei Marò, come un personaggio fantomatico, il “presunto comandante-proprietario” del St Antony, il peschereccio sul quale sono stati uccisi i due pescatori indiani. Fantomatico? Presunto?

Freddy Bosco è vivo e vegeto, esiste, ed è il testimone chiave dell’inchiesta della polizia indiana sui Marò, il personaggio intervistato dalla televisione indiana Venad News nel Kerala la notte del 15 febbraio del 2012, alle 23.30 circa, appena messo piede sul molo del porticciolo di Neendankara prima che il St Antony fosse rimorchiato a Kochi. In una intervista rilasciata alla giornalista Fiamma Tinelli del settimanale Oggi, di cui esiste la registrazione, Bosco afferma che è stata la polizia del Kerala ad informarlo che la nave da cui gli avevano sparato era la Enrica Lexie. Poi conferma che loro non viaggiavano in rotta di collisione con la Lexie, ma su rotta parallela e verso opposto che avrebbero portato il St Antony ad incrociare la petroliera indiana. 
Però, lo stesso Bosco racconta che lui non era in coperta al momento dell’incidente, ma era sotto a dormire con gli altri 9 pescatori. Ma allora come faceva a sapere tutto quello che stava accadendo, tranne che il nome della nave aggressore? Troppe contraddizioni, per questo il FQ lo scarica attaccandosi alle conclusioni infondate della polizia del Kerala più allineate a sostenere la tesi colpevolista a priori che tanto gli piace. Va peraltro precisato che Bosco è talmente reale che ha ottenuto il dissequestro del St Antony, cioè della scena del crimine, che ha provveduto a far rottamare. Due piccioni con una fava: come parte civile, lui spera di ottenere un risarcimento più alto per un peschereccio fatiscente da disarmare che ora nessun assicuratore può periziare, mentre la polizia keralese toglie di mezzo una prova imbarazzante della infondatezza della sua ricostruzione precostituita dei fatti.

Ben più in alto del FQ mira l’ammiraglia della disinformazione della sinistra, l’Espresso, il settimanale che per la sinistra è la Bibbia, essendo il ruolo di Vangelo affidato alla Repubblica. Forse per rifarsi dall’infortunio patito con lo scoop rivelatosi una bufala del riciclaggio di capitali in Costa Rica da parte di Grillo, allora da punire perché reo di non aver voluto “aiutare” Bersani a distruggere il Paese, in un articolo di qualche settimana fa a firma di Matteo Miavaldi dal titolo: “Marò in India, tutte le balle di Canale 5“, rivolge uno spietato atto di accusa al giornalista Toni Capuozzo, un altro che era bravo sino a poco tempo fa, prima che prendesse a cuore la vicenda dei Marò che anche a suo modo di vedere sono oggetto di una miserabile messinscena da parte di politici (di sinistra), inquirenti e stampa indiana. Nel suo affondo, l’Espresso attacca furibondamente Toni Capuozzo del quale contesta come false e volutamente inventate le argomentazioni con le quali il vicedirettore di Canale 5 ha smontato la testimonianza di Freddy Bosco e la ricostruzione di quanto accaduto e che ha portato all’uccisione dei due pescatori indiani. Il perno di questo j’accuse contro Capuozzo sono gli orari degli spari dalla Lexie e quello in cui sono morti i pescatori.

Come abbiamo più volte sottolineato, nell’intervista televisiva rilasciata a caldo al suo arrivo a Neendankara alle 23.30 circa del 12 febbraio 2012, Freddy Bosco ha fatto tre dichiarazioni importanti. La prima, che l’incidente era avvenuto alle ore 21.30 circa, quando ha sentito degli spari ed il tonfo di uno dei pescatori caduto sul ponte colpito a morte. Ragione per cui lui uscito allo scoperto, essendo buio, non era riuscito a leggere il nome della nave che li sovrastava. Poi che lui era sottocoperta, per cui non ci sono testimoni oculari sul St Antony. 
Poi ha detto che gli spari si sono protratti per circa un minuto e mezzo. Poichè il dispaccio che informavano dell’incrocio di un natante di presunti pirati è partito dalla Lexie alle 19.15 circa, le dichiarazioni del comandante del peschereccio, immortalate nel video originale del network Venad News cui si è rifatto Capuozzo, rappresentano una clamorosa sconfessione del teorema costruito dagli inquirenti indiani. Infatti, i Marò come avrebbero potuto uccidere due pescatori alle 21.30 sparando 5 ore prima che ciò accadesse? Una vera pietra tombale sulla validità dell’inchiesta, che fa completamente scagionare i Marò non come innocenti, ma come assolutamente estranei ai fatti.

