sabato 31 maggio 2014

Jugoslavia: cronaca di un massacro, Cap.III



La fine della Jugoslavia (1991)

• Il governo federale fu affidato ad un tecnico (19 febbraio 1989),
l'economista croato Ante Marković, che propose una solida e strutturale
riforma economica e preparò la domanda di adesione del paese alla
Comunità Economica Europea: il piano economico sembrava funzionare,
nonostante le inevitabili conseguenze sociali (aumento della
disoccupazione e della povertà, diminuzione dei sussidi statali), ma venne
 travolto dalle turbolenze etniche e dalla disgregazione complessiva
della Federazione.
• Il 20 gennaio del 1990 venne convocato il quattordicesimo e ultimo
congresso (convocato straordinariamente) della Lega dei Comunisti
Jugoslavi, con uno scontro frontale tra delegati serbi e sloveni, in particolare
riguardo la situazione in Kosovo, la politica economica e le riforme
istituzionali (creazione di una nuova federazione o confederazione, la
terza Jugoslavia). Per la prima volta nella storia, Sloveni e Croati decisero
di ritirare i loro delegati dal congresso.
• Nel nord della Federazione vennero indette subito libere elezioni, che
determinano la vittoria di forze di centro-destra: in Slovenia la coalizione
democristiana Demos formò un nuovo governo, mentre Milan Kučan
restò presidente della Repubblica; in Croazia i nazionalisti dell'HDZ
di Tuñman vinsero le consultazioni.

• Il 23 dicembre 1990 in Slovenia si tenne un referendum sull'indipendenza,
o meglio sulla sovranità slovena, dal momento che si parlava anche della
costruzione di una nuova confederazione di repubbliche, le cui basi andavano
ridiscusse. Va inoltre precisato che la costituzione della RFSJ prevedeva
costituzionalmente il diritto alla secessione unilaterale per ciascuna delle sei
repubbliche costituenti.
•25 giugno 1991: il presidente Milan Kučan proclamò unilateralmente
l'indipendenza slovena. Nello stesso giorno anche la Croazia si dichiara indipendente
• La risposta dell'Esercito popolare jugoslavo (JNA) non si fece attendere:
il 27 giugno 1991 l'esercito intervenne in Slovenia. Iniziò così la prima guerra in
Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale (“Guerra dei dieci giorni”)
che si concluse in poco più di una settimana, essendo la nazione etnicamente
compatta e sostenuta politicamente dal Vaticano (in chiave anti comunista)
dall'Austria e soprattutto dalla Germania per le ragioni storiche già accennate,
che si impegnò subito a riconoscerne l'indipendenza e spinse perché anche
l’intera CEE facesse lo stesso.
• L'8 luglio 1991 vennero firmati da Kučan, Tuñman, divenuto presidente croato,
Marković, premier federale, dal serbo BorisavJović, presidente di turno della
presidenza collegiale jugoslava, gli Accordi di Brioni , che prevedevano l'immediata
cessazione di ogni ostilità dell'esercito jugoslavo in Slovenia e il congelamento
per tre mesi della dichiarazione di indipendenza. La piccola repubblica tre mesi
dopo diventava indipendente da Belgrado.

http://www.repubblica.it/online/speciale/guerra/guerra/ap2.jpg 

Fonte:  www.israt.it/ebooks_download/dida000033.pdf

Jugoslavia: cronaca di un massacro, Cap II

 
Miti e menzogne

- Il mito della Grande Serbia: i serbi più nazionalisti sognano dicostituire un grande 
stato serbo che riunisca tuttigli uomini di nazionalità serba e di religione ortodossa, 
anche quelli che si trovano sparsi in altre repubbliche (in Croazia, in Bosnia, in
Kosovo...).
- Lo spauracchio del fondamentalismo islamico: la propaganda diMilosevic e di 
Tudjman presentò, all'Occidente i musulmani di Bosnia come un cuneo islamico in 
Europa, come l'avamposto di una penetrazione islamica nel Vecchio continente, creando 
le premesse ideologiche per la loro distruzione. Invece Sarajevo era una città che nel 
suo centro aveva quattro luoghi di preghiera ad un centinaio di metri l’uno dall’altro; 
l’Islam della Bosnia Erzegovina era storicamente un Islam laico e tollerante, che 
rifiutava quello fondamentalista ed aggressivo, fatta eccezione per piccole minoranze 
fomentate da pesi stranieri come l’Arabia Saudita.Il mito del Kosovo, culla della 
nazione serba: questa zona in effetti è il centro dell’antico regno serbo; qui si è 
combattuta una mitica battaglia contro i turchi (nel 1389), qui si trovano le tombe dei
principi e i più importanti monasteri; ma qui i serbi sono meno del 20% della popolazione: 
oltre l’80% è albanese.

