lunedì 29 luglio 2013

DIGOS A DISPOSIZIONE DELLA KYENGE: ANZICHE’ CERCARE I DELINQUENTI, PERQUISICONO SESSANTENNE PERCHE’ SU FB MINACCIA LA MINISTRA



 

 

 

 

Minaccia il ministro Kyenge su Fb: denunciato a Verona, perquisita la casa di un 61enne

L’uomo ha intimato l’utilizzo delle armi durante la visita del ministro dell’Integrazione. Interrogato dalla polizia, si è giustificato dicendo di aver subito un furto a opera di immigrati.

Nuova polemica a Cantù: arriva la Kyenge e i consiglieri leghisti escono dall’aula del Comune.

Un 61enne veronese è stato denunciato dalla Digos della Questura scaligera perchè sul suo profilo di Facebook ha insultato e minacciato di far uso delle armi contro il ministro dell’Integrazione, Cecile Kyenge, che parteciperà il 4 agosto all’inaugurazione del progetto “African Summer School” a Verona. La casa dell’uomo è stata perquisita, ma non sono state trovate armi.
Sul proprio profilo di Facebook, D.S. (queste le iniziali dell’uomo), secondo quanto riscontrato dalla Digos, il 26 luglio aveva “postato” un messaggio in cui dichiarava di essere pronto ad accogliere la “ministra negra” con delle armi. A pochi giorni di distanza, sullo stesso account del social network, “condividendo” una foto raffigurante la ministra seguita dalla frase “Kyenge? No grazie!”, era stato inserito un ulteriore messaggio offensivo e minaccioso. Raggiunto dalla polizia, l’uomo, alla presenza del suo legale, ha giustificato il proprio gesto collegandolo ad un recente furto nella sua abitazione che avrebbe detto essere stato compiuto da cittadini extracomunitari. Avendo ammesso le proprie colpe e non avendo trovato armi nella sua abitazione, l’uomo è stato denunciato per diffamazione e minacce pluriaggravate, anche dalla discriminazione razziale. Intanto, In vista dell’arrivo del ministro, la polizia sta svolgendo servizi di prevenzione.
Cantù, arriva la Kyenge, i leghisti lasciano l’aula del Comune - Gli esponenti della Lega hanno scatenato una nuova polemica contro Cécile Kyenge. Il ministro dell’Integrazione era stato invitato dal sindaco di Cantù, nel Comasco, Claudio Bizzozero, a una seduta del Consiglio comunale. Ma prima che la Kyenge fosse accolta nell’aula, i due consiglieri del Carroccio, Alessandro Brianza e Edgardo Arosio, con l’ex leghista Giorgio Masocco, sono usciti in segno di protesta. I consiglieri hanno spiegato di non aver ottenuto il diritto di replica a quello che avrebbe detto il ministro.
FONTE:

IN QUESTE ORE, IN MALI: LE ELEZIONI DELLA SVOLTA? dell'Ambasciatore Giulio Terzi.



Foto: IN QUESTE ORE, IN MALI: LE ELEZIONI DELLA SVOLTA?
Dopo le tensioni, la parola *dalle armi ritorna alle urne*. La "terza fase" della rivoluzione egiziana, il riaccendersi del confronto tra islamisti e laici in Tunisia e le tensioni in Libia hanno distratto l'attenzione da quanto sta avvenendo in queste ore in Mali. Le elezioni - che vedono contrapporsi 27 candidati - dovrebbero risolvere una grave crisi politica e militare. Riassunto delle puntate precedenti: la crisi scoppia nel gennaio del 2012, quando nel nord del paese si accende il conflitto tra le forze governative, i ribelli Tuareg e vari gruppi islamici estremisti, con conseguente colpo di stato che fece deporre il Presidente allora in carica. La comunità internazionale - inizialmente soprattutto la Francia - inviò le sue truppe per aiutare l’esercito maliano a riassumere il controllo della situazione. Ora sul posto sono presenti i soldati dell'ONU, che collaboreranno con le forze governative per garantire il regolare svolgimento delle elezioni. 15 milioni di abitanti, la maggior parte delle quali vive nelle zone rurali, e tra essi 6 milioni e mezzo con diritto di voto. Come ci ricorda "Internazionale", le questioni che hanno dominato la campagna elettorale sono ovviamente la stabilizzazione del paese e la sicurezza, nonché - subito dopo - il rilancio dell'economia: vincerà probabilmente chi riuscirà a dare maggiori garanzie su questi due fronti. Il Mali è un paese al centro di un'immensa regione contaminata da rivendicazioni tribali, con spinte separatiste e terrorismo jihadista, infiltrazioni di milizie e di armi, e attività criminali, attraverso una *porosa frontiera* di ben settemila chilometri. Non si può pensare che la situazione di sicurezza *nell'intero Sahel* migliori, che la Libia possa stabilizzarsi, che l'Algeria e il Marocco siano rassicurate nelle loro regioni meridionali, se il Mali non viene "recuperato". Se ricordiamo le condizioni di anarchia istituzionale esistenti a Bamako lo scorso autunno, l'attacco lanciato verso la capitale dalla coalizione del Nord, rifornita di armi e mezzi di trasporto usciti dalla Libia, credo che l'elezione Presidenziale di oggi costituisca un considerevole passo avanti... Certo, anzitutto la consultazione dovrà essere credibile, vi sono state difficoltà nella registrazione dei votanti, soprattutto per le centinaia di migliaia di sfollati, e nel nord-est è ancora forte la presenza dei ribelli e questo può compromettere l'esito del voto in quelle zone... La mia speranza è che questa consultazione elettorale rafforzi l'intesa raggiunta lo scorso 18 giugno tra le diverse componenti politiche e etniche maliane e che si realizzi il "calendario politico" per il consolidamento istituzionale del Paese. Si tratta di un obiettivo importante per l'intera UE e per l'Italia stessa, anche con riguardo alle gravi violazioni dei diritti umani registrate in quella zona. Inoltre - diciamolo lucidamente - gli interessi italiani nell'intero Sahel, e soprattutto in Libia, in Algeria, e nei paesi confinanti con il Mali - parlo di interessi non solo economici, ma anche di sicurezza, di sviluppo, e di controllo dei flussi migratori - ci impongono di continuare a dare ogni sostegno politico e operativo (formatori militari, esperti di diritti umani, programmi di sviluppo) a una rapida stabilizzazione di quel Paese Africano. Per questo motivo sia l'Unione Africana sia l'Ecowas anno promosso l'avvio di un'operazione di pace "regionale", e da alcuni mesi questa operazione regionale si é trasformata in una grande missione di peacekeeping deliberata dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, la seconda in ordine di grandezza tra tutte quelle lanciate dalle Nazioni Unite. Avremo finalmente in Mali un esempio di come la comunità internazionale può affrontare efficacemente una crisi che rischiava di aggiungere instabilità e rischi a un contesto già problematico? Le nazioni occidentali hanno accettato di finanziare con 43 miliardi di dollari un piano per la ripresa economica nazionale, subordinato allo svolgimento di libere elezioni. C'è chi critica "l'ingerenza occidentale", e chi per contro - ricordando stragi del passato come quella dei Grandi Laghi, conseguente alle stragi del Ruanda, con milioni di sfollati ed oltre 5 milioni di morti nelle varie guerre che si sono succedute nella regione - difende l'azione dell'ONU e dell'occidente, per evitare il degenerare dello scenario e *nuove stragi* impattanti sulla stabilità di tutta l'Africa, più vicina a casa nostra di quanto sembri… COSA NE PENSATE?Dopo le tensioni, la parola *dalle armi ritorna alle urne*. La "terza fase" della rivoluzione egiziana, il riaccendersi del confronto tra islamisti e laici in Tunisia e le tensioni in Libia hanno distratto l'attenzione da quanto sta avvenendo in queste ore in Mali. Le elezioni - che vedono contrapporsi 27 candidati - dovrebbero risolvere una grave crisi politica e militare. Riassunto delle puntate precedenti: la crisi scoppia nel gennaio del 2012, quando nel nord del paese si accende il conflitto tra le forze governative, i ribelli Tuareg e vari gruppi islamici estremisti, con conseguente colpo di stato che fece deporre il Presidente allora in carica. La comunità internazionale - inizialmente soprattutto la Francia - inviò le sue truppe per aiutare l’esercito maliano a riassumere il controllo della situazione. Ora sul posto sono presenti i soldati dell'ONU, che collaboreranno con le forze governative per garantire il regolare svolgimento delle elezioni. 15 milioni di abitanti, la maggior parte delle quali vive nelle zone rurali, e tra essi 6 milioni e mezzo con diritto di voto. Come ci ricorda "Internazionale", le questioni che hanno dominato la campagna elettorale sono ovviamente la stabilizzazione del paese e la sicurezza, nonché - subito dopo - il rilancio dell'economia: vincerà probabilmente chi riuscirà a dare maggiori garanzie su questi due fronti. Il Mali è un paese al centro di un'immensa regione contaminata da rivendicazioni tribali, con spinte separatiste e terrorismo jihadista, infiltrazioni di milizie e di armi, e attività criminali, attraverso una *porosa frontiera* di ben settemila chilometri. Non si può pensare che la situazione di sicurezza *nell'intero Sahel* migliori, che la Libia possa stabilizzarsi, che l'Algeria e il Marocco siano rassicurate nelle loro regioni meridionali, se il Mali non viene "recuperato". Se ricordiamo le condizioni di anarchia istituzionale esistenti a Bamako lo scorso autunno, l'attacco lanciato verso la capitale dalla coalizione del Nord, rifornita di armi e mezzi di trasporto usciti dalla Libia, credo che l'elezione Presidenziale di oggi costituisca un considerevole passo avanti... Certo, anzitutto la consultazione dovrà essere credibile, vi sono state difficoltà nella registrazione dei votanti, soprattutto per le centinaia di migliaia di sfollati, e nel nord-est è ancora forte la presenza dei ribelli e questo può compromettere l'esito del voto in quelle zone... La mia speranza è che questa consultazione elettorale rafforzi l'intesa raggiunta lo scorso 18 giugno tra le diverse componenti politiche e etniche maliane e che si realizzi il "calendario politico" per il consolidamento istituzionale del Paese. Si tratta di un obiettivo importante per l'intera UE e per l'Italia stessa, anche con riguardo alle gravi violazioni dei diritti umani registrate in quella zona. Inoltre - diciamolo lucidamente - gli interessi italiani nell'intero Sahel, e soprattutto in Libia, in Algeria, e nei paesi confinanti con il Mali - parlo di interessi non solo economici, ma anche di sicurezza, di sviluppo, e di controllo dei flussi migratori - ci impongono di continuare a dare ogni sostegno politico e operativo (formatori militari, esperti di diritti umani, programmi di sviluppo) a una rapida stabilizzazione di quel Paese Africano. Per questo motivo sia l'Unione Africana sia l'Ecowas anno promosso l'avvio di un'operazione di pace "regionale", e da alcuni mesi questa operazione regionale si é trasformata in una grande missione di peacekeeping deliberata dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, la seconda in ordine di grandezza tra tutte quelle lanciate dalle Nazioni Unite. Avremo finalmente in Mali un esempio di come la comunità internazionale può affrontare efficacemente una crisi che rischiava di aggiungere instabilità e rischi a un contesto già problematico? Le nazioni occidentali hanno accettato di finanziare con 43 miliardi di dollari un piano per la ripresa economica nazionale, subordinato allo svolgimento di libere elezioni. C'è chi critica "l'ingerenza occidentale", e chi per contro - ricordando stragi del passato come quella dei Grandi Laghi, conseguente alle stragi del Ruanda, con milioni di sfollati ed oltre 5 milioni di morti nelle varie guerre che si sono succedute nella regione - difende l'azione dell'ONU e dell'occidente, per evitare il degenerare dello scenario e *nuove stragi* impattanti sulla stabilità di tutta l'Africa, più vicina a casa nostra di quanto sembi.

