sabato 30 novembre 2013

L’incostituzionalità dell’art. 698 e il Caso Venezia, di Erika Palazzo

Negli ultimi tempi, in merito al caso marò, più volte in vari articoli è stato citato l’articolo 698 del Codice di Procedura Penale e il Caso Venezia. In relazione a quale caso scaturì l’intervenuta incostituzionalità di tale disposto? Il 24 Dicembre 1993, Pietro Venezia, 40 anni, proprietario di un noto ristorante italiano di Miami, sparò cinque colpi di pistola contro l’agente del Fisco dello Stato della Florida Donald Bonham, 61 anni. Venezia, accusato di omicidio di primo grado, per il quale in Florida è prevista la pena di morte, fuggì in Italia.  Il successivo 30 dicembre venne spiccato il mandato di cattura e scattò la caccia internazionale all’uomo che si concluse con l’arresto nel 1994, a Laterza in provincia di Taranto. L’America fece richiesta all’Italia di estradizione, con la garanzia che non sarebbe stata inflitta la pena capitale, poiché non ammessa dall’ordinamento italiano, come sancito dall’articolo 27 della nostra Costituzione:
“La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.
Il Caso Venezia diventò fin da subito oggetto di dibattito parlamentare e giuridico, in quanto l’Italia, nonostante le garanzie dell’America, non voleva concedere l’estradizione, in deroga alla Convenzione europea di estradizione del 1957 stabilisse che: “se il reato per il quale è richiesta l’estradizione è punibile con la pena di morte secondo le leggi del paese richiedente e se per tale reato la pena di morte non è prevista dalla legge dello Stato cui viene fatta la richiesta o non è normalmente eseguita, l’estradizione potrà essere rifiutata, a meno che la parte richiedente non dia assicurazioni, ritenute sufficienti dallo Stato estradante, che la pena di morte non verrà eseguita“. Quest’ultima ipotesi infatti, era contemplata  dal secondo comma dell’art. 698 del Codice di Procedura Penale italiano.  Quindi, avendo dato l’America queste “assicurazioni”, alla fine del 1995 il ritorno in Florida pareva inevitabile. Nel giugno ’96, Venezia presentò ricorso al Tar, che demandò la questione alla Corte Costituzionale. Quest’ultima, con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, dichiarò l’incostituzionalità dell’articolo sopra citato, negando definitivamente l’estradizione, in quanto:
“il ripudio della pena di morte, sancito dall’art. 27 della Costituzione, non può dirsi adeguatamente tutelato dal riferimento alle «sufficienti garanzie» che tale pena non venga inflitta o comunque eseguita, contenuto nella norma in esame. Per le medesime ragioni è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della l. 26-5-1984, n. 225, di ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione fra Italia e Stati Uniti, nella parte in cui si riferisce all’art. 9 del trattato medesimo.”
Sostanzialmente, la Corte Costituzionale reputò che le garanzie volte da uno Stato richiedente l’estradizione circa la mancata esecuzione della prevista pena capitale, non potevano essere sufficienti a determinare la “consegna”  dell’imputato, in quanto tale condanna lede il Diritto alla Vita sancito dalla nostra stessa Costituzione.  Pietro Venezia fu quindi, processato e condannato, in Italia, per l’omicidio volontario premeditato di Donald Bonham in Florida e gli furono inflitti 23 anni di reclusione.

Nessun commento:

Posta un commento