Ex Jugoslavia:
6 repubbliche, 4 alfabeti, 3 religioni, 4 chiese, una decina di etnie
Esistita dal 1945 al 1991, la Jugoslavia era una federazione socialista composta 
da 6 Repubbliche 2 Province Autonome: Croazia, Slovenia, Serbia,Montenegro, 
Bosnia ed Erzegovina, Macedonia, Kosovo,Vojvodina: tutti stati con fortissime 
differenze etniche, economiche, religiose.
- La Jugoslavia socialista e federale, così come costruitada Josip Broz 
Tito e da Edvard Kardelj, il teorico e costituzionalista sloveno, si 
basava sulla politica della Fratellanza e Unità (Bratsvo i Jedinstvo) fra i 
diversi popoli jugoslavi, garantendo a ciascuno, comprese le minoranze
nazionali, dignità, autonomia decisionale e rappresentatività istituzionale. 
Tito era infatti riuscito a bilanciare le rappresentanze etniche e a 
placare antichi odi in un equilibrio che appariva stabile, grazie 
probabilmente anche al "cemento" dell’ideologia socialista rinnovata in 
chiave antistalinista e per alcuni versi filo-occidentale. 

Le tappe della dissoluzione
• 1980: morte di Tito.
• 1984: Sarajevo ospitò anche la XIV Olimpiade Invernale.
• 1986 venne pubblicato il Memorandum dell'Accademia
Serba delle Scienze, un documento di intellettuali serbi che
denunciavano una generale campagna anti-serba, esterna
e interna alla repubblica, e fornivano le basi ad un
rinato nazionalismo serbo basato sulla riedizione della teoria
della "Grande Serbia", già presente (e concausa scatenante del
primo conflitto mondiale) nella prima metà del Novecento.
• 1987: nell'estate scoppia lo scandalo finanziario e pol
itico dell'Agrokomerc, la più grande azienda bosniaca, che
delineò una sorta di tangentopoli jugoslava.
• 1987: a novembre Slobodan Milošević diviene presidente
della Repubblica Socialista di Serbia: non esita a soffiare e
cavalcare l’ondata nazionalista, adottando la teoria secondo 
la quale "la Serbia è là dove c'è un serbo”.

• 1988 Milošević costringe alle dimissioni il governo
provinciale della Vojvodina, a lui avverso.
• 18 novembre 1988: Milošević guida un’enorme
manifestazione popolare a Belgrado.
• 28 marzo 1989: Milošević riforma la costituzione serba,
eliminando l'autonomia costituzionalmente garantita dal '74
al Kosovo che è la regione storica dei Serbi.
• maggio del 1989: in Croazia si formò l'Unione 
Democratica Croata (Hrvatska Demokratska Zajednica
o HDZ), partito anti-comunista di centro-destra che a 
tratti riprendeva le idee scioviniste degli ustascia di Ante 
Pavelić, guidato dal controverso ex generale di Tito 
Franjo Tuñman
.
• 28 giugno 1989: Milošević guida un’enorme manifestazione
in Kosovo, portando in processione le spoglie del principe
serbo Lazar che giusto 600 anni prima era morto lottando
contro i Turchi.
• 1989: anche nel Montenegro la vecchia dirigenza titoista
venne spazzata via e alla presidenza della Repubblica venne 
eletto il giovane e filo-serbo Momir Bulatović.