Fonte:  https://www.facebook.com/ambasciatoregiulioterzi

Maró: possibile condanna simbolica con pena da scontare in Italia. L’intervista a Toni Capuozzo


 toni capuozzo

Toni Capuozzo, giornalista che non ha bisogno di presentazione. Segue la vicenda Maró fin dall’inizio, un po’ perchè come tutti italiani si è interessato alla questione dei fucilieri di marina, un po’ perchè ha sempre raccontato che Massimiliano La Torre era il suo capo scorta a Kabul e fatica a ritenerlo uno sparatore folle.
Con un video andato in onda su TgCom 24 (di cui avevamo già parlato nel nostro quotidiano) ha spiegato con lucidità e precisione il perchè i Maró non sarebbero responsabili della morte dei due pescatori del St. Anthony. Come lui stesso ha affermato la priorità è quella di far tornare Massimiliano e Salvatore in Italia. Il prima possibile.
Di seguito l’intervista in esclusiva che ha rilasciato per Qelsi.
Conosce il reverendo Rolden Jacob, segretario particolare del vescovo cattolico di Kollam? E’ lui che ha tradotto dall’italiano al malayalamese le dichiarazione dei due Marò, le testimonianze degli altri 4 Marò, del comandante della Lexie, degli altri membri non indiani dell’equipaggio e le trascrizioni del logbook. Ma soprattutto ha tradotto le e-mail relative all’incidente scambiate con il centro di controllo del Corno d’Africa e l’elenco delle armi in dotazione ai Marò. Sarebbe molto interessante, nel caso, avere conferma diretta che l’incidente venne notificato 3 ore prima dell’uccisione dei due pescatori.
No, non conosco il reverendo Jacob. Ma è ormai noto che l’incidente che coinvolse la Lexie avvenne attorno alle 16.30, ore indiane, e venne comunicato circa un’ora e mezzo dopo alle organizzazioni marittime internazionali e alla Guardia Costiera indiana. Com’è noto che il comandante e proprietario del peschereccio St Anthony, all’arrivo al porto di Naandakara dichiarò di aver avuto l’incidente costato la vita a due pescatori attorno alle 21.30. Che quest’ ultimo abbia ritrattato la dichiarazione, e modificato l’ora dell’incidente, costituisce a mio avviso una conferma al fatto che, costruito un teorema di colpevolezza, gli inquirenti indiani abbiano piegato ogni circostanza a dimostrarlo valido.
La domanda precedente si riallaccia al tema dell’orario in cui i Marò hanno contrastato un attacco di pirati, alle 16,15 pm con quello che è emerso dal video prodotto dal giornalista in cui Freddy Bosco dichiara esplicitamente che la sparatoria è avvenuta alle 21.30 e che essendo buio non ha potuto leggere il nome della nave assalitrice. Poi, dopo tre giorni, sposta l’orario di 5 ore indietro e dichiara che la nave era la Lexie senza ombra di dubbio. Problemi di memoria?
Ci sono molte stranezze, nell’inchiesta indiana. Freddy Bosco ha avuto in restituzione il peschereccio, che costituiva un abanco di prova importante per rifare analisi balistiche, dichiarando che gli serviva per continuare il proprio lavoro. Però l’ha lasciato affondare. A quel punto è stato recuperato e issato a riva, nuovamente a disposizione dell’autorità giudiziaria, anche se ormai inservibile per perizie. Quanto alla retromarcia di Freddy sull’orario, basterebbe- all’accusa come alla difesa – sentire il suo amico, quello cui comunicò per telefono l’avvenuto e che avvertì la Guardia Costiera. Naturalmente può essere stato manipolato pure lui, ma una montatura meno approssimativa l’avrebbe esibito come conferma alla “retromarcia” di Bosco.
A quanto ci risulta, sinora non sono state rese note le risultanze della perizia balistica. Secondo lei il sequestro della Lexie a Kochi per due mesi è una riprova indiretta che le perizie erano favorevoli ai Marò e che il sequestro è servito a permettere alla polizia portuale di Kochi di rovistare da cime a fondo la Lexie alla ricerca, peraltro infruttuosa, di armi che fossero compatibili con le ogive rinvenute sui corpi delle vittime?
La perizia balistica effettuata in Kerala è stata un monumento di sciatteria e imprecisione, errata persino nell’uso delle misure per indicare i calibri. Un anatomopatologo che aveva dichiarato dati contrastanti con il teorema di colpevolezza è stato esonerato dall’incarico, la difesa non ha potuto assistere a esami importanti. Da un certo punto di vista, va detto che alla fine questo dilettantismo si è rivelato prezioso, perchè la ricostruzione degli inquirenti del Kerala fa acqua da tutte le parti, e faciliterebbe il compito di una difesa pronta a rispondere colpo su colpo sui fatti, oltre che a rivendicare le questioni importantissime della giurisdizione e dell’immunità funzionale. Vogliamo dirlo con franchezza brutale ? L’Italia si è sempre comportata come se i due fucilieri di marina fossero colpevoli, come se le loro dichiarazioni (“abbiamo sparato in acqua, contro un’imbarcazione che aveva a bordo uomini armati e puntava contro di noi”) fossero state false. Poteva un peschereccio dalla velocità massima di 8-10 nodi puntare pericolosamente una nave che va a 12 nodi ? Niente, abbiamo scelto la via, sconfitta, della questione del diritto di mare – acque internazionali – e sui fatti ci siamo accomodati a trattare una scappatoia, un patteggiamento. L’esempio più nobile di questo autolesionismo ? I compensi alle famiglie dei pescatori, inevitabilmente letti come un’ammissione di colpa. Ma è stato l’unico gesto nobile.
Non trova che la decisione di rientrare in porto sia stata un po’ ingenua da parte dell’equipaggio dell’Enrica Lexie?
Forse il tempo ci dirà di chi è stata davvero la decisione. Ma per ora io resto al vecchio detto: male non fare, paura non avere. E mi sembra, al di là di polemiche legittime, un comportamento che contribuisce a dimostrare l’innocenza dei marò.
Lei dice che non è compito suo trovare i colpevoli dopo aver scagionato i Marò, ma in base alla sua ricostruzione sembra che la morte dei due pescatori indiani sia stata causata da uno scontro a fuoco tra una nave greca e dei pirati. Perché nessuno, in Italia, si è preso la briga di fare ciò che ha fatto lei, ossia tentare una ricostruzione plausibile?
Io ho usato un documento che mi era stato fornito, insieme con una minaccia di querela, dagli avvocati dell’armatore italiano. Unendolo a documenti trovati da privati cittadini, come Luigi Di Stefano e Stefano Tronconi, ho ricostruito un’ipotesi di svolgimento dei fatti che porta altrove gli indizi di colpevolezza. Sulla pigrizia, sulla distrazione, sulla inerzia della diplomazia italiana, della politica italiana, dell’informazione italiana, credo che i fatti parlino da soli. Posso solo aggiungere che hanno pesato tre atteggiamenti culturali: l’idea che fosse possibile cavarsela con una mediazione estenuata con l’India, per quanto riguarda la diplomazia. La sostanziale inutilità della vicenda dei marò, non spendibile per crisi di governo, richieste di dimissioni, scontri precongressuali, per la politica (non era il caso kazaco, per dirla breve). Un certo pregiudizio antimilitarista, e una ormai tradizionale acquiescenza nei confronti delle procure, perfino indiane, nei media italiani.
Ha dichiarato che in ogni caso non può essere sicuro che le cose siano andate come da sua ricostruzione, e di essere penalizzato dal fatto di non poter prendere in esame alcuni documenti segreti. Proprio per questo si è detto disponibile a esaminare eventuali critiche o confutazioni alla sua teoria. Ne ha ricevute? Qualcuno è stato in grado di mettere in discussione la sua versione?
No, mi sono scontrato solo con un muro di silenzio.
La credibilità internazionale dell’Italia quanto ha risentito di questa vicenda?
Noi ci lamentiamo di non aver avuto l’appoggio dell’Unione europea, o della Nato, o degli Stati Uniti, o delle Nazioni Unite. Ma come possiamo pretenderlo quando non siamo stati capaci noi per primi di alzare la voce, protestare. Volete un altro vecchio detto? Aiutati, che Dio ti aiuta.
De Mistura e il ministro Bonino hanno parlato di processo lampo dei nostri Maró in India, due mesi. Quindi prima di Natale potrebbero tornare in Italia, ma torneranno da innocenti o con una condanna da scontare?
Credo che l’intesa, sottobanco, sia per una condanna simbolica, e poi la pena da scontare in Italia. E tutti contenti. Ovviamente l’India dimostrerebbe di essere un grande paese, non solo emergente sul piano economico e politico, se avesse il coraggio di riconoscere gli errori compiuti in Kerala e assolvesse i marò. Ma in India la prossima primavera ci sono le elezioni, e il coraggio uno non se lo può dare. Battersi per il riconoscimento dell’innocenza dei due marò scompagina l’intesa sottobanco, ma ricorda che per un militare la libertà non è tutto. La dignità conta, e il riconoscimento di aver svolto in modo professionale il proprio lavoro, anche. Tornare a casa è un sollievo, ma il marchio di essere militari che hanno sparato su pescatori inermi resta.
Come giudica l’operato del governo Monti prima e di quello Letta poi nella vicenda dei nostri fucilieri di marina. Non ha la sensazione che la Bonino cercherà di farsi attribuire meriti non propri nella vicenda?
Io credo che non ci saranno meriti da distribuire, purtroppo. Il massimo che i politici potranno fare sarà scansare le colpe.
Il Paese è spaccato in due. Da una parte ci sono quelli che considerano i Maró degli eroi, dall’altra quelli che li considerano assassini. Come sempre capita non crede che la verità stia nel mezzo?
Vedete, io non ho mai usato la parola eroi neppure per militari caduti, in Somalia o in Iraq o in Afghanistan. Alcuni di loro li ho conosciuti, da vivi. Non volevano essere eroi, ma militari che fanno il loro dovere al meglio, fieri di aiutare chi soffre, di ben figurare accanto ad altri contingenti internazionali, di assolvere coni propri colleghi e nel proprio reparto i compiti assegnati. Il sogno era quello di tornare a casa. Sono stati delle vittime. Da onorare senza la retorica spesso ipocrita che accompagna i funerali di Stato. Esempi di un paese che lavora in silenzio, e bene. L’eroismo è un’altra cosa, e va a persone gesti speciali, a offerte coscienti della propria vita. Dunque, e lo dico con grande affetto, Latorre e Girone non sono degli eroi. Ma il comportamento loro, delle loro famiglie, e il comportamento di migliaia di connazionali in divisa ai quattro angoli del mondo (pensate a qualcuno di guardia in una valle afghana, in questo momento, che vede una persona sospetta avvicinarsi e deve pensare che che può costare la scelta di sparare, e mette in forse la sua vita, e quella dei suoi compagni, gente che non ha mai avuto il grilletto facile, ma adesso prova la cosa peggiore per un operatore della sicurezza, e cioè l’insicurezza…), la loro sofferta normalità è qualcosa che uno può definire eroico, davanti al Paese della politica, degli affari, degli scandali. Ma è l’eroismo di tante persone normali, infermieri o maestri, carabinieri o netturbini, di ognuno che continua a fare quel che deve, anche chiedendosi, nei momenti peggiori, che cosa glielo faccia fare.

