giovedì 30 gennaio 2014

Marò: «Pena di morte? Il governo ci ripensa»

La stampa indiana rivela il possibile dietrofront del Governo dopo le pressioni internazionali. Il tribunale rinvia al 25 febbraio.


Sul caso marò, il governo indiano ci ripensa: o almeno così scrive l’Indian Express. Di fronte alle crescenti pressioni contro l’applicazione nella vicenda dello stringente Sua Act che prevede la pena di morte - nella giornata di mercoledì c’era stata anche quella dell’Unione Europea -, il governo ha chiesto al ministero dell’Interno -sostiene il quotidiano indiano- di rivedere il suo «via libera» a invocare la legge nel caso specifico: «Al ministero - si legge ancora- è stato richiesto di considerare il fatto che la legge è stata pensata per far fronte ad atti di terrorismo e pirateria e questo non è il caso dell’omicidio dei due pescatori».
Fonti del ministero della Giustizia hanno detto che all’attorney general (l’autorità giudiziaria competente per il caso) verrà chiesto di riconsiderare la sua opinione alla luce di questo punto. «Il suo parere - riferiscono i media indiani - sarà esaminato dal ministro della giustizia a differenza dell’ultima volta». Alcuni funzionari del dicastero non hanno voluto confermare la notizia, ma hanno riferito che «il governo sta ancora valutando le azioni da prendere in futuro a causa delle ramificazioni internazionali».

IL RINVIO - Il tribunale speciale di New Delhi ha rinviato intanto al 25 febbraio la discussione su lla richiesta della polizia investigativa Nia di trasferire i maro’ sotto la tutela dello stesso tribunale.

L’ITER - La decisione del giudice Darmesh Sharma, della «session court» di New Delhi, è stata adottata in considerazione del fatto che il 3 febbraio è attesa una udienza per il ricorso italiano presso la Corte Suprema contro l’eventuale applicazione per il caso della legge per la repressione della pirateria (Sua Act). La Difesa ha chiesto al magistrato di aspettare l’esito di questo esame prima di prendere in considerazione la richiesta della polizia Nia di avviare il processo presso il tribunale speciale. Per quanto riguarda invece la presentazione degli attesi capi di accusa («chargeesheet»), il Pubblico ministero, rappresentante del governo, ha detto che questo potrà avvenire dopo che il massimo tribunale indiano si sarà espresso sul ricorso italiano. Dopo aver fissato la data del rinvio, il giudice Sharma ha chiarito che «qualora la Nia formalizzasse i capi di accusa, procederò in base alla legge».

mercoledì 29 gennaio 2014

È SPARITO MARIO MONTI, CHIAMATE “CHI L’HA VISTO?”



Sesso: maschile
Età: 70 anni
Nazionalità: italiana
Corporatura: gracile
Voce: robotica
Capelli: bianchi
Abbigliamento: lo chiamavano l’uomo in loden
Scomparso da: pianeta Terra
Segni particolari: tassatore seriale
Soprannomi: StraordiMario, Super Mario, Bin Loden, Rigor Montis


Lanciamo un appello disperato e straziante a tutti i politici italiani, al Parlamento, alla Bocconi e ai tecnici di tutto il mondo. Dov’è Mario Monti? Dov’è finito e cosa fa tutto il giorno? Per carità immaginiamo quanto sia dura e difficile la vita da senatore (a vita), quanta fatica e quante pene debba patire tutti i santi giorni costui.
 
Ad oggi infatti su 2.624 votazioni elettroniche è stato presente in aula il 9,60% di esse, mentre per il 43,79% risulta assente, povera stella. Ma ciò che più ci disorienta è quel 46,61% in cui risulta in missione. Ma in missione dove? A fare cosa? Sarà mica in missione per conto di Dio?

Eppure c’è stato un periodo in cui StraordiMario era stato il Presidente del Consiglio, sembra una vita fa, ma è passato a malapena un anno. È un pò come quando ti lasci con una ragazza insignificante e dopo un paio di settimane non ti ricordi nulla di ciò che avete fatto insieme, a stento ricordi il nome e i tratti somatici. Insomma non era il vero amore e non lo è stato nemmeno il nostro Mario.

Ah ma il nostro piccolo amico Mario ogni tanto si sbizzarrisce sui social networks, sarà anche un settantenne ma ci dà dentro come un teen-ager infuocato.Gli stati più recenti di Facebook è Twitter parlano di patti di coalizione con non si sa bene chi e poi scorrendo indietro nel tempo poco o nulla, con messaggi empi di qualsiasi carica emotiva, grigi, spenti, lenti, fiacchi. Chissà se a casa Mariolino ha la televisione a colori? Secondo me sì, ma la vede inspiegabilmente in bianco e nero.

Però va detto Mario, quando era famoso, era proprio un burlone simpaticone. Vi ricordate quando da Presidente del Consiglio in carica in veste di tecnico super-saggio, sceso in terra  per salvare l’Italia, dichiarò: “Sono un senatore a vita, non mi candiderò alle prossime elezioni, non ne ho bisogno.” (Corriere della Sera; 25 Settembre 2012)

Oppure ancora prima ne disse una in stile Quelo di Corrado Guzzanti: “Non la si vede nei numeri, ma io invito a constatare che la ripresa, se riflettiamo un attimo, è dentro di noi ed è una cosa che adesso è alla portata del nostro Paese e credo anche che arriverà presto.” (Intervista Tg Norba 24; 5 Settembre 2012).

Fantastico Mario, un simpatico umorista. Sì, ma ora dov’è?
Negli ultimi giorni girano delle voci inquietanti nei corridoi di casa Letta. Rimpasti, Governi-bis, nuova squadra dell’esecutivo. Non è che sotto sotto, tomo tomo e cacchio cacchio StraordiMario ci riapparirà lindo e pinto come, che so, nuovo superministro di un claudicante Letta-bis?
Ma no dai, ha già chiarito tutto, proprio via face, scrivendo: “In primo luogo, mi pare del tutto improbabile che mi venga chiesto di entrare a far parte del governo. Comunque non sarei disponibile, né per l’Economia né per altre posizioni.

Oh Mario, stavolta ci fidiamo, non facciamo scherzi!

Fonte:  http://www.ildisonorevole.it/

lunedì 27 gennaio 2014

La Bonino emette sentenze: Latorre e Girone la situazione è causata da chi ora si agita, di Fernando Termentini

Il Ministro Bonino dichiara oggi a Radio24, come riporta un quotidiano nazionale, che Governo ha scelto la linea “non degli urli, senza slabrature, con una posizione solida anche dal punto di vista giuridico: questa era la strada da seguire”.
 
RAI: CONVEGNO  - UNO SGARDO DIVERSO - CON MINISTRO ELSA FORNEROContinua affermando che tra chi oggi si agitano tanto sono all’origine del “caso marò” e specifica che i militari si trovavano sopra una nave per una legge “una legge più che discutibile su cui, come Radicali, votammo contro” Il decreto sulle missioni La Russa specifica “Un decreto che prevedeva la presenza di militari su navi civili, senza stabilire per bene le linea di comando”.
Si può anche condividere il pensiero che la legge 130 del 2011 in base alla quale sono previsti Nuclei Militari di Protezione a bordo delle navi sia da migliorare e per taluni aspetti sia necessario rivederne anche i decreti attuativi, ma il Ministro degli Affari esteri non si può limitare a fare del caso una palestra solo politica solo perché i radicali allora ancora in Parlamento votarono contro la legge.
Nessuno contesta il sacrosanto diritto democratico di esprimere giudizi ed opinioni, ma dalla Rappresentante della Farnesina, quarantennale paladina del rispetto dei diritti umani e della “trasparenza di Stato”” ci si aspetterebbero anche altre precisazioni.
Un paio di puntualizzazioni in particolare. Perché il Ministro non si pone anche il dubbio sulle responsabilità di chi ha deciso di estradare i militari Italiani il 22 marzo 2013 contro i vincoli imposti dalla Costituzione sugli obblighi da rispettare se lo Stato “ricevente” preveda la pena di morte, un atto compiuto con decisione autonoma, senza alcuna decretazione di un Tribunale italiano ed in assenza di prove certe. Ed ancora, perché non si domanda il motivo per cui, nonostante fosse in atto in Italia un’indagine a loro carico per omicidio volontario , la Procura di Roma al termine del permesso natalizio e di quello elettorale non abbia trattenuto in Italia Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, garantendo alla giustizia italiana di fare il suo corso.

In passato il Ministro ha parlato di essere pronta ad aprire “i dossier” e ne condividiamo la sua decisione, ma non ne dimentichi qualcuno, solo perché magari potrebbe far emergere nomi a lei vicini per comuni frequentazioni in ambito internazionale.

Se così non fosse sarebbe assolutamente condivisibile l’appello di Crosetto affidato all’ANSA: ”
Maro’: Crosetto, Bonino dovrebbe dimettersi”.

Fonte: http://www.lavalledeitempli.net/

martedì 21 gennaio 2014

India stratega e SUA Act: ma L’Italia é o ci fa?, di Andrea Lenoci


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Da diversi giorni continua nuovamente a rimbalzare sulle più importanti testate giornalistiche, italiane e indiane soprattutto, la possibilità che il Ministero dell’Interno indiano, organo di controllo della Polizia federale NIA, decida di invocare l’applicazione della SUA Act del 2002, per le imputazioni a carico di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.


La «Legge per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima e le strutture fisse sulla piattaforma continentale», meglio conosciuta con l’acronimo «SUA Act», è uno strumento giuridico adottato dall’India nel 2002 per dare esecuzione a un’omonima Convenzione internazionale firmata a Roma nel 1988 dopo il dirottamento della nave Achille Lauro, avvenuto tre anni prima da parte di un gruppo di terroristi palestinesi. Questa Convenzione definisce per la prima volta il concetto di «terrorismo marittimo» e permette a uno Stato di estendere la sua giurisdizione anche al di fuori delle proprie acque territoriali in caso di crimini su navi o strutture fisse. Ed è per questo che viene evocata nel caso della Enrica Lexie, perchè l’incidente è avvenuto al largo del Kerala in acque non territoriali, ma contigue, dove l’India ha alcuni «diritti sovrani» ma non la piena «sovranità».

