sabato 30 novembre 2013

Le vicende del Caso Lexie, di Roberta De Luca

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Il 15 febbraio 2012 segna l’inizio di quello che sarà definito caso Lexie (o caso maró): il peschereccio Sir Anthony di colore bianco, al largo delle coste Indiane, viene coinvolto in un conflitto a fuoco in cui trovano la morte Valentine Jalestine e Ajesh Binkuil per un colpo di arma da fuoco  rispettivamente alla testa ed al cuore. 

Approdato al porto di Kochi alle ore 18.20 l’equipaggio del natante denuncia l’accaduto, sostenendo che al momento dell’incidente dormivano tutti e che nessuna imbarcazione era stata vista nelle vicinanze. Le Autorità  Portuali contattano, quindi, tutte le navi presenti nella zona dell’incidente: l’Enrica Lexie, la Kamome Victoria, la Giovanni DP e l’Ocean Breeze, invitando chi avesse subito attacchi pirati, ad entrare in porto per un riscontro su un peschereccio fermato con armi a bordo.

Tra tutte risponde all’invito solo al Enrica Lexie che entra in porto alle 23,00. E’ l’unica che ammette sin da subito che ha effettivamente subito un tentativo di approdo alle ore 16.30 a circa 22 miglia dalla costa da un natante pirata, di piccole dimensioni di colore blu. Arrembaggio evitato sparando raffiche di avvertimento in acqua.

Anche la Olympic Flair, identica per colore e struttura alle altre, è in zona. Nega l’attacco dei pirati e lo denuncia solo il giorno dopo adducendo di averlo subito in prossimità delle acque territoriali intorno alle 22.30 c.a. ora in cui la Enrica Lexie, scortata dalla guardia costiera indiana, transitava proprio in quelle acque.

La Enrica Lexie è una nave battente bandiera italiana con a bordo un nucleo militare di protezione per contrastare la pirateria, composto da sei fucilieri del battaglione San Marco, forza anfibia della Marina Militare Italiana, comandato dal Capo di I classe  Massimiliano Latorre ed il sergente Salvatore Girone.
Il 19 febbraio Massimiliano Latorre  e Salvatore Girone vengono sottoposti a fermo dalle autorità locali per l’omicidio dei due pescatori.

I corpi di Valentine e Ajesh, vengono sottoposti ad una frettolosa autopsia e cremati dopo due giorni dalla morte. Gli stessi sono di religione cattolica.

Nel corso dell’esame autoptico e delle perizie balistiche la magistratura Indiana rifiuta la presenza dei periti Italiani, ammessi solo in qualità di osservatori: decisione che nega loro la possibilità di richiedere ulteriori analisi o di firmare eventuali documenti.

In data 24 Febbraio i giornali riportano la notizia del ritrovamento, nei due cadaveri, di proiettili di calibro 0,54 pollici, non compatibili con le armi in dotazione dei marò Italiani. Il calibro 0,54 pollici equivale a 13,7 mm e non esiste come calibro NATO. Questa cartuccia può essere stata sparata da un solo fucile, Boys MK1 AT Rifle, in servizio durante la II Guerra mondiale nell’esercito britannico e di cui è cessata la produzione nel 1940 e ritirato dal servizio nel 1943. Si tratta di un’arma residuato bellico inglese che potrebbe essere giunta  tramite organizzazioni criminali nelle mani di pirati.

In data 4 marzo 2012 in un articolo di giornale si citano le parole di K. Sasikala, professore di Medicina e Chirurgia legale, il quale sostiene che il «proiettile metallico a punta» ritrovato nel cranio di uno dei pescatori misura «3,1 centimetri di lunghezza», «due centimetri di circonferenza sulla punta» e «2,4 sopra la base». Attraverso queste indicazioni possiamo dedurre, partendo dal raggio, il diametro del proiettile rinvenuto: 7,62 mm, compatibile con un classico calibro esistente sia in versione occidentale che in versione orientale.

Considerando la lunghezza del proiettile riportata da Sasikala, pari a 31mm, possiamo risalire ad una serie illimitata di armi ad esso compatibili; fra queste rinveniamo anche la mitragliatrice di fabbricazione sovietica  tipo “PK”, posta sui barchini della Guardia Costiera dello Sri Lanka al fine di controllare le acque territoriali e di reprimere la pesca illegale.