Fonte:  di Silvia Cirocchi © 2013 Qelsi

domenica 28 luglio 2013

Dovremmo sempre partire dal presupposto che l’art. 1 della Costituzione italiana recita: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Mai recitata bugia più grande, mai disatteso in forma più enorme un articolo costituzionale. 
La televisione, i media ci fanno però credere altro, ci raccontano di democrazia, di governi tecnici costituiti da persone che stanno sacrificandosi ed impegnandosi per noi e per i nostri figli… qualcuno ci crede ancora, nella democrazia italiana e, peggio ancora, nei nostri politici e ai politicanti di professione. Qualcuno diceva che una menzogna ripetuta ossessivamente prima o poi viene recepita dalla gente come un dogma incontestabile.

Del resto ci vuole poco ad incantarsi e sperare in qualcuno, magari in preda a sconforto e paura, di fronte ad una presunto pericolo imminente descritto e agitato come uno spauracchio, capace di influenzare e mobilitare le masse.
Nella mia relativamente breve vita, ho vissuto parecchi spauracchi, diciamo che ultimamente i poteri forti sono diventati maestri: ricordo (più per essermi documentato) la “strategia della tensione”: BR, al-Qaida, AIDS, mucca pazza e aviaria. Oggi il panico viene sparso attraverso lo “spread” od il “default” e qualcuno è disposto anche a ringraziare chi gli infila una supposta di soluzioni estreme e dolorose

Ogni collettività umana avente un riferimento comune ad una propria cultura e una propria tradizione storica, sviluppate su un territorio geograficamente determinato (...) costituisce un popolo. Ogni popolo ha il diritto di identificarsi in quanto tale. Ogni popolo ha il diritto ad affermarsi come nazione.

Erroneamente, visti gli sviluppi ed i risultati, l'ordinamento italiano descrive il popolo quale titolare della sovranità..... l'errore sta nel fatto che Parlamento, partiti ed ogni genere di casta inibiscono lo sviluppo di una funzione diretta della sovranità stessa.

Con tutte queste premesse.... è stata creata, in Italia e non solo, un’economia di guerra in tempo di pace. "Molti italiani auspicano la ridefinizione della partecipazione dell’Italia in Europa, ponendosi come battaglia politica l’uscita dal sistema dell’Euro, come unica via possibile per riacquisire la piena sovranità nazionale".
Anche se sono convinto che l'uscita dall'Euro non sia l'unica premessa per recuperare la nostra Sovranità.... ricordo una frase del Presidente Sandro Pertini il quale diceva: "Quando un Governo non fa ciò che vuole il popolo, va cacciato via con mazze e pietre....". Forse il Presidente Sandro Pertini non aveva una "carriera" politica e di vita da tutti condivisa, ma a mio avviso, rispondeva con i fatti al malcostume dei Palazzi che da (....) "molti" anni, hanno venduto l'Italia e la sua SOVRANITA' per l'incapacità di gestire il patrimonio culturale etico ed economico che tutto il mondo ci invidia(va)!!!!!

La nostra è una sovranità di tipo limitato ecco un paio di esempi: il caso Ablyazov e la vicenda dei due Marò a questo vi consiglio la lettura di un articolo del Generale Termentini http://fernandotermentini.blogspot.it/2013/07/il-ratto-delle-kazake-ed-i-due-maro-due.html, il quale riassume e avvalora proprio questa tesi.

Intanto i nostri cialtroni al Governo non comprendono qual è la reale situazione in cui si trova l’Italia, che rischia di trasformarsi in un Paese “in via di sottosviluppo”, cedendo continuamente “quote di sovranità” non all’Europa, ma ai tecnocrati di Bruxelles e alla Bce. Ossia a dei centri di potere che tutelano determinati interessi, che non sono certo quelli della stragrande maggioranza degli italiani. Peraltro, prendendo in considerazione le “scelte strategiche” della nostra classe dirigente in questi ultimi due decenni, pur con tutti i difetti e i limiti che aveva, la classe dirigente della Prima Repubblica, cercava comunque di conservare un margine di sovranità (e infatti aveva, per esempio, una politica mediterranea rispondente agli interessi nazionali); e disponeva di strumenti di politica economica e monetaria. Poi, certo, faceva la cresta sulla spesa: però la spesa la portava a casa. Dopo il lancio delle monetine e la moralizzazione della vita politica nazionale, abbiamo un’Italia 
a) più debole 
b) più asservita a potenze straniere 
c) più corrotta 
d) più povera 
e) più oligarchica:
e che dopo aver svenduto, nel corso di Mani Pulite, buona parte delle industrie pubbliche italiane, si prepara adesso, in questa operazione Mani Pulite 2, a svendere anche l’Eni

D’altra parte, è la totale subordinazione del nostro Paese alla volontà d’oltreoceano a dimostrare che l’interesse principale della nostra classe dirigente è quello di salvare sé stessa (nonché i ceti sociali più abbienti che rappresenta), dimenticandosi delle piccole imprese ormai stremate ma che ancora costituiscono un gettito fiscale che muove a stento l'economia del paese. Il tutto sacrificando ogni interesse nazionale per garantire l’obiettivo principale dei circoli atlantisti, che ovviamente consiste nel saldare la Germania all’Atlantico evitando al tempo stesso sia che si possa formare un autentico polo geopolitico europeo sia che i Paesi dell’Europa meridionale possano cercare di riguadagnare la propria sovranità (in primo luogo geostrategica e geoeconomica). Sotto questo aspetto, trova pure la sua ragion d’essere la proposta di creare un mercato transatlantico, che consentirebbe agli Stati Uniti di  non perdere la “posizione dominante” confrontandosi con un molteplicità di appetiti, egoismi e interessi in contrasto tra di loro. 

Battersi per la sovranità nazionale significa allora cercare, innanzi tutto, di restituire lo “scettro al principe”. In quest’ottica, la stessa Unione Europea dovrebbe configurarsi in modo nuovo, non essendo più possibile prescindere da una ridefinizione politico-strategica (e quindi economica) delle istituzioni europee, ossia da una rivalutazione di quelle aree geopolitiche e geoeconomiche (baltica, danubiana e mediterranea) che sono parti costitutive dell’Europa, in quanto ciascuna di esse è caratterizzata da specifici fattori culturali ed economici.

Fonti: Nicola Marenzi
          www.eurasia-rivista.org
          http://fernandotermentini.blogspot.it/2013/07/il-ratto-delle-kazake-ed-i-due-maro-due.html
 

mercoledì 24 luglio 2013

LA NOSTRA DIPLOMAZIA ALLUNGA I TEMPI, di Nino Amado e Nicola Evoli



Il Governo non ha ancora capito che ostacolando le procedure, i tempi si allungano



Maro':India,respinte opzioni di Roma su interrogatorio testi

NEW DELHI, 24 LUG - Il ministero indiano dell'Interno ha respinto le tre proposte avanzate dall'Italia in merito all'interrogatorio dei quattro maro' che erano sulla petroliera Enrica Lexie e che hanno assistito all'incidente che ha coinvolto Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Lo riferisce oggi l'edizione on-line di The Times of India citando fonti del ministero.