Ciò che appare inverosimile è la cecità di molti giornalisti i quali, piuttosto che scavare a fondo nelle motivazioni che inducono a queste scelte, si limitano a riprodurre fedelmente quanto riportato da altri. Ed è per questo motivo che l’opinione pubblica mondiale, viene bombardata negli ultimi giorni, dalla preoccupante possibilità che i fucilieri della Marina Militare italiana possano essere condannati alla pena di morte, piuttosto che preoccuparsi di altro.

Intendiamo subito sfatare un mito: Latorre e Girone non potranno mai essere condannati alla pena di morte, anzi le motivazioni della volontà di applicazione del Sua Act, vanno ricercate altrove. La tanto temuta Section 3 del Sua Act infatti, recita testualmente:
3. Whoever unlawfully and intentionally …
(i) causes death to any person shall be punished with death;
Traduzione:
3. Chiunque illecitamente e intenzionalmente …
(i) causa la morte di una qualsiasi persona sarà punito con la morte;
E palese quindi che in caso di morte, l’unica pena prevista è quella capitale. Nel caso di specie però, interviene un altro strumento giuridico indiano, definito Extradiction Act del 1962, la cui Section 34C recita:
34C. Provision of life imprisonment for death penalty. Notwithstanding anything contained in any other law for the time being in force, where a fugitive criminal, who has committed an extradition offence punishable with death in India, is surrendered or returned by a foreign State on the request of the Central Government and the laws of that foreign State do not provide for a death penalty for such an offence, such fugitive criminal shall be liable for punishment of imprisonment for life only for that offence.
Traduzione:
34C. Fornitura di ergastolo per la pena di morte. Nonostante quanto contenuto in qualsiasi altra legge, per il momento in vigore, dove un criminale, che ha commesso un reato punibile con la pena di morte in India, viene ceduto o restituito da uno Stato estero su richiesta del governo centrale e le leggi di tale Stato estero non prevedono la pena di morte per tale reato, quel criminale è responsabile solo per la pena della reclusione a vita per tale reato.
Sfatato il mito della pena di morte, cerchiamo ora di capire i motivi per cui, il Ministero dell’Interno indiano stia puntando alla previsione prevista dal Sua Act. In tal senso, ci viene in aiuto la Section 13:
13. Presumptions as to offences under section 3.-In a prosecution for an offence under sub-section (1) of section 3, if it is proved:
(a) that the arms, ammunition or explosives were recovered from the possession of the accused and there is reason to believe that such arms, ammunition or explosives of similar nature were used in the commission of such offence;
(b) that there is evidence of use of force, threat of force or any other form of intimidation caused to the crew or passengers in connection with the commission of such offence; or
(c) that there is evidence of an intended threat of using bomb, fire, arms, ammunition, or explosives or committing any form of violence against the crew, passengers or cargo of a ship or fixed platform located on the Continental Shelf of India,
the Designated Court shall presume, unless the contrary is proved, that the accused had committed such offence.
Traduzione:
13. Presunzioni per quanto riguarda i reati di cui alla sezione.
In un procedimento penale per un reato ai sensi del sub-paragrafo (1) della sezione 3, se è provato:
(A) che le armi, munizioni o esplosivi sono stati recuperati dalla commissione di tale reato;
(B) che vi sono prove di uso della forza, la minaccia della forza o qualsiasi altra forma di intimidazione causato all’equipaggio o dei passeggeri in relazione alla commissione di tali reati, oppure
(C) che c’è prova di una minaccia intenzionale per l’uso di bombe, incendi, armi, munizioni o esplosivi o di commettere qualsiasi forma di violenza contro l’equipaggio, passeggeri o carico di una nave o piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale dell’India,
il giudice designato deve presumere, salvo prova contraria, che gli imputati hanno commesso tale reato.
Pertanto, detta disposizione prevede un’inversione dell’onere della prova, ossia che non sarà più l’accusa a dover dimostrare che i militari italiani siano terroristi o che comunque che vi sia volontarietà nelle proprie azioni. In quel caso, sarebbe infatti la difesa dei marò a dover dimostrare che gli imputati non abbiano commesso il fatto o che non vi sia stata intenzionalità

Arrivati a questo punto, dovreste aver ben chiaro in mente la strategia dell’India. Nella fase delle indagini sono state eseguite (per così dire) attività che hanno permesso l’acquisizione di fonti di prova da presentare alla Corte per ottenere la condanna degli imputati, così come avviene in un normale procedimento penale. Tuttavia, le lesioni al diritto di difesa dei due marò sono state innumerevoli. La difesa non ha potuto assistere o intervenire nell’acquisizione delle prove, non ha potuto muovere obiezioni, nè nominare consulenti tecnici.
Inoltre, si è permesso, a mio modo di vedere, intenzionalmente, che le prove andassero distrutte, al fine di impedire ulteriori esami, rendendo di fatto i primi accertamenti eseguiti, atti irripetibili: mi riferisco ad esempio alla cremazione dei corpi dei due pescatori, sebbene gli stessi fossero cattolici; oppure all’affondamento del peschereccio St. Anthony.

Per questo motivo infatti, la NIA ritiene fondamentale l’introduzione del Sua Act: perché l’attività investigativa delle Autorità del Kerala non sono sufficienti a supportare l’accusa in giudizio. In tal senso, con l’inversione dell’onere della prova, l’accusa non dovrà motivare o provare nulla, perché dovrebbe essere la difesa a fornir prova del contrario.
Inoltre, come potrà la difesa produrre delle prove inequivocabili se non ha avuto accesso alla fase di indagine e se tali reperti siano andati distrutti?

E su questo che la stampa si deve battere. L’India ha ben chiara in mente la strategia da seguire e, dati alla mano, in questi 23 mesi ha attuato strategie e manovre per giungere agli obiettivi prefissati, davanti all’autorevole spettatore, quale è lo Stato italiano, che arrivava sempre in ritardo, riuscendo a carpire la strategia, solo quando questa veniva portata a compimento.


Fonte: http://inostrileoni.altervista.org/

sabato 18 gennaio 2014

Fa scalpore in India la ribellione dell’Italia: “Non siamo terroristi, Marò a casa”.


marò

Vasta eco sulla stampa indiana ha suscitato il ricorso presentato alla Corte Suprema dell’India a firma congiunta dell’ambasciatore italiano a New Delhi Daniele Mancini e dei due Marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. 

L’autorevole The Times of India di New Delhi spiega la situazione in un articolo dal titolo “Italian marines urge SC to close case against them”, cioè “I marines italiani sollecitano la Corte Suprema a chiudere il caso contro di loro”, nel quale i ricorrenti accusano gli inquirenti di non avere neanche dato inizio al processo, sebbene i vertici della Corte avessero impartito giusto un anno fa (sentenza del 18 gennaio 2013, ndr) chiare istruzioni perché si conducesse un procedimento rapido e snello. 

Inoltre, il quotidiano riporta che i ricorrenti hanno anche richiesto la concessione del via libera per l’immediato ritorno in Italia dei due Marò, i quali hanno garantito la loro presenza in India per il processo, se e quando questo verrà avviato. Secondo il ToI, l’ufficio del procuratore capo P. Sathasivam che ha ricevuto il ricorso ha accordato un’udienza per esaminarlo e discuterlo già per lunedì 20 gennaio, mentre la decisione in merito alla sua ammissibilità dovrebbe avvenire entro il 26 gennaio, cioè quattro giorni prima dell’udienza preliminare del processo per la quale la NIA, l’agenzia antiterrorismo, ha già annunciato di non essere in grado di produrre il documento istruttorio, lasciando intendere di voler chiedere un ulteriore rinvio della fase iniziale del dibattimento.

La principale valenza della pubblicazione di queste notizie sugli organi di stampa è quella di avere il merito di evidenziare tutte le omissioni e l’insieme di atti arroganti ed arbitrari della NIA, che ha disatteso tutte le indicazioni della Corte Suprema in merito al procedimento ad essa affidato, perché si chiudessero le indagini e si producesse una istruttoria conclusiva entro l’inizio della scorsa estate. In particolare, oltre ai termini per arrivare alla conclusione del caso, la NIA ha deliberatamente derogato dalla direttiva della Corte perché eventuali reati dei Marò fossero valutati in un serie di legislazioni accuratamente elencate, cioè quelle che riguardano le Acque Territoriali, la Piattaforma Continentale, la legge del 1976 per la Zona Commerciale Esclusiva e le altre Zone Marittime, il Codice Penale dell’Unione Indiana, il Codice di Procedura Criminale e la normativa internazionale UNCLOS, quella che se applicata avrebbe riconosciuto sul caso Marò la competenza giurisdizionale dell’Italia, non dell’India. Per evitare questo riconoscimento, la NIA ha deciso di sua spontanea iniziativa di applicare la legge antiterrorismo del SUA Act 2002, trattando i Marò alla stregua di infami ed avidi pirati che ammazzano e depredano, meritevoli della pena capitale, come ha puntualmente denunciato l’avvocato Diljeet Titus che ha materialmente depositato il ricorso.

Questo documento, dopo aver lamentato il tentativo di far trasferire la responsabilità della custodia dei Marò dalla Corte Suprema, che ha disposto i domiciliari presso l’ambasciata italiana, al tribunale giudicante, cioè in galera, precisa le motivazioni delle richieste italiane, affermando che “alla luce dei pesanti ritardi, delle inadempienze e degli errori procedurali dell’Unione Indiana nell’attenersi pedissequamente alle precise indicazioni della Corte Suprema, e persino della provata incapacità a produrre accuse o ad avviare un procedimento, i due indagati dovrebbero essere sollevati da ogni accusa a loro carico, od in subordine dovrebbe essere loro concesso di rientrare in Italia sino a quando la loro presenza non sia ritenuta necessaria da una corte indiana, ovvero che sia dato inizio ad un regolare procedimento giudiziario nei loro confronti”.