 
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Fonte: www.israt.it/ebooks_download/dida000033.pdf

venerdì 30 maggio 2014

Jugoslavia: cronaca di un massacro, cap I

“Gli spazi balcanici contengono più storia di
quanta ne possano consumare”.
Winston Churchill
La sede del parlamento della Bosnia ed Erzegovina dopo essere stata colpita da carri armati durante l'assedio del 1992
L’odio etnico spessissimo non è causa scatenante della
guerra ma grimaldello artificiale: l’odio sommerso non
esplode mai per combustione spontanea ma solo se c’è
qualcuno che decide di servirsene: e questo è
particolarmente vero per i conflitti scoppiati negli anni
Novanta del secolo scorso: nella ex Jugoslavia, in
Cecenia, in Ruanda.
In particolare, nella ex Jugoslavia, Milosevic ha
riesumato brutti ricordi storici, sfruttato le diversità
linguistiche, religiose e culturali, utilizzato le tensioni
economiche e sociali, le differenze fra città e campagna,
fra autoctoni e nuovi immigrati: l’odio etnico è stato
pertanto uno strumento non la causa della guerra.
Le cause
- 4 popoli(croati, serbi, bosgnacchi, albanesi) appartenuti n
ei secoli
a nazioni diverse con religioni, lingue, tradizioni
culturali diverse
-Livello di sviluppo economico assai diverso
(Slovenia e Croaziale repubbliche più ricche, industrializzate 
e occidentali; Kosovo,Bosnia, Macedonia le più povere)
-Inflazione e crisi economicanegli anni Ottanta: nel 1980 il debito
estero era di 20 miliardi di dollari; nel 1985 l’inflazione salì 
al 50% e dall’’86 superò il 100%; il livello di vita si abbassa notevolmente
Due mondi diversi all’interno di ciascuna repubblica: città e
campagna/montagna; borghesia e contadini/operai inurbati
-Paralisi degli organi politici del sistema federale: le repubbliche
diventano sempre più autonome
- Manipolazione della verità storica e propaganda di antichi odi
- Diverse sono dunque le motivazioni che stanno alla base dei 
conflitti: il nazionalismo imperante nelle diverse repubbliche a
cavallo fra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta
(in particolare in Serbia e Croazia, ma in misura minore anche in
Slovenia, un Paese storicamente e tradizionalmente legato alla
Mitteleuropa, che considerava la sua vera "patria" culturale, e
nelle altre regioni della Federazione). Tuttavia non vanno
dimenticate anche pesanti motivazioni economiche, interessi e
ambizioni personali dei leader politici coinvolti elacontrapposizione
spesso frontale fra le popolazione delle fasce urbane e le genti 
delle aree rurali e montane.
- Nel 1990-91 Slovenia e Croazia, più sviluppateeconomicamente,
decisero di separarsi dalla federazione. Ciò diede inizio a sanguinose
guerre con la Serbia, che invece sognava di ricostituire la Grande 
Serbia e che si spinse ad effettuare in Bosnia una vera e propria 
pulizia etnica delle minoranze sgradite (vedi Srebrenica).
- La lotta fra gruppi etnici è poi riesplosa in Kosovo e in Macedonia, 
dove gli albanesi si sono ribellati ai governi centrali.Nel Kosovo 
(oggi amministrato dall’ONU) è stato necessario un intervento 
militare internazionale contro la Serbia (1999), mentre in Macedonia 
il conflitto ha avuto una soluzione politica.
Fonte: www.israt.it/ebooks_download/dida000033.pdf

La nuova Europa dalla finestra balcanica



Crimea come Kosovo? Euroscettici e xenofobi? Il vecchio continente visto da Belgrado

Belgrado è stata l’ultima capitale europea a subire un’aggressione militare, venendo bombardata da una forza sovranazionale, la NATO, a cui vi aderiscono i principali Stati dell’Unione Europea. Uno scontro fratricida che rappresenta una ferita ancora aperta in seno alla società serba, una società che storicamente rappresenta, per lo meno da un punto di vista geografico, il primo segno di alterità all’idea occidentale di Europa.

Giorgio Fruscione, redattore di East Journal e di Most, abitante della capitale serba e profondo conoscitore della realtà balcanica,  analizza la percezione dell’UE da questo particolare punto d’osservazione. Analisi che con Fruscione si allunga anche sulla nuova tragedia che sta insanguinando l’Europa, cioè l’Ucraina, provando a tracciare analogie e differenze con quanto successe quindici anni fa.

