martedì 21 gennaio 2014

India stratega e SUA Act: ma L’Italia é o ci fa?, di Andrea Lenoci


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Da diversi giorni continua nuovamente a rimbalzare sulle più importanti testate giornalistiche, italiane e indiane soprattutto, la possibilità che il Ministero dell’Interno indiano, organo di controllo della Polizia federale NIA, decida di invocare l’applicazione della SUA Act del 2002, per le imputazioni a carico di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.


La «Legge per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima e le strutture fisse sulla piattaforma continentale», meglio conosciuta con l’acronimo «SUA Act», è uno strumento giuridico adottato dall’India nel 2002 per dare esecuzione a un’omonima Convenzione internazionale firmata a Roma nel 1988 dopo il dirottamento della nave Achille Lauro, avvenuto tre anni prima da parte di un gruppo di terroristi palestinesi. Questa Convenzione definisce per la prima volta il concetto di «terrorismo marittimo» e permette a uno Stato di estendere la sua giurisdizione anche al di fuori delle proprie acque territoriali in caso di crimini su navi o strutture fisse. Ed è per questo che viene evocata nel caso della Enrica Lexie, perchè l’incidente è avvenuto al largo del Kerala in acque non territoriali, ma contigue, dove l’India ha alcuni «diritti sovrani» ma non la piena «sovranità».

Ciò che appare inverosimile è la cecità di molti giornalisti i quali, piuttosto che scavare a fondo nelle motivazioni che inducono a queste scelte, si limitano a riprodurre fedelmente quanto riportato da altri. Ed è per questo motivo che l’opinione pubblica mondiale, viene bombardata negli ultimi giorni, dalla preoccupante possibilità che i fucilieri della Marina Militare italiana possano essere condannati alla pena di morte, piuttosto che preoccuparsi di altro.

Intendiamo subito sfatare un mito: Latorre e Girone non potranno mai essere condannati alla pena di morte, anzi le motivazioni della volontà di applicazione del Sua Act, vanno ricercate altrove. La tanto temuta Section 3 del Sua Act infatti, recita testualmente:
3. Whoever unlawfully and intentionally …
(i) causes death to any person shall be punished with death;
Traduzione:
3. Chiunque illecitamente e intenzionalmente …
(i) causa la morte di una qualsiasi persona sarà punito con la morte;
E palese quindi che in caso di morte, l’unica pena prevista è quella capitale. Nel caso di specie però, interviene un altro strumento giuridico indiano, definito Extradiction Act del 1962, la cui Section 34C recita:
34C. Provision of life imprisonment for death penalty. Notwithstanding anything contained in any other law for the time being in force, where a fugitive criminal, who has committed an extradition offence punishable with death in India, is surrendered or returned by a foreign State on the request of the Central Government and the laws of that foreign State do not provide for a death penalty for such an offence, such fugitive criminal shall be liable for punishment of imprisonment for life only for that offence.
Traduzione:
34C. Fornitura di ergastolo per la pena di morte. Nonostante quanto contenuto in qualsiasi altra legge, per il momento in vigore, dove un criminale, che ha commesso un reato punibile con la pena di morte in India, viene ceduto o restituito da uno Stato estero su richiesta del governo centrale e le leggi di tale Stato estero non prevedono la pena di morte per tale reato, quel criminale è responsabile solo per la pena della reclusione a vita per tale reato.
Sfatato il mito della pena di morte, cerchiamo ora di capire i motivi per cui, il Ministero dell’Interno indiano stia puntando alla previsione prevista dal Sua Act. In tal senso, ci viene in aiuto la Section 13:
13. Presumptions as to offences under section 3.-In a prosecution for an offence under sub-section (1) of section 3, if it is proved:
(a) that the arms, ammunition or explosives were recovered from the possession of the accused and there is reason to believe that such arms, ammunition or explosives of similar nature were used in the commission of such offence;
(b) that there is evidence of use of force, threat of force or any other form of intimidation caused to the crew or passengers in connection with the commission of such offence; or
(c) that there is evidence of an intended threat of using bomb, fire, arms, ammunition, or explosives or committing any form of violence against the crew, passengers or cargo of a ship or fixed platform located on the Continental Shelf of India,
the Designated Court shall presume, unless the contrary is proved, that the accused had committed such offence.
Traduzione:
13. Presunzioni per quanto riguarda i reati di cui alla sezione.
In un procedimento penale per un reato ai sensi del sub-paragrafo (1) della sezione 3, se è provato:
(A) che le armi, munizioni o esplosivi sono stati recuperati dalla commissione di tale reato;
(B) che vi sono prove di uso della forza, la minaccia della forza o qualsiasi altra forma di intimidazione causato all’equipaggio o dei passeggeri in relazione alla commissione di tali reati, oppure
(C) che c’è prova di una minaccia intenzionale per l’uso di bombe, incendi, armi, munizioni o esplosivi o di commettere qualsiasi forma di violenza contro l’equipaggio, passeggeri o carico di una nave o piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale dell’India,
il giudice designato deve presumere, salvo prova contraria, che gli imputati hanno commesso tale reato.
Pertanto, detta disposizione prevede un’inversione dell’onere della prova, ossia che non sarà più l’accusa a dover dimostrare che i militari italiani siano terroristi o che comunque che vi sia volontarietà nelle proprie azioni. In quel caso, sarebbe infatti la difesa dei marò a dover dimostrare che gli imputati non abbiano commesso il fatto o che non vi sia stata intenzionalità