Stessi contenuti sul popolarissimo The Hindustan Times, ma con toni più polemici ed un titolo sarcastico con un gioco di parole:”Italian marines want murder case killed”, cioè “I Marò italiani vogliono per morto un caso di omicidio”, col quale mancano di sottolineare la sete di giustizia che ha spinto i Marò a ricorrere, sottintendendo perfidamente e subdolamente che invece i Marò si augurano un colpo di spugna che cancelli la loro vicenda per sottrarsi alle proprie responsabilità. Nel suo articolo, il quotidiano di Calcutta riconosce però che giudicare per pirateria i due fucilieri del San Marco, oltre a contravvenire esplicitamente a tutte le direttive impartite dalla Corte Suprema, equivarrebbe a definire l’Italia uno stato terrorista meritevole di essere incluso nella lista degli Stati Canaglia, il che francamente sembra troppo persino al disincantato e vagamente sciovinista giornale bengalese.

Spietato ed inquietante l’interrogativo posto sul sito dell’agenzia d’informazione Zeenews of India che prende spunto dalle proteste contro le inefficienze della giustizia indiana denunciate nel ricorso dei Marò ed in altri casi giudiziari indiani: “Is Supreme Court losing its moral authority? Lawyers wonder “, cioè “La Corte Suprema sta perdendo la sua autorità morale? si interrogano i giuristi”, ovvero : “Ma la Corte conta ancora?”. Questo è anche quanto si chiede il collegio di difesa di Latorre e Girone di fronte alle inaudite e spontanee iniziative della NIA prese contro ed in dispregio dell’autorità della Corte Suprema. Zeenews attribuisce al governo italiano la decisione per questa iniziativa “contro la decisione della NIA di invocare la legge antiterrorismo per giudicare i Marò italiani, con ciò definendo l’Italia un paese di terroristi ed agendo di propria iniziativa ed in modo esattamente opposto a quello specificatamente ed inequivocabilmente indicato dal massimo organo giudiziario dell’India”. Più chiari di così!

Un comportamento definito “indesiderabile” quello di inquirenti e magistrati della NIA, così come quello di altri magistrati indiani in molti altri procedimenti e duramente censurato da ex giudici della Corte che denunciano questa “moda fuori legge” che sta prendendo piede in India, con la costruzione di castelli accusatori basati su accuse delle quali neanche si verifica veridicità e fondatezza. Dopo aver richiamato la stampa ad osservare maggiore cautela nel riferire circa casi giudiziari (i nostri Marò sono continuamente indicati come i killers dei pescatori, non gli indagati o gli accusati per il duplice omicidio, ndr), un giurista ha affermato :”Sono veramente contrariato dal danno irreparabile che queste accuse (tipo quelle oggetto del ricorso dei Marò, ndr) producono all’immagine delle istituzioni. 

Se continuiamo ad occuparci di casi giudiziari al di fuori delle regole giudiziarie ed i media continuano ad essere incuranti del rispetto dei più fondamentali principi costituzionali del diritto alla riservatezza e della presunzione di innocenza (con l’applicazione della SUA i Marò sarebbero ritenuti colpevoli, non innocenti, sino a prova contraria, ndr), allora la Corte Suprema non sarà più in grado di mantenere quella dirittura morale e quella autorità che sono essenziali in una democrazia”. A questo richiamo l’associazione degli avvocati penalisti aggiunge una raccomandazione buona anche per il caso dei Marò :”La stampa deve essere più circospetta e concedere ai procedimenti giudiziari almeno il tempo perché comincino a meglio delinearsi ed a definirsi prima di poter tranciare dei giudizi di parte od avventate conclusioni……E’ nella natura del ruolo del giudice esprimersi a favore di una parte o dell’altra, ma è certo che ogni giudice (che agisce contravvenendo le regole, ndr) è facilmente contrastabile e vulnerabile ad attacchi ben motivati”. Come nel caso dei Marò. Staremo a vedere. 

Fonte:  http://www.qelsi.it/

L’emergenza marò schianta Miss India Italy 2014


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C'è un grosso punto interrogativo sul concorso di bellezza Miss India Italy 2014, in programma il 23 febbraio in Puglia, terra d'origine dei due Marò. Dopo l'articolo de Il Tempo e le reazioni che ne sono scaturite sia nel mondo politico che nella galassia dei gruppi web che si battono per la libertà dei fucilieri, gli organizzatori stanno valutando la possibilità di non tenere la manifestazione a Bari.


Nella giornata di ieri, dopo i primi commenti sulla bacheca, sono state anche temporaneamente messe off-line le pagine Facebook che pubblicizzavano l'appuntamento. Il presentatore della serata, Antonio Dimita, ha così spiegato la scelta: «Erano comparsi insulti e commenti negativi da parte di sostenitori della libertà per i marò italiani. Nelle prossime ore comunicheremo se l'evento si farà o meno». Ragioni di opportunità politica e delicatezza verso le famiglie si sono incrociate con la reale possibilità che le famiglie delle ventidue ragazze iscritte al concorso potessero indurle a rinunciare alla partecipazione. In merito all'organizzazione della sfilata, dall'ambasciata dell'India a Roma una fonte ha fatto sapere che allo stato non era pervenuta alcuna comunicazione del concorso di bellezza promosso nella terra d'origine dei marò.

«No a #missindiaitaly. oltretutto a Bari, città natale di Girone. Prima riportiamo a casa #marò poi, in caso, se ne può parlare»: questo è stato il tweet di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia. Il senatore Luigi D'Ambrosio Lettieri, coordinatore di Forza Italia nel capoluogo pugliese: «Spero che gli organizzatori desistano. E che il sindaco di Bari trovi il tempo per battere un colpo su una vicenda che aggiungerebbe dolore ai familiari e vergogna alle istituzioni».

Il popolo del web ha affrontato la querelle con passione e toni accesi: «Via da Bari, liberate i nostri fucilieri»; «Stop senza se e senza ma». E infine su Twitter : «Se poi qualche pazzo va lì a fare casini, con chi se la prendono?».

Fonte:  http://www.iltempo.it/

venerdì 17 gennaio 2014

LE ARMI CHIMICHE SIRIANE VERRANNO STOCCATE A GIOIA TAURO E SMALTITE IN ASPROMONTE. I CALABRESI SI MOBILITANO


 

E' il porto calabrese di Gioia Tauro quello nel quale verranno stoccate le armi chimiche provenienti dalla Siria, per poi essere smaltite in parte nell'ex base americana di Nardello, a Gambarie d'Aspromonte, e in parte tombate nelle gallerie dismesse dell'A3. Annunciata dal capo dell'Opac (l'Organizzazione per la proibizione delle Armi Chimiche), Ahmet Uzumcu, la conferma dell'operazione è stata data dal ministro dei Trasporti Maurizio Lupi alle Commissioni riunite Affari esteri e Difesa di Camera e Senato. 
 
 
Il diplomatico turco ha assicurato che "E' stata presa ogni misura possibile per uno stoccaggio sicuro: i rischi sono molto evidenti e abbiamo preso tutte le misure per ridurli al minimo ed una volta sotterrate per più di cento anni non ci sarà nessun rischio per la sicurezza della popolazione. Passato questo arco di tempo nessuno se ne ricorderà più".

"Si tratta della più importante operazione di disarmo degli ultimi 10 anni, più importante di quella che sta avvenendo in Libia. Poi i calabresi devono stare in silenzio visto quanti miliardi di euro si sono fregati truffando l'Unione Europea, con i fondi all'agricoltura e alla pesca.", ha detto il ministro degli Esteri Emma Bonino.
Durissima la reazione del governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, che attacca Letta e Bonino: "Vogliono portare un territorio alla guerra civile. Il governo sappia che la Calabria non accettera' che questa operazione possa mettere a repentaglio la sicurezza dei cittadini e dell'ambiente".
Le amministrazioni locali stanno alzando la voce con il governo per impedire che la Calabria diventi "la pattumiera d'Italia".
Una nuova Scanziano ci aspetta...I calabresi si stanno mobilitando in massa!!!
 
Fonte:  http://notiziepericolose.blogspot.it/

Marò, anche l’Europa in campo «In bilico gli accordi con l’India».


 

«Qualora l’India dovesse decidere che i due marò italiani devono essere giudicati per capi di imputazione che contemplano la pena di morte, inevitabilmente l’Europa non potrebbe proseguire le trattative sugli accordi di libero scambio né, tanto meno, continuare a mantenere la situazione di favore con la concessione di tariffe agevolate».

Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Europea, è categorico. Spiega anche da che cosa derivano queste certezze.
«La posizione dura non è mia, è dell’Europa tutta ed è nei fatti. Per l’Europa la pena di morte è inaccettabile. Non dimentichiamo che l’Europa ha preso un Nobel per la pace per il rifiuto della pena di morte. Nella Ue, altro dato importante, non è prevista l’estradizione in Paesi dove viene applicata la pena capitale. Impossibile, quindi, continuare a trattare. Non sto parlando di una ipotetica condanna, mi riferisco anche ai capi di imputazione».

Che da due anni non sono stati ancora formulati.
«Appunto. Allora viene da dire che se non ci sono neanche i capi di imputazione, li rimandino a casa».

Ma non è così immediato.
«Occorre procedere per gradi e ritengo che, rispetto all’incolpazione, ci si può concedere un cauto ottimismo. Soprattutto dopo le dichiarazioni del ministro degli Esteri indiano che ha escluso l’ipotesi di applicazione della legge antiterrorismo».


Che cosa sta accadendo in queste ore?
«C’è un grande lavoro diplomatico e non soltanto da parte dell’Italia. Anche l’ambasciatore Ue, con discrezione, sta operando a Nuova Delhi, così come altri ambasciatori europei, sempre dietro le quinte, si stanno adoperando per risolvere la questione».