Interpellato dall'ANSA, un portavoce del ministero degli Esteri ha pero' detto ''di non aver ancora ricevuto alcuna comunicazione a riguardo''.
Le opzioni offerte dai legali del governo italiano erano di mandare a Roma un team di investigatori della National Investigation Agency (Nia) per interrogare i quattro testimoni, una videoconferenza su Skype o un questionario scritto via e-mail. Secondo la fonte, il ministero ''ha suggerito che i quattro
maro' si rivolgano direttamente al tribunale competente per chiedere di essere esonerati dall'interrogatorio in India''.
Il rifiuto e' stato motivato con il fatto che esiste un impegno scritto del governo italiano (''sovereign guarantee") di mettere a disposizione l'equipaggio della Enrica Lexie se richiesto dalle autorita' investigative o giudiziarie.
La Nia, che conduce l'inchiesta sull'omicidio dei due pescatori il 15 febbraio 2012, aveva convocato i quattro maro' Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana e Alessandro Conte, ma la richiesta non era stata accettata da Roma che aveva proposto le tre ipotesi alternative.
Il Ministero dell'Interno ha respinto fra l'altro l'ipotesi di inviare un team della Nia in Italia perche' ''il Codice di Procedura penale indiano si applica solo in India e non puo' essere invocato all'estero'' ha spiegato la fonte. La videoconferenza attraverso Skype non e' stata considerata praticabile per ''difficolta' tecniche'' mentre le domande via e-mail ''non consentono un controinterrogatorio (Nino Amado).

 Caro Nino,

le tue informazioni sono molto preziose e mi inducono a poche essenziali constatazioni:

lo Stato Italiano continua ad avere 'intermediari' con non sanno gestire ne' l'arte diplomatica ne' quella negoziale pura. Si assiste ad un appiattimento totale su linee difensive insostenibili, solo cortine fumogene. Una specie di guerra di trincea, dove si attende la fine della guerra per riavere dei prigionieri piuttosto che esigere la loro liberazione immediata.
Il precedente governo Italiano, come gia' dissi a Terzi causando la sua irritazione, non aveva alcuna credibilita' politica perche' non era espressione diretta della volonta' popolare e dei partiti, ma solo un 'agente liquidatore'. Questo governo e' anch'esso inabile al lavoro causa ingessatura politica dei propri ministri.
gli Indiani sanno che sul piano tecnico-peritale-legale sono perdenti. Da subito. Il governo italiano non sta facendo nulla per aiutarli a salvare la faccia e loro ovviamente si coprono. Il nostro governo non esercita alcuna azione 'divide et impera' o lobbistica vera all'interno del sistema Indiano. I nostri amici indiani sono sempre piu' increduli di fronte a tanta inazione ed imbecillita'. Di fatto abbiamo la partita in mano ma non ci azzardiamo a pronunciare lo 'scacco matto'…semplicemente ci siamo allontanati dalla scacchiera.
non credo alla bufala della videoconferenza su Skype che tra l'altro e' hackerabile. Normalmente si sceglie un luogo neutrale (Svizzera ad esempio, dove c'e' una sede UN) e li si conducono tutti gli interrogatori che dir si voglia. Alla presenza di testimoni diplomateci neutri.
Diciamoci la verita': non abbiamo una diplomazia cosi come non abbiamo dei veri servizi di informazione. Avevamo spiato per motivi commerciali l'ambasciata Indiana a Mosca ma non ora quella Indiana a Roma o altri punti sensibili in India. Siamo ciechi e sordi…e anche molto handicappati. Prima di qualsiasi azione diplomatica occorrono: intelligence vera -via contractors esteri privati, ad esempio quelli che ci pagarono per lo sporco affare Khazako se si vuole per pigrizia-, denaro spendibile (quello c'e', basta togliere di mezzo l'incompetente De Mistura) e valide contropartite politiche.

Caro Nino siamo lontani anni luce sul fronte governativo.

Alternativa: un finanziatore privato per una semplice operazione di estrazione dei ragazzi e poi se ne riparla.

Ad maiora (Nicola Evoli).

martedì 23 luglio 2013

LIBANO – “HEZBOLLAH IN BLACK LIST, SI GIOCA SULLA PELLE DEI NOSTRI MILITARI”


 Sostenitori di Hezbollah

Desta perplessità e preoccupazione la decisione della Ue di inserire l’ala militare di Hezbollah nella black list delle organizzazioni terroristiche. L’Italia è impegnata in Libano dal 2006 con 1094 uomini nella missione Unifil dell’Onu, di cui ha anche il comando. Ogni giorno i nostri militari si interfacciano con gli Hezbollah che, per di più, sono forza di governo. Questa decisione della Ue, assunta su pressione Usa e d’Israele , può moltiplicare i rischi per il nostro contingente e pregiudicare una missione di pace che fino ad oggi si è sviluppata senza spargimenti di sangue.”


Il braccio militare del movimento sciita libanese Hezbollah è stato inserito nella lista nera dei gruppi terroristici dell'Unione europea. Lo hanno deciso i ministri degli esteri nonostante le riserve di Italia, Malta, Irlanda e Finlandia che hanno paventato il rischio di effetti negativi sulla stabilità del Libano. La decisione di includere l'ala militare di Hezbollah nella lista nera delle formazioni terroristiche «è un segnale politico ma anche concreto - ha detto l'Alto rappresentante Ue per la politica estera Catherine Ashton - non siamo disposti a tollerare il ricorso al terrorismo, sotto qualsiasi forma, per raggiungere obiettivi politici». Ashton ha poi aggiunto: «Così abbiamo tracciato una distinzione molto netta» tra le due anime di Hezbollah, ha aggiunto Ashton, «lanciando un chiaro messaggio al popolo libanese». Vengono mantenuti i sostegni finanziari e umanitari oltre al dialogo politico con il movimento.

NETANYAHU RINGRAZIA - Per l'inclusione dell'ala militare degli Hezbollah nella lista nera Ue il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha pubblicamente ringraziato stasera il premier britannico David Cameron, la cancelliere tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande. Ha menzionato e ringraziato anche altri dirigenti con cui ha affrontato la questione nelle ultime settimane: fra questi i premier di Italia, Austria, Grecia, Slovacchia e Malta. E arriva anche il plauso del portavoce della Casa Bianca, Jay Carney: l'inserimento dell'ala militare di Hezbollah nella lista nera della Ue rappresenta, secondo gli Usa, un forte messaggio che il movimento sciita libanese non può agire impunito.

«ISRAELE PIEGA L'UE» - Dura la reazione della tv di Hezbollah, Al Manar, che ha accusato l'Unione Europea di essersi «piegata» al volere di Israele nel decidere di inserire l'ala militare del movimento sciita libanese nella lista nera del terrorismo. «Israele ha piegato l'Ue alla sua volontà», ha detto Al Manar, accusando Londra di essere «alla testa della campagna» contro Hezbollah.

BONINO: «SITUAZIONE COMPLESSA» - Per il ministro degli Esteri, Emma Bonino, la decisione di inserire l'ala militare di Hezbollah nella lista nera risponde all'esigenza di «non far passare senza reazione» gli attacchi terroristici sul territorio dell'Unione. Secondo la titolare della Farnesina, si tratta di «situazioni complesse, in cui delle divergenze di analisi non sono da escludere a priori, ma c'era oggi un sentimento comune che dobbiamo recuperare, quello della comunanza di intenti», ha aggiunto il ministro Bonino. Che ha concluso: «Rimane comunque la preoccupazione per la situazione particolarmente complessa del Libano, che è per l'Italia un Paese importante, in cui siamo da tempo impegnati anche con il nostro contingente in Unifil». Sulla questione il ministro della Difesa, Mario Mauro, ha commentato: «Tenderei ad escludere ripercussioni. La decisione - ha detto Mauro a margine di un convegno - è frutto di una serie di atti dei Paesi europei, ma non deve far perdere di vista il dialogo con Hezbollah».

 Fonti: http://www.corriere.it/
           Manlio Di Stefano M5S

Il piano della Kyenge: rimpiazzare i vecchi italiani con i giovani clandestini. “La priorità è l’integrazione intesa anche come ringiovanimento demografico dell’Italia”


 

Da diversi anni la Francia deve fare i conti con i mussulmani fascinorosi che non perdono occasione di protestare violentemente contro presunte ingiustizie subite dalle Stato francese
Queste rivolte ormai accadono di continuo, ma la stampa ufficiale preferisce censurare queste notizie perché mal si conciliano coi desideri dei poteri forti di riempire l’Italia di immigrati andando contro la volontà dell’opinione pubblica e quindi è importante mantenere il popolo nella bieca ignoranza.
L’ultimo caso e’ avvenuto a Treppes, un sobborgo di Parigi, dove orde di islamici hanno incendiato auto, distrutto fermate di autobus ed addirittura attaccato una stazione di polizia.
Tutto è iniziato quando alcuni poliziotti hanno fatto la multa a una donna musulmana che aveva il volto e il corpo coperto da un tipo velo islamico particolarmente proibitivo; in Francia le donne non possono portare il velo integrale nei luoghi pubblici e chi viola questa legge rischia una multa.
Il marito e’ stato arrestato dopo aver protestato contro i poliziotti ed averli minacciati e questo ha provocato la rivolta, che è continuata per due giorni. Al momento la situazione sembra sotto controllo, ma quanto sta succedendo in Francia dimostra, ancora una volta, come l’Islam sia incompatibile con lo stile di vita occidentale e come i musulmani piuttosto che accettare di adattarsi alla società francese preferiscano protestare.