Arrivati a questo punto, dovreste aver ben chiaro in mente la strategia dell’India. Nella fase delle indagini sono state eseguite (per così dire) attività che hanno permesso l’acquisizione di fonti di prova da presentare alla Corte per ottenere la condanna degli imputati, così come avviene in un normale procedimento penale. Tuttavia, le lesioni al diritto di difesa dei due marò sono state innumerevoli. La difesa non ha potuto assistere o intervenire nell’acquisizione delle prove, non ha potuto muovere obiezioni, nè nominare consulenti tecnici.
Inoltre, si è permesso, a mio modo di vedere, intenzionalmente, che le prove andassero distrutte, al fine di impedire ulteriori esami, rendendo di fatto i primi accertamenti eseguiti, atti irripetibili: mi riferisco ad esempio alla cremazione dei corpi dei due pescatori, sebbene gli stessi fossero cattolici; oppure all’affondamento del peschereccio St. Anthony.

Per questo motivo infatti, la NIA ritiene fondamentale l’introduzione del Sua Act: perché l’attività investigativa delle Autorità del Kerala non sono sufficienti a supportare l’accusa in giudizio. In tal senso, con l’inversione dell’onere della prova, l’accusa non dovrà motivare o provare nulla, perché dovrebbe essere la difesa a fornir prova del contrario.
Inoltre, come potrà la difesa produrre delle prove inequivocabili se non ha avuto accesso alla fase di indagine e se tali reperti siano andati distrutti?

E su questo che la stampa si deve battere. L’India ha ben chiara in mente la strategia da seguire e, dati alla mano, in questi 23 mesi ha attuato strategie e manovre per giungere agli obiettivi prefissati, davanti all’autorevole spettatore, quale è lo Stato italiano, che arrivava sempre in ritardo, riuscendo a carpire la strategia, solo quando questa veniva portata a compimento.


Fonte: http://inostrileoni.altervista.org/

2 commenti:

  1. Concordo pienamente su quanto esposto da Andrea, sembra che le persone siano più orientate ad apprezzare articoli contradittori che imperversano con lo spauracchio della pena di morte, che non a ragionare sulle reali possibilità che questo avvenga....ma tantè questo è il web e bisogna accettarlo come tale. Complimenti ad Andrea per la sua corretta analisi giuridica.

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