Barroso si è impegnato?
«Assolutamente e pienamente. Mi ha ribadito che la Commissione europea farà tutto il possibile per giungere a un positivo epilogo». 

Le pressioni cominciano a farsi sentire?
«Non sono mai mancate. È ovvio, però, che con il ricomparire sulla scena dell’ipotesi pena di morte, si sono rinforzate. In ballo c’è molto: le trattative per gli accordi commerciali, le agevolazioni. Senza considerare che si tratta di due militari italiani che erano impegnati in una missione internazionale contro la pirateria. Un’eventuale incriminazione per terrorismo, come un’ipotetica condanna, mettono a rischio la partecipazione dell’Italia alle missioni di pace del futuro».

Che cosa auspica?
«Nessuna imputazione di terrorismo, un processo rapido ed equo che riporti i due fucilieri in Italia. Tanto più che loro erano in acque internazionali e su suolo italiano, perché la nave che li ospitava è italiana».

Se fosse stato ministro degli Esteri ai tempi della licenza premio in Italia, li avrebbe fatti ripartire?
«Assolutamente no. Come dicevo, l’Europa non concede l’estradizione in Paesi dove vige la pena di morte. Non c’era alcun motivo di rimandarli in India, avevano già dimostrato ampiamente disponibilità e correttezza».

Il testo della lettera firmato dai 58 (su 73) deputati italiani in Europa e inviata al presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e all'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione Catherine Ashton per chiedere un impegno maggiore delle istituzioni comunitarie nella vicenda dei marò: 
Illustre Presidente, Illustre Alto Rappresentante,
come è noto, tra Italia ed India è in corso una disputa nata dall’arresto da parte delle autorità indiane il 15 febbraio 2012 di due Fucilieri della Marina italiana, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, impegnati in un’azione antipirateria in acque internazionali.
A tal proposito, il Parlamento europeo nel maggio 2012 ha adottato una risoluzione sulla "pirateria marittima" in cui ribadiva che "in base al diritto internazionale, in alto mare si applica sempre alle navi e al personale militare a bordo la giurisdizione nazionale dello Stato di bandiera". Le autorità italiane hanno sempre ritenuto che l’India violasse gli obblighi di diritto internazionale consuetudinario e pattizio, in particolare il principio dell’immunità dalla giurisdizione degli organi dello Stato straniero e le regole della Convenzione ONU sul Diritto del Mare (UNCLOS) del 1982.
Nonostante l’Italia abbia a lungo promosso un dialogo con le autorità indiane per la ricerca di una soluzione diplomatica del caso, dopo quasi due anni questa vicenda continua a essere contrassegnata da azioni da parte dell’India non in linea con le consuetudini o le prassi giuridiche applicabili. 
Da ultimo, l’ipotesi di applicare la “Sua Act”, la legge antipirateria che prevede anche la pena di morte.
Solo l'ipotesi di prendere in considerazione una condanna a morte nell’ambito dell´azione giudiziaria avviata contro i due fucilieri della marina italiana, non può non suscitare indignazione presso le Istituzioni europee tutte, sia in quanto palese violazione dei diritti uomo sia perché l'Ue ha ricevuto il Nobel per la pace anche per il suo forte impegno in tutte le sedi istituzionali contro la pena di morte.
Non si tratta, quindi, solo di una vicenda bilaterale tra due Stati, ma è in gioco il ruolo della diplomazia europea e i principi consuetudinari del diritto internazionale.
A tal fine, Le chiediamo di esercitare tutti i poteri e le funzioni attribuite dal Trattato di Lisbona al fine di assistere il Governo italiano, paese fondatore dell’UE, in questa complicata disputa internazionale e in particolare di verificare passo dopo passo la legittimità delle azioni e delle procedure che l’India ha intrapreso o che intende intraprendere, con l’obiettivo primario di far rispettare i legittimi diritti dei due marò (a distanza di due anni non sono stati definiti in modo chiaro i capi di imputazione), scongiurare l’ipotesi di condanna a morte e avvalersi di ogni strumento giuridico, politico e diplomatico a disposizione dell’UE per consentire ai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone di poter essere giudicati da un tribunale italiano.
(tratto da: ioamolitalia)

I nomi dei sottoscrittori (solo 56) secondo i media:
Raffaele Baldassarre (Ppe/Fi), Giovanni La Via (Ppe/Ncd), David Maria Sassoli (Sd/Pd), Niccolò Rinaldi (Alde/Idv), Giuseppe Gargani (Ppe/Popolari per l’Europa), Lorenzo Fontana (Efd/Ln), Cristiana Muscardini (Ecr/Csr), Carlo Fidanza (Ppe/Fdi), Magdi Cristiano Allam, Antonello Antinoro, Alfredo Antoniozzi, Paolo Bartolozzi, Sergio Berlato, Fabrizio Bertot, Mara Bizzotto, Franco Bonanini, Vito Bonsignore, Mario Borghezio, Rita Borsellino, Antonio Cancian, Salvatore Caronna, Carlo Casini, Lara Comi, Silvia Costa, Francesco De Angelis, Paolo De Castro, Susy De Martini, Luigi Ciriaco De Mita, Leonardo Domenici, Franco Frigo, Elisabetta Gardini, Salvatore Iacolino, Vincenzo Iovine, Clemente Mastella, Barbara Matera, Erminia Mazzoni, Cludio Morganti, Alfredo Pallone, Pier Antonio Panzeri, Aldo Patriciello, Mario Pirillo, Vittorio Prodi, Licia Ronzulli, Oreste Rossi, Potito Salatto, Matteo Salvini, Amalia Sartori, Giancarlo Scottà, Marco Scurria, Sergio Paolo Francesco Silvestris, Salvatore Tatarella, Patrizia Toia, Gino Trematerra, Giommaria Uggias, Iva Zanicchi, Andrea Zanoni.
I nomi di chi, facendo la differenza, non hanno firmato (non ne è dato sapere la motivazione): 
Andrea Cozzolino (PD), Enzo Rivellini (FI), Fiorello Provera (LN), Francesca Balzani (PD), Francesca Barracciu (PD), Francesco Speroni (LN), Gianni Vattimo (IdV), Giovanni Pittella (PD), Guido Milana (PD), Herbert Dorfmann (Popolari per l'Europa), Lorenzo Fontana (LN), Luigi Berlinguer (PD), Pino Arlacchi (PD), Roberta Angelilli (NCD), Roberto Gualtieri (PD), Sergio Cofferati (PD), Sonia Alfano (Indipendente), Tiziano Motti (Per L'Italia).
Tratto da: http://veraitalia.blogspot.it/

Marò, governo chiede a India rientro in Italia in attesa processo.


Il governo ha chiesto all'India di fare rientrare in Italia i due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in attesa del processo. E' quanto si legge in una nota diffusa al termine di un vertice ad hoc a Palazzo Chigi con il premier Enrico Letta e i ministri di Esteri e Difesa, Emma Bonino e Mario Mauro.


Lo scorso 13 gennaio l'inviato speciale in India ha presentato alla Corte suprema indiana "una petizione urgente, nella quale si sollecita la formulazione da parte indiana del capo d'imputazione, si esprime ferma opposizione all'eventuale ricorso alla legge sulla sicurezza marittima (Sua Act) e si chiede che i marò possano rientrare in Italia in attesa del processo".

Il governo ribadisce "la propria ferma aspettativa che il governo indiano tenga fede alle assicurazioni fornite, coerenti con le indicazioni della Corte suprema, riguardo al fatto che il caso in questione non rientra tra quelli oggetto della normativa antipirateria", che prevede anche la pena di morte, e dice che proseguirà la propria azione anche a livello internazionale.

Girone e Latorre sono accusati di avere ucciso due pescatori indiani mentre si trovavano a bordo della petroliera Enrica Lexie per una missione antipirateria, nel febbraio 2012.
Lo scorso novembre il ministro Bonino aveva detto che il governo indiano aveva "fretta di chiudere" il caso.

Il predecessore di Bonino, Giulio Terzi, si dimise in segno di protesta contro la decisione di fare rientrare i due militari italiani in India, dove sono sottoposti a un regime di semilibertà.

Fonte:  http://it.reuters.com/

IL SEQUESTRO DEI MARO' LATORRE E GIRONE - IL NUOVO RICORSO ALLA CORTE SUPREMA INDIANA (DA NOI DA TEMPO INVOCATO) DOVREBBE PORTARE FINALMENTE AD UNO SBLOCCO DELLA VICENDA , di Stefano Tronconi

17 Gennaio 2014


Non c'è proprio niente da fare! I giornalisti italiani pare proprio che di questa pur complicata vicenda (come d'altra parte avviene per molte altre vicende, soprattutto in campo internazionale) riescano a capirci ben poco. Se poi chiamano in soccorso i cosiddetti esperti di diritto internazionale, come hanno in più occasioni fatto in questi ultimi giorni per esprimere valutazioni sul nuovo ricorso da parte italiana alla Corte Suprema indiana, si cade quasi sempre dalla padella nella brace e di questa storia si finisce con il capirne ancora meno. Come se nelle relazioni internazionali tra Paesi esistesse davvero altro diritto se non quello del più forte e del più scaltro! 


Nella vicenda del sequestro dei nostri Marò per l'Italia tutti quelli degli avvocati e dei cosiddetti esperti di diritto internazionale sono stati fin dall'inizio costi a perdere. Non perché gli avvocati e gli esperti coinvolti fossero tecnicamente impreparati, ma perché tutte le decisioni prese sono state sempre e solo decisioni politiche (per quanto infiocchettate con dotti riferimenti normativi piegati alle circostanze) che hanno visto confrontarsi un Paese forte e scaltro (oltreché arrogante e prepotente) come l'India ed un Paese debole e stupido (nel senso di incapace di capire il contesto) come l'Italia. Ovviamente la stessa cosa accadrà anche in occasione della nuova decisione che nelle prossime settimane la Corte Suprema indiana si accinge a prendere sul caso dei nostri Marò.