Ma ecco il piano della Kyenge

“La priorità è l’integrazione intesa anche come ringiovanimento demografico dell’Italia”.
Così ha detto ieri il ministro Kyenge a latere della solita conferenza sull’immigrazione e ha svelato dettagliatamente il suo piano che, molto presto, passerà al vaglio del governo.
“Il reato di ingresso clandestino e di soggiorno illegaledovrebbe essere presto abolito in sede di revisione del Testo Unico sull’immigrazione da parte dei ministeri dell’Interno e della Giustizia e dal Parlamento”.
Per il ministro, inoltre “il trattenimento delle persone da espellere nei Centri di Identificazione dovrebbe rappresentare solo l’estrema ratio e comunque- secondo lei- 18 mesi sono un periodo eccessivamente lungo”
“La questione immigrazione- ha concluso- rappresenta un nodo di estremo rilievo, un fenomeno che non può essere governato fra individualismi ed egoismi politici”.
Tradotto: l’Italia è da considerarsi un paese di vecchi e per ringiovanirla occorrono altri milioni di immigrati, che però con le leggi vigenti faticherebbero ad entrare. Per la sostituzione rapida del vecchio col nuovo (il ringiovanimento) occorre aprire le frontiere a tutti. Chi critica è un egoista razzista da mettere al bando.
Se è così, si chiama rimpiazzo demografico: lo ha usato Stalin,lo usano i cinesi in Tibet, ne abbiamo visto gli effetti in Ruanda. Adesso è il turno dell’Italia.


 Fonti:
http://www.mattinonline.ch/kyenge-choc-ringiovaniamo-litalia-rimpiazzando-i-vecchi-con-giovani-clandestini/
http://elzeviro.net/





domenica 21 luglio 2013

Cari amici e sostenitori, dopo tanti lunghi...









 

Carolina Latorre 17 luglio 17.41.05
  Cari amici e sostenitori, dopo tanti lunghi mesi trascorsi insieme, lì dove abbiamo riso e pianto insieme, seppur abbiamo avuto qualche diverbio, siamo tornati ad essere uniti insieme e più forti di prima. Oggi devo comunicarvi che per motivi personali non posso più seguire il gruppo e quindi tristemente sono costretta a chiuderla. Sappiamo tutti che ci avviciniamo sempre più a dei momenti molto delicati di questa triste vicenda, quindi chiedo a tutti voi di continuare ad amare Massimiliano e Salvatore e la mia promessa sarà quella di essere insieme a voi nei momenti in cui mi sarà possibile. Ogni ringraziamento che possa farvi, risulterebbe riduttivo, per cui posso dirvi che sarò felicissima di stringervi ed abbracciarvi personalmente quando tutto questo sarà finito. Un ringraziamento particolare va ai nostri amministratori che hanno svolto un eccellente e grande lavoro. Grazie di cuore a tutti voi ragazzi. Un grande abbraccio per ora virtuale a tutti voi amici dal grande cuore.
Carolina Latorre

sabato 20 luglio 2013

Qualcuno cerca di comporre un puzzle ma nei Palazzi qualcuno nasconde i pezzi!!!!




In questi giorni sono successe alcune cose "strane"che un cittadino semplice come me fa fatica a decifrare e a codificare. Sembra quando ero piccolo e avevo una scatola di puzzle con in facciata il bel disegno... chiaro e semplice ma alcuni amici si divertivano a volte a rubarmi i pezzi con il risultato che se li ritrovavo, riuscivo a terminare il mio bel lavoro, altrimenti rimaneva incompiuto.

E' di qualche giorno fa la dichiarazione di De Mistura che  "I nostri fucilieri in questo momento risiedono in ambasciata, 5 ettari di terra con 2 ville private. Percepiscono lauto stipendio come funzionari internazionali e godono della massima libertà di circolazione sul territorio. Incontrano la famiglia quando vogliono e sono ignorati dai media. A rendere pubblica quasta dichiarazione è l'Onorervole Manlio Di Stefano del M5S sulla sua pagina di Fb. PERCHE'?

In quegli stessi giorni la sorella di Massimiliano Latorre, Carolina, fa una dichiarazione nella pagina di Fb "Le famiglie dei marò" con il quale spiegava a tutti i membri la sua decisione di chiudere il Gruppo per motivi di indisposizione, ringraziava tutti per la partecipazione e dopo qualche ora..... buio totale. Quindi, se penso a tutti i sostenitori di quel Gruppo che ogni giorno dall'inizio, hanno dimostrto con Link e messaggi d'affetto, la loro solidarietà, si sono ritrovati oscurati. PERCHE'? 
Tra l'altro, il Ministro della Difesa in persona, sulla sua pagina, pubblica la dichiarazione di Carolina Latorre, il Post viene condiviso da tanti.... ma dopo un paio di giorni..... buoio totale: Allegato non disponibile. PERCHE'? 

E' di questi giorni la "bannatura", per usare un termine di Facebook, da parte del Ministro Emma Bonino di alcuni membri ATTIVI dei gruppi pro marò. Evidenzio il termine attivi per rimarcare il fatto che nessuna di queste persone entrava a commentare nella sua pagina con arroganza o maleducazione, semplicemente commentava i suoi Post (ovviamnte mai relativi ai nostri due fucilieri) con domande e provocazioni.  http://opinioneitalia.blogspot.com/2013/07/i-miei-ringraziamenti-al-ministro-emma.html?spref=fb

I membri attivi dei Gruppi pro Marò pubblicano documenti ufficiali che diversamente nè il Governo tantomeno i media tradizionali hanno intenzione di rendere pubblici. PERCHE'?













E' di qualche giorno fa la prima trasmissione di Toni Capuozzo che documentava l'Analisi Tecnica di Luiigi Di Stefano e Stefano Tronconi che dimostra l'innocenza dei due cittadini italiani. Tale lavoro può essere confutato, discusso, vivisezionato e ritenuto poco credibile, anche se gli autori di tale Analisi hanno studiato a lungo ogni dettaglio e sono in grado di rispondere e di controbattere qualsiasi  tesi contraria. Ma il silenzio si spiega anche con il fastidio di tanta parte dell'informazione verso coloro che hanno fatto il lavoro che sarebbe stato compito di un giornalismo rigoroso e senza pregiudizi. Tutto ciò con l'imbarazzo delle autorità italiane, remissive e deboli, capaci solo di parole per difendere due servitori dello Stato, e forse "distratte" da interessi commerciali. PERCHE'? (http://www.seeninside.net/piracy) https://fbexternal-a.akamaihd.net/safe_image.php?d=AQC1eLLH5dyoYk61&url=https%3A%2F%2Ffbcdn-vthumb-a.akamaihd.net%2Fhvthumb-ak-ash4%2Fs403x403%2F410728_330724780393183_330724327059895_13462_312_b.jpg&jq=100


Stefano Tronconi mi confida con tutto il suo ottimismo: "nelle ultime tre settimane abbiamo riaperto un caso che ormai si apprestavano a concludere vergognosamente con una condanna simbolica dei marò tanto tra i politici italiani, che quelli indiani, che sui giornali. Vedrai che la semina porterà buon frutti". Io, sinceramente, non solo voglio crederci, ma gli credo proprio e lo ringrazio e con lui, Luigi e Toni per il lavoro svolto e per la loro perseveranza a ridare colore ad una Bandiera sbiadita. 

Che i NOSTRI MARO' siano in India da 17 mesi perchè l'Italia ha perduto la sua Sovranità è una risposta troppo riduttiva, fa sedere le persone ad aspettare che i fatti accadano e non lascia spazio a chi invece vuole denunciare e capire. Forse siamo proprio in un momento transitorio dove i pezzi del  puzzle sono solo nascosti, ma il quadro anche se non è ancora completato, è chiaro a molte persone. Anche se dovessero "bannarci tutti"..... non potranno imbavagliare persone che hanno fatto una vita nell'Esercito oltre ai semplici cittadini che hanno a cuore la propria Patria e l'orgoglio di doverla difendere. Non si arrendono certo davanti a simili sciocchezze antidemocratiche! 

STUPENDA LETTERA DEL FIGLIO DI PAOLO BORSELLINO.


 

"Grazie caro papà". STUPENDA LETTERA DEL FIGLIO DI PAOLO BORSELLINO.DA FAR GIRARE E LEGGERE(non mettete solo mi piace,LEGGETELA)
Il primo pomeriggio di quel 23 maggio studiavo a casa dei miei genitori, preparavo l’esame di diritto commerciale, ero esattamente allo “zenit” del mio percorso universitario. Mio padre era andato, da solo e a piedi, eludendo come solo lui sapeva fare i ragazzi della scorta, dal barbiere Paolo Biondo, nella via Zandonai, dove nel bel mezzo del “taglio” fu raggiunto dalla telefonata di un collega che gli comunicava dell’attentato a Giovanni Falcone lungo l’autostrada Palermo-Punta Raisi.

Ricordo bene che mio padre, ancora con tracce di schiuma da barba sul viso, avendo dimenticato le chiavi di casa bussò alla porta mentre io ero già pietrificato innanzi la televisione che in diretta trasmetteva le prime notizie sull’accaduto. Aprii la porta ad un uomo sconvolto, non ebbi il coraggio di chiedergli nulla né lui proferì parola.

Si cambiò e raccomandandomi di non allontanarmi da casa si precipitò, non ricordo se accompagnato da qualcuno o guidando lui stesso la macchina di servizio, nell’ospedale dove prima Giovanni Falcone, poi Francesca Morvillo, gli sarebbero spirati tra le braccia. Quel giorno per me e per tutta la mia famiglia segnò un momento di non ritorno. Era l’inizio della fine di nostro padre che poco a poco, giorno dopo giorno, fino a quel tragico 19 luglio, salvo rari momenti, non sarebbe stato più lo stesso, quell’uomo dissacrante e sempre pronto a non prendersi sul serio che tutti conoscevamo.