Giorgio, pensi che a distanza di 15 anni Belgrado e la Serbia abbiano metabolizzato la ferita dei bombardamenti?

"Le bombe su Belgrado di 15 anni fa, che rappresentarono “la prima volta” di un attacco NATO diretto a un Paese che non minacciava la sicurezza di alcun Paese membro dell’organizzazione, hanno lasciato una ferita aperta, non tanto nell’architettura della città (che conserva solo alcuni dei palazzi bombardati), ma nella testa delle persone. Uno dei monumenti dedicati al ricordo della vittime è quello per i 16 impiegati della tv di Stato che morirono nel bombardamento del 23 aprile ’99 e che riporta l’incisione “perché?”. Io credo che questo interrogativo continuerà a fare parte della popolazione belgradese e serba in generale, non tanto come avversione alla NATO e appoggio incondizionato verso la propria nazione e patria (così come vorrebbero speculare molti politici ”nazionalisti”), ma piuttosto come richiesta di verità e giustizia: perché a pagare, col sangue e la distruzione di infrastrutture civili, fu il popolo serbo? Perché si decise di rispondere a una guerra, quella della “lontana” provincia del Kosovo, con un’altra guerra, bombardando città come Belgrado e Novi Sad, da sempre culla di una mentalità multiculturale tipica di città quali Berlino o Parigi? Personalmente credo che sia difficile capire il dolore di cittadini che si sono sentiti attaccati in modo unilaterale e senza possibilità di reagire. Allo stesso modo credo che Belgrado e la Serbia non vivano nel rancore. Conserveranno per sempre il vuoto di quegli anni, fatti di guerra e terrore, gli anni 90, allo stesso modo in cui la domanda “perché?” continuerà a non aver risposta".

Fonte:  http://firstlinepress.org/

 

80 euro non li percepirà nessuno. Ecco perchè!


renzi-80-euro

Il testo definitivo del decreto Renzi (Dl 66/14, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 95/14 di ieri) conferma quasi tutte le anticipazioni della vigilia, con alcune significative novità. Destinatari del nuovo credito introdotto dal comma 1 bis dell’articolo 13 del Tuir, sono, con riferimento alla tipologia del reddito, tutti coloro che percepiranno nel 2014 redditi di lavoro dipendente e alcune categorie di redditi assimilati al lavoratore dipendente. Ne rimangono esclusi i pensionati.
 
Nell’ambito dei redditi assimilati, sono esclusi, tra gli altri, i compensi per l’attività libero professionale intramuraria del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale, le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni e le indennità percepite dai membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo.

Con riferimento alla entità del reddito (complessivo) posseduto, il credito spetta a coloro che, dopo aver scontato la detrazione di lavoro dipendente hanno comunque un’Irpef residua anche se poi dovesse essere azzerata da altre detrazioni, a condizione tuttavia che non superino i 26mila euro. Rispetto alle indicazioni precedenti restano fuori i possessori di redditi compresi tra 26mila e 28mila euro.

La precisazione più rilevante è contenuta, però, nel secondo comma, dove viene precisato che il credito va rapportato al periodo di lavoro nell’anno. Da questa precisazione si desume che il credito è “figurativamente” di 80 euro al mese. In realtà è pari a 53,33 euro.

Il testo, infatti, non indica un valore mensile, ma un valore annuo e cioè 640 euro, riferito all’intero periodo d’imposta. Questo significa che un lavoratore che lavora da gennaio a dicembre riceverà, con riferimento ciascuno dei dodici mesi in cui ha prodotto reddito di lavoro dipendente 53,33 euro (640 diviso 12). In realtà sui prossimi cedolini paga lo stesso lavoratore troverà effettivamente 80 euro, ma solo perché il riconoscimento inizierà da maggio e perché il sostituto deve riconoscere il credito sugli emolumenti corrisposti in ciascun periodo di paga, rapportandolo al periodo stesso» e quindi dovrà dividere il credito complessivo per gli otto periodi di paga residui fino a dicembre e riconoscere per ciascuno di essi 1/8 dello stesso. In questo modo si ottengono 80 euro.
 