Come fare allora a continuare ad accusare Latorre e Girone? Impossibile per chiunque a questo punto, tranne che per loro della sinistra. Le dichiarazioni di Bosco non collimano, ma anzi distruggono il castello accusatorio? Facile per la sinistra trovare la via d’uscita ad una situazione apparentemente senza sbocco: basta aggiungere un corollario al teorema accusatorio. Sentite cosa racconta Miavaldi: “Nel video utilizzato da Capuozzo……(omissis) pare proprio che Freddi indichi le 21.30. La traduzione è stata confermata da amici fluenti in malayalam (si noti come l’Espresso conti in India amici, ma solo tra gli accusatori dei Marò. Evidente la persecuzione tentata nei loro confronti, ndr). Ma la stampa indiana non ha mai riportato questa versione (per forza, hanno famiglia pure i giornalisti indiani, ndr) così ci è venuto il dubbio che si trattasse di un abbaglio, di una tara messa alle dichiarazioni di una persona in completo stato di shock : Freddy arriva in porto alle 23, balbetta, mischia malayalam e tamil, ripete più volte le stesse frasi”.

Ecco fatto. Per FQ Freddy manco esisteva, era fantomatico. Per l’Espresso, dopo che gli amici indiani fluenti in malayalam gli hanno confermato l’esistenza di Freddy, questo è solo un povero psicopatico frastornato, del quale vanno considerate solo le affermazioni palesemente contraddittorie che incastrano i Marò, mentre quelle rilasciate spontaneamente che li scagionano vanno prese con le pinze, perchè rilasciate da una persona sotto stress che non ragionava. All’Espresso serve dimostrare che ai pescatori i Marò hanno sparato alle 16,30 per cui il fatto che Freddy dichiari invece che gli hanno sparato addosso alle 21.30 è solo conseguenza del suo sconvolgimento. 
Sconvolto alle 23.30, quando è arrivato, a sette ore dai fatti secondo la ricostruzione indiana sposata da FQ? E se veramente gli hanno sparato alle 16.30 come dopo ha dichiarato imbeccato ed istruito dalla polizia del Kerala, perchè ha avvertito la guardia costiera solo alle 21.30 passate e perchè ha impiegato ben sette ore a percorrere meno di 20 miglia? Questo FQ non se lo chiede, non gli conviene chiederselo salvo poi dover ammettere che Freddy mente e che le accuse rivolte ai Marò sono interessate, infondate, false e campate in aria.

Ma il meglio deve ancora venire. Per dare una parvenza di credibilità alle sue affermazioni Miavaldi ritiene di aver trovato una falla nel “castello di fandonie” inventato da Capuozzo, questa. Qui lui si riferisce ad un messaggio che la capitaneria di Kochi avrebbe inviato alla Lexie alle ore 16.06 utc. L’UTC è il tempo universale coordinato, che molto più correntemente viene indicato come GMT, ovvero Greenwich Mean Time che fa riferimento all’ora del meridiano di Londra. Poichè per una strana scelta il fuso orario dell’India anticipa di 5 ore e 30 min l’ora di Londra, le 16.06 utc corrispondono alle ore 21.36 local time. In questo messaggio delle 21.36 si fa esplicito riferimento ad una conversazione con la Lexie avvenuta alle 13.30 utc, cioè, aggiungendo 5 ore e 30 min, alle 19.00 locali. Siccome i Marò possono provare e sostenere di avere inviato l’informativa dell’incidente solo alle ore 19.16 locali alle preposte autorità, l’MSCHOA (Maritime Security Center Horn of Africa) ed UKMTO (Centro Operativo per la Marina Commerciale situato in Inghilterra), l’Espresso ne deduce che la Lexie ed i Marò non erano affatto in buona fede e che la e-mail inviata alle 19.16 era solo uno stolto tentativo per precostituirsi un alibi. E Miavaldi si chiede quindi tendeziosamente: come faceva la guardia costiera indiana a sapere alle ore 19.00 di un incidente denunciato alla 19,16? Ovvio, concludono, che fossero già informati e che la Lexie reagì solo dopo aver preso coscienza di questo fatto.