Ho iniziato a piangere la morte di mio padre con lui accanto mentre vegliavamo la salma di Falcone nella camera ardente allestita all’interno del Palazzo di Giustizia. Non potrò mai dimenticare che quel giorno piangevo la scomparsa di un collega ed amico fraterno di mio padre ma in realtà è come se con largo anticipo stessi già piangendo la sua.
Dal 23 maggio al 19 luglio divennero assai ricorrenti i sogni di attentati e scene di guerra nella mia città ma la mattina rimuovevo tutto, come se questi incubi non mi riguardassero e soprattutto non riguardassero mio padre, che invece nel mio subconscio era la vittima. Dopo la strage di Capaci, eccetto che nei giorni immediatamente successivi, proseguii i miei studi, sostenendo gli esami di diritto commerciale, scienze delle finanze, diritto tributario e diritto privato dell’economia. In mio padre avvertivo un graduale distacco, lo stesso che avrebbero percepito le mie sorelle, ma lo attribuivo (e giustificavo) al carico di lavoro e di preoccupazioni che lo assalivano in quei giorni. Solo dopo la sua morte seppi da padre Cesare Rattoballi che era un distacco voluto, calcolato, perché gradualmente, e quindi senza particolari traumi, noi figli ci abituassimo alla sua assenza e ci trovassimo un giorno in qualche modo “preparati” qualora a lui fosse toccato lo stesso destino dell’amico e collega Giovanni.

La mattina del 19 luglio, complice il fatto che si trattava di una domenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all’orario in cui solitamente si alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno (compresa la domenica) alle 5 del mattino per “fottere” il mondo con due ore di anticipo. In quei giorni di luglio erano nostri ospiti, come d’altra parte ogni estate, dei nostri zii con la loro unica figlia, Silvia, ed era proprio con lei che mio padre di buon mattino ci aveva anticipati nel recarsi a Villagrazia di Carini dove si trova la residenza estiva dei miei nonni materni e dove, nella villa accanto alla nostra, ci aveva invitati a pranzo il professore “Pippo” Tricoli, titolare della cattedra di Storia contemporanea dell’Università di Palermo e storico esponente dell’Msi siciliano, un uomo di grande spessore culturale ed umano con la cui famiglia condividevamo ogni anno spensierate stagioni estive.

Mio padre, in verità, tentò di scuotermi dalla mia “loffia” domenicale tradendo un certo desiderio di “fare strada” insieme, ma non ci riuscì. L’avremmo raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre. Mia sorella Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassare una materia universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativo esame il giorno successivo (cosa che fece!) a casa di una sua collega, mentre Fiammetta, come è noto, era in Thailandia con amici di famiglia e sarebbe rientrata in Italia solo tre giorni dopo la morte di suo padre.
Non era la prima estate che, per ragioni di sicurezza, rinunciavamo alle vacanze al mare; ve ne erano state altre come quella dell’85, quando dopo gli assassini di Montana e Cassarà eravamo stati “deportati” all’Asinara, o quella dell’anno precedente, nel corso della quale mio padre era stato destinatario di pesanti minacce di morte da parte di talune famiglie mafiose del trapanese. Ma quella era un’estate particolare, rispetto alle precedenti mio padre ci disse che non era più nelle condizioni di sottrarsi all’apparato di sicurezza cui, soprattutto dolo la morte di Falcone, lo avevano sottoposto, e di riflesso non avrebbe potuto garantire a noi figli ed a mia madre quella libertà di movimento che negli anni precedenti era riuscito ad assicurarci.

Così quell’estate la villa dei nonni materni, nella quale avevamo trascorso sin dalla nostra nascita forse i momenti più belli e spensierati, era rimasta chiusa. Troppo “esposta” per la sua adiacenza all’autostrada per rendere possibile un’adeguata protezione di chi vi dimorava. Ricordo una bellissima giornata, quando arrivai mio padre si era appena allontanato con la barchetta di un suo amico per quello che sarebbe stato l’ultimo bagno nel “suo” mare e non posso dimenticare i ragazzi della sua scorta, gli stessi di via D’Amelio, sulla spiaggia a seguire mio padre con lo sguardo e a godersi quel sole e quel mare.
Anche il pranzo in casa Tricoli fu un momento piacevole per tutti, era un tipico pranzo palermitano a base di panelle, crocché, arancine e quanto di più pesante la cucina siciliana possa contemplare, insomma per stomaci forti. Ricordo che in Tv vi erano le immagini del Tour de France ma mio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel “tenere comizio” come suo solito, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio all’immaginazione.

Dopo quello che fu tutto fuorché un riposo pomeridiano mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l’eccidio) e l’agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiata sul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta. Mia madre lo salutò sull’uscio della villa del professore Tricoli, io l’accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l’appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.
Ho realizzato che mio padre non c’era più mentre quel pomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia cugina Silvia, aveva appena appreso dell’attentato dalla radio. Non so perché ma prima di decidere il da farsi io e mia madre ci preoccupammo di chiudere la villa. Quindi, mentre affidavo mia madre ai miei zii ed ai Tricoli, sono salito sulla moto di un amico d’infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità ci recammo in via D’Amelio.

Non vidi mio padre, o meglio i suoi “resti”, perché quando giunsi in via D’Amelio fui riconosciuto dall’allora presidente della Corte d’Appello, il dottor Carmelo Conti, che volle condurmi presso il centro di Medicina legale dove poco dopo fui raggiunto da mia madre e dalla mia nonna paterna. Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo volle vedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anche ricomporre e vestire all’interno della camera mortuaria. Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine dell’esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorella ha tratto una grande forza da quell’ultima immagine del padre, è come se si fossero voluti salutare un’ultima volta.

La mia vita, come d’altra parte quella delle mie sorelle e di mia madre, è certamente cambiata dopo quel 19 luglio, siamo cresciuti tutti molto in fretta ed abbiamo capito, da subito, che dovevamo sottrarci senza “se” e senza “ma” a qualsivoglia sollecitazione ci pervenisse dal mondo esterno e da quello mediatico in particolare. Sapevamo che mio padre non avrebbe gradito che noi ci trasformassimo in “familiari superstiti di una vittima della mafia”, che noi vivessimo come figli o moglie di ….., desiderava che noi proseguissimo i nostri studi, ci realizzassimo nel lavoro e nella vita, e gli dessimo quei nipoti che lui tanto desiderava. A me in particolare mi chiedeva “Paolino” sin da quando avevo le prime fidanzate, non oso immaginare la sua gioia se fosse stato con noi il 20 dicembre 2007, quando è nato Paolo Borsellino, il suo primo e, per il momento, unico nipote maschio.

Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza “farci largo” con il nostro cognome, divenuto “pesante” in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo “montati la testa”, rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l’onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra. E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l’avrebbe fatta.

Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ossia un dirigente di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed importante, faceva suo padre, indipendentemente dall’evento drammatico che mi sono trovato a vivere.
D’altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventare dopo la morte di mio padre, una persona che in un modo o nell’altro avrebbe “sfruttato” questo rapporto di sangue, avrebbe “cavalcato” l’evento traendone vantaggi personali non dovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quanto figlio di …. o perché di cognome fa Borsellino. A tal proposito ho ben presente l’insegnamento di mio padre, per il quale nulla si doveva chiedere che non fosse già dovuto o che non si potesse ottenere con le sole proprie forze. Diceva mio padre che chiedere un favore o una raccomandazione significa mettersi nelle condizioni di dovere essere debitore nei riguardi di chi elargisce il favore o la raccomandazione, quindi non essere più liberi ma condizionati, sotto il ricatto, fino a quando non si restituisce il favore o la raccomandazione ricevuta.

Ai miei figli, ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del nonno, vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnamenti, raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i quali trasmettergli i valori portanti della sua vita.

Caro papà, ogni sera prima di addormentarci ti ringraziamo per il dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere.
Manfredi Borsellino
( La testimonianza del figlio del giudice – pubblicata per gentile concessione dell’editore – chiude il libro “Era d’estate”, curato dai giornalisti Roberto Puglisi e Alessandra Turrisi- Pietro Vittorietti editore).

Fonte: https://www.facebook.com/pages/Contro-la-disinformazione/128744460563282?ref=stream

giovedì 18 luglio 2013

Zingales: "La rivoluzione liberale di cui ha bisogno l'Italia potrebbe farla il centrosinistra moderato" di Michael Pontrelli

Luigi Zingales, economista presso la University of Chicago Booth School of Business
Luigi Zingales è uno degli economisti italiani più noti all’estero. Da anni lavora negli Stati Uniti e nel 2012 è stato inserito dalla rivista Foreign Policy tra i 100 pensatori più influenti al mondo, unico italiano presente assieme a Mario Draghi. Nel suo libro più recente, Manifesto Capitalista, ha affermato che l’Italia per ripartire ha “bisogno di una rivoluzione liberale”. Lo abbiamo sentito per capire meglio i contenuti della sua proposta. 

 
 
Professore, in Italia l’ideologia liberale non gode di molta popolarità. Come mai?
“Perché si tende ad identificare il capitalismo con i capitalisti nostrani che, fatte alcune eccezioni, tendono ad arricchirsi a spese dello Stato e non invece creando ricchezza”.

Come cambiare questo stato di cose?
“Bisognerebbe partire da un cambiamento delle regole. In primo luogo semplificandole e successivamente facendole rispettare in maniera rigorosa. Nel nostro Paese invece avviene l'esatto contrario: ci sono tantissime norme ma nessuno le segue”.

E’ solo un fatto di regole? Non c’è anche un problema di eccessiva presenza dello Stato nell’economia?
“Sicuramente c’è ma in Italia la parola ‘privatizzare’ è negativa agli occhi di molte persone a causa della delusione generata dai processi di privatizzazione precedenti. Non voglio entrare nel merito dei singoli casi, mi limito solamente a dire che l’esperienza di maggiore successo è stato quello della Nuovo Pignone che è stata venduta non a imprenditori italiani ma americani. Purtroppo da noi le privatizzazioni sono di fatto diventate delle opportunità per fregare il mercato anziché una occasione per lavorare meglio e di conseguenza migliorare l’efficienza”.