E' da quando nel Giugno scorso abbiamo smascherato i falsi compiuti nelle indagini della polizia del Kerala e portato alla luce le numerose prove a sostegno dell'innocenza di Latorre e Girone che ripetiamo che si tratta solo di trovare la soluzione 'tecnica' (ovviamente supportata dalla volontà politica) per uscire da una vicenda che neppure l'India è da allora più in condizione di gestire come aveva immaginato. Purtroppo l'immobilità e la vigliaccheria del governo italiano da un lato, e la litigiosità interna, con la presenza di interessi contrapposti, di quello indiano dall'altro, hanno finora impedito che questa soluzione emergesse. Tuttavia l'ulteriore prolungamento di questa farsa non è ormai più sostenibile neppure per il governo indiano. Prendendo poi atto che anche in questa fase il governo italiano ha comunque scelto di perseguire la soluzione del caso mettendosi al totale servizio di quello indiano malgrado le ripetute umiliazioni subite, vediamo dunque di analizzare di seguito (in verità, in gran parte, ripetere) quali sono le tre principali ipotesi di soluzione del caso che con la nuova chiamata in causa della Corte Suprema abbiamo davanti a noi.

Preliminarmente è comunque doveroso ribadire che il ritorno alla Corte Suprema rappresenta da tempo l'unica soluzione ormai disponibile per provare a ritrovare un bandolo della matassa che nessuno da tempo ha più tra le mani. Lo scorso 21 Settembre scrivevamo: “Essendovi però una sentenza della Corte Suprema che questo processo lo impone, ecco spuntare l'idea al governo indiano di tornare proprio alla Corte Suprema stessa per cercare di uscire assieme dall'imbuto in cui tanto la politica che la magistratura indiana si sono infilate con le proprie mani e trovare una nuova 'soluzione' che risparmi all'India una vergogna internazionale. (omissis) Il ritorno davanti alla Corte Suprema indiana sarebbe in verità un'opportunità anche per l'Italia”.
Poiché purtroppo il governo italiano questa soluzione più volte fatta balenare dagli elementi più costruttivi presenti all'interno del governo indiano sembrava proprio non essere in grado di intravederla, ci immaginiamo che durante la recente ultima visita di De Mistura in India sia stato lo stesso ministro degli esteri indiano (o chi per lui), esasperato dall'insussistenza della controparte italiana, che abbia alla fine scelto di afferrare l'imperturbabile De Mistura per il colletto della camicia e gli abbia imposto sotto dettatura i contenuti di questo benedetto nuovo ricorso ora presentato alla Corte Suprema.
Immaginiamo anche che ciò sia avvenuto il giorno in cui il comico involontario De Mistura, ancora sconvolto per l'epifania appena sperimentata nell'incontro con Kurshid (o chi per lui) e per la 'sottigliezza' e l''audacia' di un'iniziativa che a distanza di due anni l'Italia si accingeva per la prima volta ad intraprendere, nel successivo incontro con i giornalisti italiani abbia poi profferito le sue famose parole che 'in questa vicenda bisogna essere un po' come Macchiavelli'.

Scherzi a parte, le possibili vie d'uscita al pasticcio che la Corte Suprema indiana potrebbe considerare sono molteplici, ma qui ci concentreremo sulle tre che a noi appaiono maggiormente plausibili.

La prima strada che, va ricordato, è stata lasciata aperta dalla sentenza emessa nel Gennaio 2013 dal panel di giudici guidato dall'allora presidente della Corte Suprema Kabir (ora in pensione), è quella della giurisdizione del processo in quanto tale sentenza non aveva in realtà sciolto in modo definitivo la questione, affermando invece che una tale decisione avrebbe dovuto essere presa dalla nuova Corte Speciale costituita ad hoc e presso cui il governo italiano sarebbe stato libero di far valere le proprie ragioni. Una sentenza non solo scellerata, ma soprattutto pilatesca e tutta politica quella emessa sotto la guida di Kabir che in sostanza decideva di non decidere e che aveva come scopo principale quello di allontanare da sé il dover prendere una decisione impopolare. Ma che comunque lascia oggi ancora aperto questo importante spiraglio che la Corte Suprema indiana potrebbe tornare ad utilizzare.

Una seconda strada l'aveva sempre suggerita quasi sotto voce il solito ministro degli esteri indiano Kurshid (che se anziché essere impiegato da Team India si fosse trovato a lavorare per Team Italia avrebbe riportato Latorre e Girone in Italia già due anni fa nel giro di pochi giorni come è riuscito a fare di recente con l'assistente d'ambasciata indiana Khobragade finita sotto processo negli Stati Uniti).
Anche questa strada noi l'avevamo chiaramente indicata nel nostro articolo del 28 Ottobre scorso quando scrivevamo: “Cosa ha detto recentemente di importante Kurshid? La traduzione delle sue parole, che riportiamo nel modo più letterale possibile, è la seguente: ““Questa (la vicenda dei marò) è materia penale ed in materia penale accordi extra-giudiziari tra le parti non sono possibili. In materia penale solo una corte di tribunale può ordinare, sulla base delle accuse e di altre considerazioni, la ricerca di un accordo extra-giudiziario”. Ricordiamo per inciso che quello di prendere l'iniziativa per ritornare con coraggio e schiena dritta alla Corte Suprema indiana è un auspicio che abbiamo formulato da tempo, ma che purtroppo è rimasto del tutto inascoltato. “ Questa seconda possibile via d'uscita è rappresentata così chiaramente dalle parole di Kurshid che ogni altra spiegazione ci sembra superflua.

La terza strada è che la Corte Suprema opti per ritornare a quello che sarebbe stato il modus operandi che l'India aveva scelto di percorrere per disinnescare la vicenda dopo la sentenza dello scorso Gennaio.
La Corte Suprema indiana infatti era ben consapevole di aver emesso una sentenza 'porcata' nei confronti di Latorre e Girone. Visto che però l'Italia aveva già accettato ogni tipo di umiliazione ed aveva accettato che l'India facesse il bello ed il cattivo tempo con due propri soldati senza mai accennare alla benché minima ritorsione, mai si sarebbe aspettata che tutto d'un tratto l'Italia si lanciasse in un'operazione così discutibile, confusa e suicida come quella di annunciare di trattenere i Marò in Italia, salvo poi fare la più umiliante delle marce indietro che ha lasciato esterefatto il mondo intero. Quello che l'India pensava di fare, in altre parole, nel Gennaio-Febbraio 2013 era di far fare qualche viaggetto avanti ed indietro tra India ed Italia a Latorre e Girone lasciando che le nuove indagini si perdessero negli infiniti meandri della giustizia indiana, mentre l'opinione pubblica indiana poco alla volta perdeva cognizione di dove si trovassero effettivamente i due fucilieri di marina. Una soluzione poco trasparente, lontano dai riflettori, pensata sulla base del fatto che negli undici mesi trascorsi era ormai risultato evidente che l'India poteva permettersi di fare ciò che voleva e di trovare quindi la soluzione a lei più congeniale, mentre un'Italia inginocchiata avrebbe accettato qualsiasi cosa. Non si spiega altrimenti infatti l'attribuzione di una licenza di ben quattro settimane concessa a Latorre e Girone nel Febbraio 2013, mentre le nuove indagini sul caso ordinate dalla Corte Suprema non venivano neppure fatte partire.

A quel punto però accadde l'inimmaginabile. Va infatti qui ricordato incidentalmente che il nuovo 8 Settembre italiano di cui si sono resi protagonisti il presidente Napolitano, l'attuale senatore (della vergogna) a vita Monti e quasi tutti i ministri del governo tecnico allora in carica (in quanto la spinta per tutelare i più svariati interessi economici con l'India a scapito dei poveri Latorre e Girone sembra aver coinvolto oltre ai tristemente famosi Terzi, Di Paola e De Mistura numerosi ministri e vice-ministri, nonché altri esponenti politici dell'estrazione più varia), cambiò radicalmente l'atteggiamento indiano che, al rientro dei nostri Marò al termine delle famose quattro settimane di licenza, decise di fare pagare duro il tentato 'sgarbo' italiano e far pagare tutta l'incapacità e la vigliaccheria della classe politica italiana alle vittime sacrificali nelle loro mani Latorre e Girone.
Come scrivevamo il 3 Settembre scorso con riferimento alla decisione assunta nell'Aprile 2013 di equiparare i soldati italiani a dei potenziali terroristi: “Shinde ha in un colpo solo di fatto ottenuto di allungare nuovamente i tempi della vicenda ed ha perpetrato l'ennesimo sgarbo all'Italia, perché chiunque capisce che la polizia anti-terrorismo nulla ed in nessun caso avrebbe dovuto avere logicamente a che fare con la vicenda dei marò.” Ma in quel momento l'India avrebbe letteralmente potuto fare quello che voleva dei due marò con l'intero mondo rimasto a bocca aperta di fronte all'inimmaginabile nuova Caporetto diplomatica italiana. E fu così che dei soldati italiani in missione internazionale finirono con il venire accostati a dei terroristi senza che nessuno al mondo se la sentisse di schierarsi dalla parte della solita Italia da operetta. Tutto questo avveniva, va ricordato, con il nuovo governo già insediato, con Letta, Bonino e Mauro che, indifferenti all'attribuzione alla polizia anti-terrorismo delle indagini sui nostri Marò, andavano raccontando la favo-letta che in India si stava preparando nei confronti dei Marò un processo 'giusto' e 'veloce' e con il comico involontario De Mistura che ribadiva a più riprese che l'India aveva grandemente apprezzato che l'Italia avesse rispettato la parola data di far rientrare in India i Marò.
La parentesi NIA = Soldati Italiani equiparati a terroristi quindi è servita unicamente a far trascorrere nove mesi di detenzione aggiuntiva in India a Latorre e Girone come espiazione per l'incompetenza assoluta mostrata da chi governa l'Italia. Ora però la parentesi NIA è destinata ad essere verosimilmente chiusa dalla Corte Suprema perché, come scrivevamo il 2 Dicembre scorso “1) la 'richiesta di condanna a morte' che vorrebbe presentare la NIA non è compatibile con le assicurazioni date dal governo indiano a quello italiano;
2) lo statuto della NIA non è compatibile con lo svolgimento di un processo in un tribunale speciale così come stabilito dalla sentenza della Corte Suprema Indiana;
3) le fonti del diritto indiano individuate dalla stessa Corte Suprema per la celebrazione del processo (codice penale, codice di procedura penale, legge del mare ed Unclos) con l'esclusione però della SUA (soppressione degli atti di pirateria) minerebbero la legittimità stessa della NIA quale titolare delle indagini.”.