Questo corollario dell’Espresso al teorema accusatorio indiano è infantile e patetico, oltre a dimostrarsi un obbrobrioso miscuglio di falsità ed imprecisioni. Intanto la e-mail in oggetto, quella delle ore 21,36, che ben conosciamo per averne preso visione, è indirizzata sì alla enricalexie@fratellidamato.com, ma non dalla capitaneria di Kochi, bensì dall’MRCC (Maritime Rescue and Coordination Center, ovvero il Centro per il Coordinamento ed il Soccorso Marittimo) dell’area indiana, che sorge a Mumbay ed al quale le navi in navigazione nell’area sotto suo diretto controllo sono tenute a comunicare ogni notizia rilevante per la sicurezza della navigazione. 
Per i Marò, la presenza di una barca con presunti pirati costituiva un pericolo per i naviganti, specie per quelli sprovvisti di protezione armata, quindi hanno fatto esattamente quello che era loro dovere fare, ed hanno avvertito l’MRCC di Mumbay. Inoltre, se Miavaldi avesse letto con attenzione il testo della e-mail si sarebbe accorto che mentre l’ora di trasmissione, le ore 4.06 pm utc, ovvero le 21.36 locali, è stata stampata direttamente per default dal sistema di trasmissione, nel testo si riferisce un orario indicativo, valutato grosso modo, presumibilmente da un sottoposto cui un graduato aveva girato l’incarico di inviare la e-mail alla Lexie. Infatti si legge letteralmente: “dear master, refer to telecon todate at AROUND 13.30….”, cioè, “gentile comandante, con riferimento alla conferenza telefonica di oggi ATTORNO alle ore 13.30….” Quindi non si afferma nel messaggio che fossero le 13.30 precise, ma all’incirca. Messaggio che viene concluso con la richiesta alla Lexie di mettersi in contatto con la capitaneria di porto di Kochi per riferire l’accaduto (You are requested to head for Kochi, and establish communication with Indian Coast Guard on channel VHF 16 telephone 91 494 2217164 and 2289169 for further deposition/clearification. 
Request ETA Kochi. Regards MRCC Mumbay, cioè : vi preghiamo di far rotta su Kochi e di stabilire un contatto con il guardacoste indiano sul canale 16 VHF. Chiedere di ETA Kochi, telefono numero….per ulteriori deposizioni e chiarimenti. Saluti, MRCC). Questo messaggio dimostra esattamente il contrario di quanto l’Espresso vorrebbe sostenere. Infatti, esso evidenzia che i Marò informarono, direttamente o tramite qualcuno della Lexie, dell’incidente avvenuto non la guardia costiera a Kochi, bensì l’MRCC a Mumbay. E’ stato l’MRCC poi a chiedere ai Marò di informare Kochi e ciò è potuto avvenire solo dopo aver ricevuto il messaggio in oggetto che, ribadiamo, porta impressa come ora di trasmissione le 21.36. Sino a quell’ora a Kochi nulla sapevano dell’incidente perchè sempre il testo del messaggio evidenzia che è stato Mumbay a richiedere ai Marò la cortesia di avvertire la capitaneria del porto di Kochi.

In conclusione, l’affermazione dell’Espresso che a Kochi erano informati dell’accaduto prima ancora di esserne informati dai Marò è FALSA e destituita di qualsiasi fondamento. Pertanto, si conferma che la Lexie ed i Marò ritornarono spontaneamente a Kochi, convinti come erano di collaborare con le autorità indiane al riconoscimento di una barca di pirati. Se fosse andata come sostiene Miavaldi, vi pare che i Marò sarebbero stati così stupidi da consegnarsi agli indiani?

Già che ci siamo ci preme di sgombrare il campo da un’altra fandonia propalata dalla sinistra e dalla sua stampa faziosa e complottista. Nello stesso articolo di Miavaldi sull’Espresso si richiama un rapporto ad uso interno della Marina Militare italiana redatto dall’ammiraglio Alessandro Piroli, l’ufficiale più alto in grado inviato in India subito dopo l’incidente, pubblicato in esclusiva su Repubblica. Sulla base delle deduzioni del Piroli, il giornale raggiunge la conclusione attribuita all’ammiraglio che ad uccidere i pescatori indiani siano stati i Marò, ma non il maresciallo Latorre ed il sergente Girone, bensì altri due componenti del nucleo di protezione militare imbarcato sulla Lexie. 
Premesso che alle perizie non furono ammessi esperti balistici italiani, tranne che consentire una presenza di due funzionari dei RIS, inutile, solo da silenti osservatori, si deve evidenziare come esistano clamorose discrasie, discrepanze e contraddizioni nelle conclusioni delle perizie stesse. Senza dire delle omissioni di dettagli e del ricorso a procedure non standard che non le farebbero riconoscere come legalmente valide da nessun tribunale del mondo. L’anatomopatologo prof Sisikala, un esperto, un vero luminare in materia visto le decine di cadaveri di pescatori indiani uccisi dalla guardia costiera dello Sri Lanka che gli sono passati tra le mani, redasse il suo rapporto in modo strano ed inusuale, fornendo comunque indicazioni sufficienti a far stabilire che il calibro dei proiettili era un 7,62 da 31 millimetri, non compatibile con quelli in dotazione alla Nato. 
Per fare ritornare i conti, le perizie sono state più volte manipolate e ritoccate a mano e con macchine da scrivere tra loro incompatibili, sino a far passare cartucce originalmente identificate per 7,62x54R compatibili con le mitragliette PK, in dotazione alla marina dello Sri Lanka, con quelle 5.56×45 compatibili con i fucili Beretta AR 70/90 in dotazione dei Marò.