Gli Stati Uniti, a differenza dell’Italia, hanno una lunga tradizione liberale tuttavia anche lì il liberismo ha sostanzialmente fallito come ha dimostrato la crisi finanziaria dei subprime. Non è che anche il mito del liberismo buono sia, al pari del comunismo, una utopia irraggiungibile a causa dell’avidità dell’uomo?
“Se come modello liberista si intende il laissez-faire senza nessuna regola sono d’accordo con lei. Se invece per liberismo si intende un sistema di mercato in cui esistono e vengono fatte rispettare delle norme chiare e precise e in cui le scelte economiche vengono lasciate nella misura maggiore possibile agli individui allora secondo me non è vero che i benefici del liberismo siano una utopia. Luigi Einaudi dava del mercato l’immagine della piazza del paese con due carabinieri che controllano. Anche in America c’è stato un problema di regole e questo conferma che se mancano o non vengono fatte rispettare il mercato diventa caos, diventa una giungla dove necessariamente non prevale il più efficiente ma il più brutale".

Torniamo all’Italia. Chi potrebbe fare una rivoluzione liberale nel nostro Paese? Le do un suggerimento: potrebbe essere Renzi?
“Io ho avuto simpatie e speranze per Matteo Renzi perché ritengo che in un mondo post comunista come quello attuale la speranza maggiore per l’avvio di una riforma liberale in Italia possa nascere proprio da persone appartenenti ad un centro sinistra moderato e quindi il Sindaco di Firenze potrebbe essere la persona giusta. Mi rendo conto però che si trova di fronte a fortissime barriere ideologiche di derivazione marxista. C’è ancora una parte importante della sinistra che vede le mie posizioni come fumo negli occhi. Per esempio, recentemente in una trasmissione televisiva Franceschini si è augurato che io non abbia mai a che fare nulla con il Partito democratico e lui dovrebbe essere uno dei più moderati all’interno del Pd, immaginiamo quindi gli altri. C’è un retaggio culturale molto difficile da sconfiggere”.

Come mai non ha indicato come possibili alfieri della rivoluzione liberale la destra o il centro guidato da Mario Monti?
“La destra italiana non ha una tradizione liberale ma è sempre stata conservatrice ovvero attenta a tutela il potere esistente. Un approccio analogo ha Mario Monti che pur essendo un liberale di stampo classico tende a non toccare gli interessi esistenti. L’Italia è un paese che si è evoluto male. Al potere, sia nel campo politico che in quello economico, ci sono persone che non meritano di essere lì e quindi andrebbero rimpiazzate. Una rivoluzione liberale rottamerebbe non solo la classe politica ma anche quella economica. Non vedo l’attuale destra italiana o una persona dell’establishment come Monti capaci di guidare un processo di questo tipo”.

Quando si parla di Monti inevitabilmente si pensa all’Europa e all’euro. A suo avviso la crisi dell’eurozona è superata?
“No perché l’euro non riesce a sopravvivere senza una maggiore integrazione tra gli Stati che tuttavia nessuno vuole. Ci troviamo di fronte ad una contraddizione in termini, Questa situazione non è sostenibile nel lungo periodo. Fare delle previsioni è molto difficile ma senza dei cambiamenti la situazione attuale non può che esplodere prima o poi”.


Fonte: Tiscali Interviste

Napolitano blinda il Governo e nasconde i conti sotto al tappeto.


 Foto: Napolitano blinda il governo e nasconde i conti sotto il tappeto. Per la prima volta nel suo mandato, il presidente della Repubblica ha incontrato il ragioniere generale dello Stato. Perché? Ve lo diciamo noi:

- Debito pubblico: record a 2.074 miliardi, veleggiamo verso il 130% del Pil;
- Debito aggregato di Stato, famiglie, imprese e banche: 400% del Pil, circa 6mila miliardi;
- Pil: atteso un altro -2% quest'anno. Si aggiunge al -2,4 del 2012;
- Rapporto deficit/Pil: 2,9% nel 2013. Peggioramento ciclo economico Imu, Iva, Tares, Cassa integrazione in deroga lo portano ben oltre la soglia del 3%;
- Prestiti delle banche alle imprese: -5% su base annua nei mesi da marzo a maggio. In fumo 60 miliardi di prestiti solo nel 2012;
- Sofferenze bancarie: a maggio sono salite del 22,4% annuo a 135,5 miliardi;
- Base produttiva: eroso circa il 20% dall'inizio della crisi; 
- Ricchezza: bruciati circa 12 punti di Pil dall'inizio della crisi. 200 miliardi circa;
- Entrate tributarie: a maggio -0,7 miliardi rispetto allo stesso mese di un anno fa (a 30,1 miliardi, -2,2%). Nei primi 5 mesi del 2013 il calo è dello 0,4% rispetto ai primi 5 mesi del 2012;
- Gettito Iva: -6,8% nei primi 5 mesi del 2013, un vero disastro; 
- Potere d'acquisto delle famiglie: -94 miliardi dall'inizio della crisi, circa 4mila euro in meno per nucleo;
- Disoccupazione: sfondata quota 12,2%, dato peggiore dal 1977;
- Disoccupazione giovanile: oltre il 38%;
- Neet: 2,2 milioni nella fascia fino agli under 30, ragazzi che non studiano, non lavorano, non imparano un mestiere, totalmente inattivi;
- Precariato: contratti atipici per il 53% dei giovani (dato Ocse);
- Ammortizzatori: 80 miliardi erogati dall'Inps dall'inizio della crisi tra cassa integrazione e indennità di disoccupazione.

Napolitano blinda il Governo e nasconde i conti sotto il tappeto. Per la prima volta nel suo mandato, il presidente della Repubblica ha incontrato il ragioniere generale dello Stato. Ecco perchè:

 


- Debito pubblico: record a 2.074 miliardi, veleggiamo verso il 130% del Pil;
- Debito aggregato di Stato, famiglie, imprese e banche: 400% del Pil, circa 6mila miliardi;
- Pil: atteso un altro -2% quest'anno. Si aggiunge al -2,4 del 2012;
- Rapporto deficit/Pil: 2,9% nel 2013. Peggioramento ciclo economico Imu, Iva, Tares, Cassa integrazione in deroga lo portano ben oltre la soglia del 3%;
- Prestiti delle banche alle imprese: -5% su base annua nei mesi da marzo a maggio. In fumo 60 miliardi di prestiti solo nel 2012;
- Sofferenze bancarie: a maggio sono salite del 22,4% annuo a 135,5 miliardi;
- Base produttiva: eroso circa il 20% dall'inizio della crisi;
- Ricchezza: bruciati circa 12 punti di Pil dall'inizio della crisi. 200 miliardi circa;
- Entrate tributarie: a maggio -0,7 miliardi rispetto allo stesso mese di un anno fa (a 30,1 miliardi, -2,2%). Nei primi 5 mesi del 2013 il calo è dello 0,4% rispetto ai primi 5 mesi del 2012;
- Gettito Iva: -6,8% nei primi 5 mesi del 2013, un vero disastro;
- Potere d'acquisto delle famiglie: -94 miliardi dall'inizio della crisi, circa 4mila euro in meno per nucleo;
- Disoccupazione: sfondata quota 12,2%, dato peggiore dal 1977;
- Disoccupazione giovanile: oltre il 38%;
- Neet: 2,2 milioni nella fascia fino agli under 30, ragazzi che non studiano, non lavorano, non imparano un mestiere, totalmente inattivi;
- Precariato: contratti atipici per il 53% dei giovani (dato Ocse);
- Ammortizzatori: 80 miliardi erogati dall'Inps dall'inizio della crisi tra cassa integrazione e indennità di disoccupazione.

Fonte: Manlio Di Stefano - M5S -

mercoledì 17 luglio 2013

I miei ringraziamenti al Ministro Emma Bonino, per avermi "bannato" dalla sua Pagina Ufficiale

Buongiorno Signora Ministro Emma Bonino, volevo ringraziarla personalmente per il trattamento veramente particolare che ha rivolto alla mia persona, nella Sua Pagina Ufficiale di Facebook. Stamattina volevo entrare per postare un Link http://opinioneitalia.blogspot.com/2013/07/maro-italiani-in-india-la-vergogna-di_16.html?spref=fb e con sorpresa ho costatato che il mio ingresso non era più gradito. Mai mi sarei aspettato una cosa simile, da Lei poi, la Persona Democratica per antonomasia, quella che si è battuta per tutti (o quasi). Ammetto la mia insistenza, e di altri, nel richiamare la Sua attenzione verso DUE MIEI CONNAZIONALI vittime di una sorprendente superficialità della politica (con la "p" minuscola) oltre che di un paese, l'India, che prova le proprie forze con chi sa di poterlo fare. 
La mia denuncia maggiore, fatta nella sua pagina, è stata quella di sollecitarLa a rispondere ai vari commenti della "GENTE COMUNE" come me, di provocare una Sua reazione e di dimostrare il Suo senso democratico. Sono rammaricato e profondamente deluso, ma sicuramente i suoi problemi sono altri.....
Mi permetta comunque, di porgerLe anche le mie scuse, se in qualche Suo Post, sono uscito dal tema, riportando sempre e solo la Sua attenzione verso Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Mi scuso, per averLa imbarazzata con gli altri suoi "clienti" della pagina. Sa, io sono fatto così purtroppo, amo la mia Bandiera non solo quando gioca la Nazionale di calcio, sono un patriota e non riesco a stare sereno quando vedo che i DIRITTI DI DUE PERSONE, tra l'altro militari, vengono INDEGNAMENTE CALPESTATI. 
Chiedo infine le sue DIMISSIONI, non me ne abbia, ma dopo 514 GIORNI di totale assenza dello Stato in questa vicenda, mi sembra il minimo che si possa chiedere, visto poi che l'unica cosa che Lei ha ufficializzato da quando è al MAE, è stata che "vi state adoperando affinchè la vicenda si risolva in tempi brevi ed risolutivi"..... 
L'Italia per risollevarsi ha bisogno di orgoglio e di ITALIANI orgogliosi ne conosco a bizzeffe. Lasci il Suo posto a qualcuno che abbia a cuore i valori Nazionali, lei ha già dimostrato di non averne.