Dopo questo lungo inciso, che però ci è sembrato utile per far meglio capire perché ad un anno di distanza dalla prima sentenza della Corte Suprema ci si ritrovi ancora esattamente allo stesso punto, tornando alla terza strada che potrebbe imboccare la Corte Suprema per indirizzare il caso verso una sua conclusione, si può oggi ipotizzare che la Corte da un lato rivolga un rimprovero di facciata al governo indiano per il fatto che ad oltre un anno di distanza non si sia ancora arrivati a presentare dei capi d'imputazione contro i Marò, lo inviti a muoversi nel rispetto delle linee della precedente sentenza dell'Alta Corte (il che comporterebbe o l'avvio di nuovi indagini attraverso una diversa agenzia investigativa od una modifica dello statuto della NIA che permettesse a questa di operare senza dover fare riferimento alle norme anti-terrorismo), ma nel frattempo autorizzerebbe il rientro in Italia di Latorre e Girone in quanto nella sua precedente sentenza la Corte Suprema aveva stabilito che il processo avrebbe dovuto svolgersi con la massima speditezza sulla base di udienze giornalieri ed essere concluso entro un anno. In questo caso la via d'uscita sarebbe, come abbiamo già detto sopra, quella poco trasparente e lontano dalla luce dei riflettori di lasciare poi perdere l'inchiesta negli infiniti meandri della giustizia indiana con Latorre e Girone però finalmente autorizzati a rientrare in Italia.

A questo punto ci fermiamo perché visto il livello di complessità raggiunto dalla vicenda Marò, ogni nostro articolo finisce con il divenire assai più lungo di quanto inizialmente inteso a prescindere da quale sia l'angolatura che si utilizzi.
Vogliamo noi sostenere con questo articolo che una soluzione a breve della vicenda che consenta il ritorno in Italia di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è ormai assicurata? Questo non ce la sentiamo ovviamente di affermarlo perché con la magistratura indiana (come avviene in Italia) le sorprese sono sempre dietro l'angolo come ben sa chiunque abbia avuto esperienze dirette con l'India, perché interessi diversi all'interno del governo indiano continuano a persistere e soprattutto perché il governo italiano continua comunque vergognosamente a subordinare il destino di Latorre e Girone alla salvaguardia degli interessi economici esistenti.
Ciò che ci rende però ottimisti, rimanendo assodata l'irrilevanza dell'Italia, è il fatto che sia oggi in primo luogo interesse dell'India trovare una via d'uscita al caso che, una volta da noi portata alla luce l'innocenza di Latorre e Girone, non può più passare attraverso il processo staliniano condotto sulla base di prove false costruite a tavolino come era intenzione fare nel periodo Marzo-Giugno 2013. Per quanto riguarda i tempi prevedibili, visto che alle elezioni politiche indiane mancano ormai meno di quattro mesi e che la Corte Suprema avrà bisogno di più udienze per sentire le parti ed arrivare a nuove determinazioni …... il conto è presto fatto.

Fonte: https://www.facebook.com/stefano.tronconi.79?hc_location=timeline

IL SEQUESTRO DEI MARO' LATORRE E GIRONE - RINVIO ALLA CORTE SUPREMA COME PREVISTO, di Stefano Tronconi

14 Gennaio 2014


Chi si documenta su questa pagina fb sa bene che ormai da molti mesi il cosiddetto processo in India è ormai una cosa drammaticamente seria per Massimiliano Latorre, Salvatore Girone e le rispettive famiglie, ma è anche una delle più grandi prese per i 'fondelli' che i governi, le istituzioni ed i vari centri di potere italiani ed indiani abbiano mai messo in atto nei confronti delle rispettive opinioni pubbliche.
Per questo motivo stasera non ce la sentiamo neppure noi di fare un commento serio alla notizia che l'Italia abbia deciso di presentare un ricorso alla Corte Suprema indiana così che il processo possa rimanere nuovamente bloccato per le prossime settimane in risposta alle esigenze politiche del Partito del Congresso.

L'unico dubbio era se questo passo per un ulteriore rinvio l'avrebbe preso il governo indiano, il giudice del tribunale speciale o il governo italiano.
Alla fine la cosiddetta diplomazia italiana, sempre prona e pronta ad offrire i propri servigi al governo indiano, ha scelto di essere lei a togliere tutti dall'imbarazzo come aveva preannunciato il fantastico personaggio in cui si è ormai trasformato De Mistura che appunto ieri aveva preannunciato un'iniziativa forte.

In sostituzione del commento serio, forse più convincente anche perchi nutra ancora qualche dubbio sul fatto che quella a cui assistiamo non è altro che una farsa, un'opera buffa giocata sulla pelle di due uomini innocenti (tra l'altro con poca fantasia) alleghiamo due testimonianze del passato:

1) un estratto del nostro articolo del del 21 Settembre scorso (ovviamente l'intero post è sempre disponibile su questa pagina) in cui invitavamo già allora il governo italiano ad imboccare l'unica strada possibile per uscire dall'impasse con il ritorno appunto davanti alla Corte Suprema.

2) un video dell' 8 Settembre scorso in cui, con oltre due mesi di anticipo e nel mezzo della bagarre di articoli che dibattevano il da farsi (come avvenuto negli ultimi tempi con la questione della pena di morte) , spiegavamo che la vicenda dell'interrogatorio dei 4 fucilieri colleghi di Latorre e Girone era solo un altro stratagemma per perdere tempo e che si sarebbe concluso con l'interrogatorio all'interno dell'ambasciata indiana di Roma. Giusto come utile ripasso il video contiene anche il servizio di Toni Capuozzo per il TG5 che spiegava perchè Latorre e Girone sono innocenti.

Il commento di questa non può quindi essere che quello che in questa vicenda drammatica e criminale non c'è davvero nulla di serio.


Estratto dell'articolo pubblicato lo scorso 21 Settembre:

"E' in un simile contesto che nella nota da me pubblicata Domenica scorsa avevo parlato di nuove ipotesi di 'compromesso' che avrebbero potuto essere ventilate in concomitanza con la nuova visita in India di De Mistura, ed ecco per l'appunto la pubblicazione dell'articolo sull'Economic Times.
Per le ragioni spiegate sopra l'apertura di un processo a carico dei nostri marò (in qualsiasi delle tre alternative descritte) rischierebbe per l'appunto di trasformarsi in un vero e proprio disastro per l'immagine dell'India. Essendovi però una sentenza della Corte Suprema che questo processo lo impone, ecco spuntare l'idea al governo indiano di tornare proprio alla Corte Suprema stessa per cercare di uscire assieme dall'imbuto in cui tanto la politica che la magistratura indiana si sono infilate con le proprie mani e trovare una nuova 'soluzione' che risparmi all'India una vergogna internazionale. Insomma, quella del nuovo ricorso alla Corte Suprema non è in realtà un nuovo schiaffo all'Italia, come molti hanno superficialmente commentato tanto sui giornali che sui social network, ma semplicemente il tentativo di provare finalmente ad uscire da un vicolo cieco e di trovare una soluzione che danneggi il meno possibile l'immagine dell'India quale Stato democratico e di diritto.
Soluzione che gli indiani sarebbero già stati costretti a trovare da alcune settimane se solo la classe politica e la stampa (che ne è a tutti gli effetti il riflesso in quanto ad impotenza ed incompetenza) italiane fossero state meno inerti.

Il ritorno davanti alla Corte Suprema indiana sarebbe in verità un'opportunità anche per l'Italia, che avrebbe l'occasione di rendere formalmente edotta la Corta (che pure ormai ne è informata benissimo), se non dell'intera ricostruzione Capuozzo/Di Stefano/Tronconi (lasciando in questo modo alle autorità indiane l'accertamento di eventuali crimini commessi da Chandy, Antony e tutti gli altri elementi con loro collusi della polizia, delle forze armate e della magistratura), quanto meno delle principali prove documentali a sostegno di tale ricostruzione e cioè:
il video '21.30' di Freddy Bosco;
il messaggio '21.36' della Guardia Costiera indiana
il report '22.20' dell'Olympic Flair
che sebbene rappresentino solo parte delle prove e degli indizi a favore di Girone e Latorre, già di per sé offrirebbero abbastanza elementi per mettere del tutto in crisi l'originale impianto accusatorio.
In altre parole, l'Italia questa volta davanti alla Corte Suprema si troverebbe nella condizione di poter tirare un calcio di rigore, avendo questa volta del tutto il coltello dalla parte del manico."

http://www.video.mediaset.it/video/mezzi_toni/full/406422/puntata-dell-8-settembre.html

Puntata dell'8 settembre - Video Mediaset
www.video.mediaset.it

Fonte: https://www.facebook.com/stefano.tronconi.79

mercoledì 15 gennaio 2014

IL SEQUESTRO DEI MARO' LATORRE E GIRONE, A PROPOSITO DI INFORMAZIONE MANIPOLATA DA PARTE DI UN GIORNALISMO BUGIARDO E SERVILE: COMMENTIAMO L'ARTICOLO APPARSO IERI SU LA STAMPA E …........ LA 'MALEDIZIONE' DELLA VEDOVA, di Stefano Tronconi

13 Gennaio 2014
Sabato ci chiedevamo se in Italia esist...esse ancora un giornalismo degno di tale nome.
Ieri, mentre fingevamo di rimanere in attesa di una risposta alla nostra domanda retorica, giusto per ricordarci che nel nostro moribondo Paese il giornalismo al servizio del potere non dorme mai e raggiunge livelli ogni giorno più infimi abbiamo letto commenti disinformati, senza senso e fuori tema in merito alla vicenda marò sui giornali più vari, da Il Manifesto (a firma Matteo Miavaldi) a Il Giornale (a firma Alessandro Sallusti), coprendo così l'intero spettro politico della vergogna.
La palma d'oro di giornata dell'indecenza va però a nostro avviso al quotidiano La Stampa di Torino con la pubblicazione di un articolo malamente e frettolosamente messo assieme a firma di Tomaso Clavarino.