Una ultima indicazione viene fornita in data 11 Aprile circa la compatibilità dei proiettili rinvenuti con le rigature delle canne dei due fucili. Tuttavia alla compatibilità delle rigature non è direttamente consequenziale alla compatibilità dei calibri: difatti proiettili di calibro diverso non possono essere sparati da canne di fucile che presentano la stessa rigatura.

Di conseguenza pur essendovi compatibilità di rigatura su proiettili 5,56X45 NATO e su proiettili 7,62X 51 avremmo comunque un calibro differente.

Nell’annuncio fatto dagli inquirenti indiani con il quale si affermava di aver rilevato la “compatibilità delle rigature” su due dei fucili sequestrati ai militari italiani, è stato indicato il tipo di fucili: Beretta ARX 160.

Ma ben sappiamo che i due Militari Italiani erano armati di un fucile Beretta SC 70/90 ed un comunicato della Marina Militare italiana ha chiarito che il fucile Beretta ARX 160 non è in dotazione ai reparti imbarcati in operazioni anti pirateria e nemmeno a quelli imbarcati sulla Enrica Lexie, essendo un’arma ancora in corso di valutazione da parte delle Forze Armate Italiane.

In data 14 aprile vengono ufficializzate e rese note le conclusioni finali elaborate dagli esperti balistici indiani: nei corpi dei due pescatori deceduti nell’incidente sarebbero stati ritrovati proiettili calibro 5,56 compatibili con i proiettili dei fucili Beretta 70/90 in dotazione ai due Fucilieri ma che sono in dotazione anche alle forze armate Indiane oltre che a quelle Srilankesi. Di conseguenza, pur ritrovando all’interno dei corpi  delle vittime  proiettili calibro 5,56 mm, unicamente attraverso una analisi scientifica del proiettile è possibile determinare il nome del produttore, il lotto di produzione, l’arma che lo ha sparato e infine verificare che lo stesso proiettile era in dotazione alle Forze Armate italiane.

Testimone fondamentale per lo sviluppo delle indagini è il peschereccio Sant’Anthony dissequestrato e restituito al proprietario che lo ha abbandonato e lasciato affondare.
Freddy Bosco, proprietario del peschereccio, dopo aver negato la presenza di navi intorno al peschereccio dichiarava che una nave rossa e nera, aveva inspiegabilmente sparato numerosi proiettili  contro di loro e che una delle vittime Valentine si trovava in posizione eretta al timone al momento della morte e che il proiettile lo raggiungeva alla tempia destra. I vetri del peschereccio, all’entrata nel porto erano intatti.

Nelle more delle indagini e del giudizio, celebrato nello Stato del Kerala,  i due militari, posti in libertà vigilata alla scadenza dei termini di custodia cautelare, ottengono il permesso di tornare in Italia in occasione delle festività Natalizie del 2012 e delle elezioni amministrative del febbraio 2013. Il Ministro degli Esteri Giulio Terzi annuncia, in questa ultima occasione, la decisione di non rinviare più i militari in India. Decisione non condivisa dal Governo, che a seguito le ritorsioni dell’India, che intimava al Nostro Ambasciatore di non allontanarsi dal territorio Indiano, limitando di fatto la sua libertà, in violazione della Convenzione di Vienna, annuncia il rientro di Latorre e Girone in territorio Indiano, per onorare l’impegno preso da Mancini, garante del loro ritorno.

Il processo per omicidio volontario che vede imputati i due militari Italiani,  viene, intanto,  interrotto a seguito della sentenza del 18 gennaio 2013  della Corte Suprema di New Delhi, emessa su ricorso dell’Italia che chiedeva  il riconoscimento della giurisdizione Italiana in merito al caso, in conformità a quanto sancito dalla a Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare o UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea), a cui hanno aderito ad oggi 162 Stati, tra cui Italia ed India, nonché alle norme di diritto internazionale di antichissima applicazione che riconoscono l’immunità funzionale dei militari di truppa  nell’esercizio delle loro funzioni: la loro azione non può essere imputata loro personalmente, ma deve esserlo allo Stato Italiano. 

La Corte con  una corposa sentenza, affermava: che l’incidente non è avvenuto in acque territoriali ma nella cosiddetta ZEE, che competente a compiere indagini ed a giudicare non è il Kerala e che pertanto,  si rende necessario un supplemento di indagine, in seguito affidate  al NIA,  e che  il successivo processo, anche in merito alla giurisdizione, sia celebrato innanzi  ad un istituendo Tribunale Speciale.

Attualmente il Nia ha concluso le indagini, ma non si conoscono i capi di imputazione.

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