Colgo l'occasione per porgerLe i mie più sentiti Saluti

Nicola Marenzi

martedì 16 luglio 2013

MARO' ITALIANI IN INDIA: LA VERGOGNA DI DUE PAESI. di Stefano Tronconi


Questo documento vuole essere un contributo alla ricerca ed alla divulgazione della verità e può pertanto essere utilizzato sia come articolo da pubblicare sia come testo base da essere liberamente usato, modificato e ripubblicato da giornalisti o comuni cittadini di qualsiasi paese senza necessità di riconoscimento di alcun diritto a chi lo ha originariamente scritto
 
 

Documento realizzato il 15 Luglio 2013
di Stefano Tronconi
Sono trascorsi 17 mesi dal giorno del presunto incidente.
Erano all'incirca le 4 del pomeriggio del 15 Febbraio 2012 quando la nave italiana Enrica Lexie, in navigazione in acque internazionali al largo della costa dello stato indiano del Kerala, venne attaccata da una barca pirata. I marò italiani imbarcati sul mercantile a protezione dello stesso, come più volte da loro raccontato, respinsero l'attacco sparando colpi di avvertimento in acqua ed in aria finchè la barca pirata rinunciò all'attacco andandosene senza che vi fossero feriti né dall'una, né dall'altra parte.
In una cittadina non lontana lungo la costa del Kerala lo stesso giorno alle 11.20 della sera un peschereccio indiano tornò a riva in tutta fretta con i corpi di due pescatori uccisi, secondo la versione del proprietario del peschereccio, da colpi sparati da una nave sconosciuta.
La Guardia Costiera Indiana e la polizia locale con grande velocità dichiararono che i due incidenti erano collegati e la storia di due marò italiani, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, responsabili della morte di due pescatori indiani erroneamente scambiati per pirati conquistò le prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
Dopo 17 mesi, un lasso di tempo già di per sé incredibilmente lungo, i due Marò italiani sono ancora trattenuti in India con l'obbligo di non lasciare il paese, in attesa che le indagini sul loro caso vengano completate. Ma la notizia veramente sconvolgente è che sta ora emergendo una nuova ricostruzione, completamente diversa, di quanto effettivamente successo quel giorno.
Sulla base di nuovi documenti venuti alla luce nelle scorse settimane, appare evidente come non siano stati i Marò italiani a colpire i pescatori indiani. Piuttosto, risulterebbe chiaro come Salvatore Girone e Massimiliano Latorre siano stati deliberatamente 'incastrati' per ragioni legate a convenienze politiche ed elettorali in Kerala, mentre il debole governo centrale Indiano e l'altrettanto debole governo Italiano rimanevano in disparte lasciando che il caso venisse ignobilmente manipolato.
Le principali nuove prove documentali che hanno ribaltato e reso non credibile la versione indiana dei fatti sono le seguenti:
  1. l'intervista televisiva rilasciata a caldo dal proprietario del peschereccio indiano che al momento del ritorno a riva dichiara esplicitamente che l'uccisione dei due pescatori è avvenuta non intorno alle 4 del pomeriggio, come riportato nelle indagini della polizia del Kerala ed in corrispondenza dell'attacco pirata denunciato dall'Enrica Lexie, ma intorno alle 9.30 di sera ;
  2. il documento con cui la Guardia Costiera Indiana (GCI) chiede all'Enrica Lexie di far rotta verso Kochi per fornire spiegazioni sull'incidente denunciato porta l'orario delle 9.36 di sera che risulta in assoluto contrasto con le affermazioni contenute nell'indagine della polizia del Kerala ed in altri documenti della stessa GCI in cui viene dichiarato che l'intera operazione per portare l'Enrica Lexie in un porto indiano inizò intorno alle 7 di sera;
  3. infine, il rapporto trasmesso alle 10.20 della sera all'Organizzazione Marittima Internazionale da parte della nave greca Olympic Flair che denuncia un altro attacco portato da una barca pirata nelle acque prospicienti le coste del Kerala; in tale rapporto vi sono numerosi elementi che inducono a ritenere che sia stata proprio l'Olympic Flair e non l'Enrica Lexie ad incrociare la propria rotta con quella del peschereccio indiano il 15 Febbraio 2012.
Come è possibile che gli elementi sopra elencati non siano venuti alla luce per quasi un anno e mezzo? Come è possibile che l'intera indagine della polizia del Kerala indichi luoghi ed orari dei presunti incidenti tali da far sembrare che siano stati i Marò italiani ad aprire il fuoco verso i pescatori indiani? Cos'è accaduto in Kerala nelle ore successive ai presunti incidenti per spingere i responsabili delle indagini a costruire un castello di quelle che ora appaiono false accuse contro i due Marò italiani?
Non bisogna dimenticare che nei giorni degli incidenti il Primo Ministro del Kerala, Chandy, era impegnato in elezioni supplettive locali che secondo tutti i sondaggi sarebbero state decise da una manciata di voti. Il 16 Febbraio 2012 il sig. Chandy si ritrovò con due pescatori uccisi (e le potenti organizzazioni dei pescatori locali che richiedevano in piazza un colpevole ad ogni costo), una nave italiana che, nella certezza di non aver nulla da nascondere, aveva accettato di entrare nel porto di Kochi, ed una nave greca, probabile involontaria colpevole dell'uccisione dei due pescatori, che ormai aveva preso il largo.
Cosa farebbe in una simile situazione un politico senza scrupoli a cui poco interessa la giustizia, ma molto il potere? Le ripetute dichiarazioni a cadenza pressochè giornaliera fatte dal sig. Chandy nei giorni immediatamente successivi agli incidenti, prima cioè che una qualsiasi seria indagine avesse potuto avere luogo, in cui dichiara l'esistenza di prove inconfutabili contro i Marò italiani e che nessuna clemenza sarebbe stata usata nei loro confronti, suonano decisamente molto sospette. Tali affermazioni sembrano essere in primo luogo indicazioni, neppure troppo velate, date ai responsabili delle indagini sulla via da seguire, ma soprattutto erano precisamente ciò che molti elettori volevano sentirsi dire e che da lì a poco avrebbero portato Chandy a vincere le elezioni locali con un margine di voti molto pù ampio di quanto previsto.
Nel frattempo il governo centrale Indiano, notorio per la sua incapacità di muoversi con decisione e velocità su qualsiasi materia, come da consuetudine, non riusciva a formulare una linea unitaria da seguire in un caso indubbiamente senza precedenti. Alcuni ministri ed esperti di diritto erano pienamente consapevoli che l'India stava violando leggi e norme internazionali alla base delle relazioni tra Stati sovrani in caso di incidenti simili. Tuttavia, nella situazione di generale confusione è stato sufficiente per il sig. Chandy garantirsi la copertura politica dell'allora ministro degli esteri Krishna (lo stesso ministro che in occasione di un discorso alle Nazioni Unite non era stato in grado di distinguere il proprio discorso da quello di un rappresentante portoghese ed iniziò a leggere il discorso sbagliato tra l'imbarazzo e l'ilarità generale) per poter condurre in porto il proprio piano.
Ma come è stato possibile che il governo italiano per ben 17 mesi abbia abbandonato al loro destino due propri soldati, non abbia presentato alcuna formale protesta a nessuna delle numerose organizzazioni internazionali e/o multilaterali di cui fa parte ed abbia di fatto accettato ogni sorta di violazione della propria sovranità nazionale?
Purtroppo lo Stato italiano, che fino a questo momento è riuscito a non dichiarare ancora la bancarotta finanziaria, è ormai da circa vent'anni in una situazione di bancarotta morale ed etica di fatto. L'alternativa tra governi di centro-destra, di centro-sinistra e di grandi coalizioni, nonché di governi guidati da cosiddetti 'tecnici' non ha in realtà prodotto alcuna differenza e la reputazione dell'Italia a livello internazionale ha continuato ad inabissarsi. Tanto il governo dei 'tecnici', in carica al momento e per gran parte della durata di questa vicenda, quanto quello in carica da pochi mesi hanno sempre avuto un unico, vergognoso messaggio per le autorità indiane nei trascorsi 17 mesi: 'La vicenda dei due Marò non dovrà avere alcun impatto sulle relazioni commerciali tra i due paesi'. In altre parole, gli affari vengono prima della giustizia. La medesima vergognosa filosofia che ha portato alcuni giorni fa ad un'altra 'debacle' internazionale con l'espulsione dall'Italia verso il Kazakhstan della moglie e della figlia di un leader dell'opposizione kazakha. Di fronte ad una tale debolezza italiana perfino un governo indiano considerato debolissimo in patria non ha sentito la necessità di far prevalere la giustizia o trovare una soluzione all'imbarazzante caso ed all'imbarazzante comportamento delle autorità in Kerala.
Bene, fino a pochi giorni fa i governi indiano ed italiano stavano ancora pensando di poter continuare il loro gioco intorno a questa vicenda in modo da trovare una qualche soluzione alle spalle dei due Marò per salvare la propria faccia. A questo punto, dopo che la nuova documentazione è venuta finalmente alla luce, noi pensiamo invece che la soluzione da trovare sia solo quella di chiedere immediatamente l'assoluzione e permettere il pronto rientro a casa dei due Marò verosimilmente innocenti. Diciassette mesi lontani dalle loro famiglie a causa di torbide ragioni di Stato mentre i loro figli adolescenti crescono senza un padre al fianco sono un periodo di tempo decisamente troppo lungo da accettare anche per due leali soldati di qualsiasi nazione.
Ciò che invece dovrebbe avviarsi subito sia in India che in Italia è una seria indagine per far luce su tutti gli errori, i comportamenti illeciti e quelli criminali che hanno caratterizzato questa vicenda fin dal suo inizio. E' un atto che entrambi i paesi devono ai propri cittadini. I cittadini italiani non dovrebbere vivere con l'idea che il governo del proprio paese sia pronto a sacrificarli in qualsiasi momento a favore di un qualche contratto commerciale. I cittadini indiani non dovrebbero vivere con l'idea che chiunque venga a trovarsi per sfortuna sulla strada del potente di turno (se un fatto simile a capitato a due soldati italiani, significa che può accadere a milioni di indiani) sia a rischio di perdere dignità e libertà. Se gli Stati nazionali non sono in grado di garantire i diritti fondamentali dei propri cittadini non hanno alcuna ragione di esistere o meritare rispetto a livello internazionale. E questo vale tanto per l'India che per l'Italia.
Stefano Tronconi