In tale articolo, con l'evidente intento manipolatorio di provare a distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica italiana dall'innocenza dei nostri marò (innocenza che tanto sembra dar fastidio al governo in carica ed ai media nostrani in quanto ne mette in evidenza l'assoluta incompetenza ed inettitudine dimostrata per due anni), nonché dall'incredibile prepotenza ed arroganza di un governo indiano screditato e corrotto che arriva fino al punto di poter pensare di equiparare dei soldati italiani a dei terroristi, si torna a rispolverare l'immagine dei pescatori indiani come uniche vere vittime di questa interminabile vicenda (tecnica di distrazione di massa già nota, usata in passato ed amata in particolare dal ministro Bonino).
Dei due soldati italiani innocenti sequestrati e privati della loro libertà da 23 mesi praticamente nell'articolo non se ne parla se non per sottintendere, neppure velatamente, che, pur in assenza di alcuna prova, i colpevoli non possano che essere loro.

Innanzitutto l'articolo di Clavarino viene presentato come scritto da Kollam ed anche il titolo 'Nel villaggio dei pescatori uccisi: “I Marò? Non Vogliamo Vendetta”' dà al lettore l'idea di un servizio fatto sul posto.
Se l'autore abbia davvero scritto da Kollam l'articolo in questione non possiamo ovviamente né confermarlo, né escluderlo con certezza. Diciamo però semplicemente che per farlo gli sarebbe bastato chiudersi in una stanza d'albergo dotata di collegamento internet ed usare il sistema del copia ed incolla in quanto le notizie riportate sono tutte rintracciabili su vecchi articoli di giornale indiani. Da qui il sospetto che l'esercizio di copia ed incolla possa essere stato svolto dall'autore tanto a Kollam che in una qualche zona della cintura torinese o in qualunque altro luogo del mondo l'autore si trovasse nel momento in cui la direzione de 'La Stampa' (immaginiamo sollecitata a sua volta da qualche telefonata giunta da Roma) lo abbia chiamato per incaricarlo di mettere insieme con urgenza un articolo con chiara funzione diversiva rispetto al focus delle notizie di questi giorni.

Il dubbio nasce dal fatto che l'articolo pubblicato da La Stampa non ha infatti davvero niente di originale e fin dall'inizio (cosa che ci ha fatto subito suonare il campanello d'allarme visto che godiamo di buona memoria) ci ha ricordato un articolo pubblicato da un giornalista di nome Shaju Philip (lui sì verosimilmente da Kollam) il 29 Dicembre scorso sul quotidiano The Indian Express. L'immagine usata per l'avvio di entrambi gli articoli è infatti pressoché la medesima anche se poi l'articolo di Clavarino viene ovviamente orientato nella direzione del messaggio che si vuole dare a bere ai lettori de La Stampa ed ovviamente integrato e sviluppato con estratti da altri articoli ed immagini di repertorio (anche per evitare così di cadere in una possibile accusa di plagio). In altre parole, Clavarino non sarebbe altro che un allievo di più noti predecessori che della tecnica del copia ed incolla, integrata con poca fantasia e molta ideologia, ne ha fatto non solo un libro, ma anche una tecnica orgogliosamente rivendicata.

Entrambi gli articoli si aprono comunque nello scenario del cimitero dove è sepolto Valentine Jelestine, uno dei due pescatori indiani rimasto ucciso il 15 Febbraio 2012. Mentre l'Indian Express però, con maggiore verosimilitudine, inizia l'articolo descrivendo la visita quotidiana della vedova Dora al cimitero e prosegue poi con l'intervista della stessa, il nostro Tomaso Clavarino al cimitero preferisce immaginarsi di incontrare e far parlare (molto brevemente) niente meno che un bambino, Jeen, l'orfano 12enne figlio di Jelestine, probabilmente pensando così di riuscire ancora meglio nell'intento di poter far leva su un ipotetico senso di colpa che ritiene doveroso creare nel lettore italiano.

Tornando agli articoli, il senso di entrambi è quello di trasmettere il messaggio che la famiglia di Jelestine non vuole vendetta nel caso dei marò.
Mentre però le parole di Dora pubblicate su The Indian Express sono molto esplicite: “Lasciateli andare. Non voglio che sui miei figli ricada la maledizione dei marò”, l'articolo su La Stampa si limita 'cattocomunisticamente' ad un “Non vogliamo vendetta, non proviamo rancore, ed anzi siamo vicini alle famiglie dei due soldati italiani che stanno vivendo, anche loro, una situazione difficile e dolorosa”. Infatti il messaggio che il Clavarino deve dare agli Italiani è sempre quello dei marò che hanno ucciso i pescatori, dei marò che in fondo stanno pagando per il loro errore e degli 'indiani' che in tutta questa vicenda sono in fondo solo brave persone da capire (come già detto, narrazione già utilizzata in passato dal ministro Bonino che ritiene così di poter giustificare i propri fallimenti).

E se poi l'articolo su The Indian Express si concentra quasi esclusivamente sul fatto che la vita di Dora e della sua famiglia, malgrado il dolore, sia ora proiettata verso il futuro, l'articolo de La stampa riprende invece sì alcuni di questi aspetti, ma non perde l'occasione per ripresentare alcune delle prove fabbricate e già smentite contro Latorre e Girone arrivando anche a ricordarci il più esilarante dei rischi che oggi correrebbe il St. Anthony (la barca sui cui i pescatori hanno trovato la morte), cioè quello, ci ricorda Clavarino, che ignoti (si intende possibili complici di Latorre e Girone) potrebbero compiere atti tesi a cancellare le prove dell'incidente. Peccato che chi ha seguito la vicenda sappia benissimo che il St. Anthony è già stato fatto volontariamente affondare dalle autorità del Kerala pochi mesi dopo l'incidente, e lasciato in acqua a lungo prima di essere ripescato, proprio per far sì che ogni traccia dell'incidente (tracce che avrebbero facilmente potuto escludere ogni responsabilità dei nostri marò) fosse cancellata per sempre.

Un articolo, quello de La Stampa, vergognoso dall'inizio alla fine e che per questo motivo si guadagna la palma del peggiore nella giornata di ieri. Ma poiché è stato proprio il giornale torinese a richiamarci involontariamente l'attenzione sull'articolo uscito due settimane fa su The Indian Express, vogliamo ora continuare noi a commentare quell'articolo che appunto si apriva con la visita al cimitero alla tomba di Valentine Jelestine. Ed ovviamente lo facciamo a modo nostro, ripartendo proprio dalla frase di Dora (“Lasciateli andare. Non voglio che sui miei figli ricada la maledizione dei marò”) e lo facciamo a questo punto senza reticenze benchè la frase di Dora celi evidentemente un travaglio interiore che rispettiamo.

Sì perchè siamo assolutamente convinti che la signora Dora, come d'altronde gli altri pescatori coinvolti nell'incidente del St. Anthony, sappia benissimo che i marò italiani non c'entrano niente con la morte di suo marito. Ed è per questa ragione che oggi ne teme la 'maledizione' (una maledizione che va ovviamente intesa come oggettiva, dovuta cioè ai 'comportamenti' ed al male compiuto verso degli innocenti, e non certamente come soggettiva in quanto Latorre e Girone, per come tutti li abbiamo potuti conoscere in questi due anni, non sarebbero certo persone capaci di augurare maledizioni a nessuno).
La signora Dora, che nella sua semplicità è ben consapevole della differenza tra bene e male, non vuole più essere responsabile del male e del dolore causato ai marò ed alle rispettive famiglie, cerca di tirarsene fuori e lo afferma nel modo a lei più chiaro e più forte possibile.
La signora Dora niente vuole avere a che fare con la maledizione che sente finirà per colpire tutti coloro che continuano a chiudere il cuore e la mente al dolore dei marò e delle loro famiglie.
E la signora Dora in fondo ha probabilmente ragione di pensare di potersi liberare in questo modo dal rischio della maledizione, perché in ogni cultura popolare, in ogni religione la maledizione è legata al crimine ed al peccato, ma il peccato alla fine è legato al potere (di incidere più o meno sul peccato).
La maledizione ed il peccato in questa storia non appartengono quindi più alla signora Dora che si è limitata ad accettare un risarcimento a lei comunque dovuto (e per il quale lei ha l'unica colpa di aver chiuso gli occhi sul fatto che venisse dallo Stato Italiano a cui non competeva).
La maledizione ed il peccato appartengono oggi (e devono appartenere) a chi da quasi due anni può fare e non fa, a chi deva fare e non fa, a chi appunto ha chiuso il cuore e la mente al dolore dei marò e delle loro famiglie, a chi, se non carnefice in prima persona, sceglie comunque di lavarsene le mani ed accetta per ragioni politiche che un crimine enorme come questo venga reiterato ogni giorno nei confronti dei marò e delle loro famiglie da quasi due anni a questa parte.