Sulla base di queste informazioni imprecise e frammentarie riferite dagi indiani e tutte da verificare, l’ammiraglio Piroli ha concluso che a sparare certamente non furono Latorre e Girone, ma senza poter escludere che a farlo possano essere stati altri tra i sei Marò a bordo. Bisogna però ricordare che i quattro Marò colleghi di Latorre e Girone furono trattenuti per due mesi nel porto di Kochi, con la polizia che ha perquisito minuziosamente e per settimane la nave e passato in rassegna tutte le armi disponibili a bordo. 
Perchè tutto questo tempo? Chiaro che cercavano qualcosa che non riuscivano a trovare perchè non c’era, tanto che ancora oggi non di dispone di un rapporto ufficiale delle risultanze delle perizie balistiche. Vi pare che se la polizia indiana avesse rinvenuto subito ed in modo trasparente i fucili che hanno ucciso i due pescatori sulla Lexie non avrebbero annunciato l’evento con tono trionfante per aver finalmente incastrato i responsabili? Invece tutto tace su quel fronte, segno evidente che gli indiani nulla di concreto hanno in mano. Per cui la conclusione dell’Espresso e La Repubblica che ad uccidere i pescatori indiani furono comunque due dei Marò a bordo della Lexie è infondata e palesemente tutta da dimostrare, ammesso che sia ancora possibile farlo.

Sposando acriticamente la tesi colpevolista degli indiani l’Espresso avalla e condivide anche il fatto che la polizia del Kerala abbia assimilato quell’omicidio, per il quale la stessa Corte Suprema riconosce che nel caso si è trattato di un errore per essere stati i pescatori scambiati per pirati, ad un atto di terrorismo, tanto che istruttoria e processo dei Marò sono stati affidati alla NIA, la struttura antiterroristica indiana. 
La motivazione per questo gravissimo atto d’accusa che comporta d’ufficio la pena capitale per impiccagione, scaturisce dal fatto che i Marò avrebbero aperto il fuoco senza preavvertire i pescatori. In particolare, anche concesso (dalla polizia indiana) che i Marò abbiano tentato contatti radio e fatto segnalazioni visive, viene contestato ai Marò di non avere attuato le segnalazioni sonore che sarebbero state quelle più efficaci in quelle circostanze. 
Questa tesi è condivisa pari pari dalla nostra stampa di sinistra e rappresenterebbe, a loro dire, un segnale forte della malafede dei Marò ed una prova evidente della loro colpevolezza. Tutto FALSO, perchè è una conclusione sbagliata che nasce da una interpretazione distorta e malintesa di una dichiarazione del capitano della Lexie Umberto Vitelli. A precisa domanda se avesse inteso i Marò attuare le segnalazioni sonore, lui rispose di no. Ma non perchè non ci furono segnalazioni, ma perchè a farle fu lui, non i Marò. Era così spaventato e convinto lui stesso di essere sotto attacco di pirati perchè quel battello che arrivava da 2,8 miglia di distanza si era avvicinato a meno di mezzo miglio nonostante tutte le segnalazioni visive e radio, che fu lui stesso a mettere in azioni tutte le sirene della nave solitamente utilizzate in caso di fitta nebbia. 
Ma la stampa nostrana prende per buone le dichiarazioni degli indiani, che della risposta di Vitelli hanno solo riportato il “no”, ma hanno omesso che i pescatori furono avvisati con le sirene da lui stesso. A proposito, Freddy Bosco tra tante altre cose non ha mai parlato di sirene, eppure le avrebbe dovute sentire a 50 metri di distanza. Ci dica la verità : ma dove stava con il St Antony lui alle 16.15 del 15 febbraio del 2012 visto che per lui era buio alle 16.15 per cui non ha visto il nome della nave, che avrebbe aspettato sei ore ad avvertire Kochi della morte dei due pescatori, che ne ha impiegate sette per percorrere 20,5 miglia (ma stava col pattino? ndr) e che ha distrutto il suo battello prima che potesse essere visionato e periziato. 
Senza dire della bufala che i Marò avrebbero sparato per circa un minuto e mezzo. In quel lasso di tempo l’avrebbero annaffiato con quasi 6mila proiettili micidiali. Se fosse stato vero, il St Antony sarebbe andato in mille pezzi e lui ed i nove superstiti non avrebbero mai potuto raccontare la loro disavventura. Una panzana, anzi una favoletta cui possono dar credito solo i beceri figuri di una sinistra avvelenata dall’odio antagonista. Non perchè ci credano, ma perchè gli fa comodo fingere di crederci. 

Fonte:  http://www.qelsi.it/

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