Qualcuno nei palazzi della politica e delle istituzioni italiane ed indiane e nei palazzi dei grandi media che hanno messo in atto il processo mediatico colpevolista contro Latorre e Girone sente aleggiare su di sé la stessa maledizione che sente e su cui mette in guardia la signora Dora? Oppure accecati dal loro senso di effimero potere e con la mente annebbiata dalle loro stesse menzogne tutti questi signori dovranno aspettare di rendersi conto della maledizione su cui mette in guardia la signora Dora solo tra qualche anno quando saranno ridotti tutti a piccoli mucchietti di cenere?
 

domenica 12 gennaio 2014

IL SEQUESTRO DEI MARO' LATORRE E GIRONE - LA SOLUZIONE CI SAREBBE, ESISTE DA TEMPO E DOVREBBE VENIRE LANCIATA IN PRIMO LUOGO DAI MEDIA ITALIANI. MA ESISTE OGGI IN ITALIA UN GIORNALISMO ANCORA DEGNO DI TALE NOME? di Stefano Tronconi


 

11 Gennaio 2014

E se finalmente qualche grande giornale italiano ricominciasse a fare giornalismo sul serio e si decidesse ad uscire con un titolo di prima pagina del tenore “IL MINISTRO DELLA DIFESA INDIANO DIETRO AL SEQUESTRO DEI MARO'?” (la stessa cosa varrebbe ovviamente se l'iniziativa la prendesse un telegiornale od un programma televisivo di livello nazionale)?
Questo sì potrebbe finalmente essere per l'Italia e per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone l'avvio di una conclusione onorevole dell'infinita vicenda che li vede coinvolti!
La nostra potrebbe apparire una provocazione, ma non lo è affatto. E' anzi una proposta molto seria che proviamo nuovamente a rivolgere a tutto il mondo italiano della cosiddetta informazione ufficiale.

A differenza delle bufale e delle menzogne pubblicate per mesi dai media indiani a cui i media italiani hanno semplicemente fatto da mera cassa di risonanza ed amplificazione, in questo caso infatti il giornale (o la televisione) che trovasse finalmente il coraggio di cui sopra aprirebbe con un titolo sì sensazionale, ma che alla fine, a differenza di quanto pubblicato finora, si dimostrerà tanto vicino alla realtà dei fatti che l'unica cosa che dovrà essere eventualmente rettificata in seguito sarà il punto interrogativo finale (ovviamente tutti i contenuti a supporto saremmo felicissimi di metterli a disposizione con tutti i possibili ulteriori approfondimenti del caso).

Non solo. Di colpo, anziché continuare ad inseguire le menzogne, gli artifici e le contorsioni giuridiche e non che vengono date in pasto ai lettori ed agli ascoltatori da quasi due anni, il nostro ipotetico coraggioso giornale (o canale TV) finirebbe finalmente con il cominciare a far parlare l'intero mondo dei media (prima in Italia e subito a ruota in India) dei veri contenuti della vicenda. E tali contenuti non potrebbero che dimostrare, velocemente ed inequivocabilmente, come Latorre e Girone siano da quasi due anni vittime innocenti di un odioso crimine e completamente estranei a tutto quanto a loro attribuito.

In un articolo segnalatoci da un amico e pubblicato su Il Giornale in edicola questa mattina Fausto Biloslavo, che con nostro piacere riprende molti degli spunti ed arriva alle stesse conclusioni contenute nell'analisi e nel ragionamento da noi fatti nell'articolo pubblicato ieri, scrive anche che una non meglio identificata fonte governativa italiana ammetterebbe che oggi saremmo 'sotto scacco'.
 
Ma quando mai? L'Italia è purtroppo sotto scacco da quasi due anni solo nelle teste degli incapaci politici, funzionari e giornalisti nostrani (che tutti assieme hanno quasi maggiori responsabilità di quanto accaduto ai poveri Latorre e Girone di quante non ne abbiano gli stessi artefici del crimine in India) solo a causa delle scellerate scelte (e non scelte) da loro compiute.
Se oggi, ad oltre 6 mesi dalla rivelazione da parte nostra di tutti gli elementi e le prove che scagionano Latorre e Girone, ci troviamo di nuovo (la possibilità era in realtà già stata ipotizzata durante la prima fase della vicenda in Kerala) nella surreale situazione in cui un governo indiano completamente screditato agli occhi dell'opinione pubblica interna ed internazionale ed una stampa indiana al servizio dei giochi politici interni arrivano perfino ad ipotizzare di trattare dei militari italiani in servizio per il proprio Paese alla stregua di terroristi, la colpa è non solo dell'assoluta incompetenza, mancanza di intelligenza e di dignità del governo e delle istituzioni italiane tutte, ma anche di un giornalismo italiano che definire al collasso sarebbe un eufemismo.

Chiariamo infatti nuovamente un punto importante. Se oggi la grande maggioranza delle opinioni pubbliche indiana e italiana credono ancora in modo becero alla menzogna costruita a tavolino che siano stati Latorre e Girone ad uccidere i due sfortunati pescatori indiani, questo è dovuto unicamente al vergognoso processo mediatico che, dietro preciso input politico, giornali e televisioni indiane hanno lanciato fin dal primo giorno senza alcuna prova, ma anche senza alcuna opposizione, e che giornali e televisioni italiane hanno supinamente condiviso. Ed è la persistenza di questa diffusa convinzione di colpevolezza che consente al governo indiano di muoversi con l'arroganza e la prepotenza che sta nuovamente mostrando in questi giorni.

Quale si è infatti dimostrata essere l'unica vera differenza tra gli organi d'informazione indiani ed italiani? Entrambi sono asserviti al potere, ma se quelli indiani il ruolo di servitori del potere hanno dimostrato in questa vicenda di saperlo svolgere con grande efficacia, quelli italiani neppure questo sono stati capaci di fare (probabilmente, va detto, per mancanza di guida del 'potere' di riferimento concentrato sempre e solo sul piccolo cabotaggio interno).
 
Non è infatti un caso se da quasi due anni qualsiasi informazione che riguardi la vicenda dei nostri marò venga fatta filtrare innanzitutto attraverso fonti più o meno anonime a media indiani, così testata e poi gestita di conseguenza. Con i ben noti politici indiani che tirano le fila dopo aver fatto trapelare notizie spesso discordanti, politici e funzionari italiani che si fanno trascinare nella direzione desiderata tirati per l'anello infilato nel loro naso e giornali e TV italiani che nel frattempo, anziché provare a distinguere il vero dal falso in una vicenda drammatica come quella dei due marò, preferiscono rivolgere le proprie attenzioni e fare approfondimenti che riguardino il cagnolino della compagna di Berlusconi, le mutande di Cota, le giacche di Renzi o le cravatte di Cuperlo. E non facciamo qui distinzione tra media filo-governativi e media filo-opposizione. 

Purtroppo la professione giornalistica oggi in Italia sembra ridotta ad un immenso campo di macerie che rispecchia con precisione la desolazione del panorama politico. Un'analisi ed un'azione lucida sulla vicenda marò non è venuta proprio da nessuno dei grandi organi di informazione, dove evidentemente sembra che lavorino ormai solo pseudo-giornalisti che sopravvivono esclusivamente grazie ai finanziamenti pubblici ed hanno quindi paura anche della propria ombra quando si tratta di uscire dalla linea editoriale loro dettata.
 
Sono ormai settimane che siamo in contatto con giornalisti stranieri, anche indiani, che di fronte alla documentazione che mostriamo a supporto dell'innocenza di Latorre e Girone ci dicono: 'Ma come è possibile che una cosa del genere non venga pubblicata da nessuno dei maggiori organi di stampa italiana?'.
Come è possibile? Ci volete aiutare a trovare una risposta? Eh sì, cari giornali, TV e giornalisti italiani, c'è proprio bisogno di un vostro riscatto, di un vostro sussulto di dignità, se ancora ne avete una! Ve lo manda a dire anche chi all'estero fa il vostro stesso lavoro.

Ma tornando a noi, perché è poi così importante che un qualche grande organo di informazione italiana lanci questa campagna-verità su quanto davvero accaduto in India?
La ragione sta nel fatto che la grande maggioranza delle opinioni pubbliche italiana, indiana e mondiale crede oggi che i nostri marò siano colpevoli solo perché così sono stati dipinti nel vergognoso processo mediatico che è stato condotto nei loro confronti.
 
Latorre e Girone non potranno oggi mai essere condannati in un tribunale (nemmeno un tribunale indiano) perchè le prove che li scagionano sono a nostro avviso schiaccianti.
Ma se, come tutto lascia oggi prevedere in assenza di altre sorprese che in India sono sempre dietro l'angolo, a Latorre e Girone verrà concesso di rientrare in Italia dopo lo svolgimento delle elezioni indiane attraverso un accordo tra i governi autorizzato dalla magistrature indiana (vedi nostri articoli precedenti), la percezione delle opinioni pubbliche diventerà a quel punto che i due marò saranno stati 'salvati' da un accordo sotto banco tra governi indiano ed italiano. Nell'immaginario indiano gli italiani rimarranno a quel punto sempre ricordati come coloro che hanno ucciso i pescatori e l'hanno fatta franca (quando in realtà chi la farà franca da un punto di vista giudiziario quando ciò dovesse avvenire saranno solo i vari Antony, Chandy e tutti i loro numerosissimi complici).
 
Giunti a questo punto, se quella appena ricordata poteva essere un'uscita tutto sommato accettabile dalla vicenda alcuni mesi fa, oggi questo non è più vero. Ed oltretutto, accettare che questa sia la soluzione significa ancora una volta lasciare completamente in mano indiana i 'tempi' della soluzione con il rischio che a rinvio segua nuovo rinvio come avviene da due anni a questa parte.

La soluzione per accelerare il ritorno in Italia dei nostri marò invece c'è, esiste da tempo e passa per il lancio di un'operazione verità che rivendichi e dimostri la piena innocenza di Latorre e Girone. Tale operazione oggi non potrebbe che partire dai media italiani. Sperando che in Italia, seppur ben nascosto, ci sia ancora qualche giornalista degno di tale nome che sia in grado di raccogliere questo nostro nuovo appello.

Fonte: https://www.facebook.com/stefano.tronconi.79?hc_location=timeline