Il riconoscimento del credito, essendo un importo netto, dovrebbe prescindere dalla presenza di reddito nello stesso mese. Vale a dire che dovrebbe essere corrisposto a chi ne ha diritto anche se in uno dei mesi, da maggio a dicembre, dovesse essere in aspettativa senza retribuzione.

Ma tenuto conto che il bonus deve essere rapportato al periodo di paga, il sostituto non potrà prescindere da quello che è successo prima e che succederà dopo il mese di maggio, in particolare dovrà tener conto di rapporti iniziati dopo gennaio 2014 e che cesseranno dopo maggio 2014. Se, infatti, un lavoratore è stato assunto ad esempio nel marzo 2014, non ha diritto a 80 euro, ma a 66,66 euro e cioè a dieci dodicesimi di 640 euro (533,33) diviso 8 (da maggio a dicembre ) In pratica, quello che in queste situazioni, i lavoratori troveranno sui cedolini dipenderà anche da come si organizzeranno le società di software. E possibile che continueranno a ricevere 80 euro, ma a dicembre, in sede di conguaglio bisognerà che l’importo complessivo sia pari a 53,33 per i mesi di lavoro e quindi o riceveranno di meno o potrebbero restituire qualcosa.

Il ricalcolo sarà necessario anche in caso di cessazione del rapporto dopo il mese di maggio. Per un lavoratore in forza dal primo gennaio 2014, che ha iniziato a percepire 80 euro da maggio e che cessa il rapporto di lavoro ad ottobre, occorrerà infatti fare in modo che gli venga riconosciuto il credito per tutto il periodo di lavoro e cioè a 533,33 euro (640 :12 x 10). Fino a settembre avrà ricevuto 400 euro (80 x 5 mesi). Ad ottobre, bisognerà riconoscerli, anzichè 80 euro, 133,33 euro.
La problematica dei ricalcoli si può presentare in modo ancora più complicato se si deve tener conto di redditi corrisposti da altri sostituti per i lavoratori assunti durante l’anno e che hanno più rapporti contestuali. Considerata la “mobilità” e il turn over sempre più spinto, questa situazione è molto frequente. Sarà opportuna e necessaria quanto prima una precisazione da parte dell’Agenzia finalizzata alla gestione di queste situazioni. In particolare, in presenza di più committenti o datori di lavoro, il lavoratore rischia, in assenza di precisazioni, o di non percepire quanto spettante o di percepirlo indebitamente.

Il problema non esiste per i collaboratori familiari. I datori di lavoro domestici non sono infatti sostituti di imposta e non possono anticipare il credito. Pertanto i collaboratori familiari i quali ne hanno diritto potranno ottenerlo in sede di dichiarazione che tra l’altro, proprio perché non sono soggetti ad alcuna ritenuta, sono comunque obbligati a presentare anche se hanno solo reddito di lavoro dipendente e non sono “incapienti”. In questa sede indicheranno tutti i redditi percepiti da tutti i sostituti e i diversi “periodi di lavoro”.

Fonte:  http://infosannio.wordpress.com/

domenica 25 maggio 2014

TRA POCHI GIORNI…LA FINE DELL’EUROPA?

Siamo tutti concentrati sulle elezioni europee di questo fine settimana: "Europa del centro", "Europa della periferia", “Fine dell’Europa”…interrogativi “esistenziali” sul futuro politico ed economico dell'Unione. Insofferenza, ma soprattutto rabbia per l'incapacità di un'intera generazione di politici, banchieri e manager pubblici di lottare contro corruzione e clientelismo sempre più accentrati nelle mani di pochi, all'ombra di lobbies e "poteri forti" e con collegamenti criminali a discapito dello stato di Diritto e di una democrazia sana... 

Foto: TRA POCHI GIORNI…LA FINE DELL’EUROPA? Siamo tutti concentrati sulle elezioni europee di questo fine settimana: "Europa del centro", "Europa della periferia", “Fine dell’Europa”…interrogativi “esistenziali” sul futuro politico ed economico dell'Unione. Insofferenza, ma soprattutto rabbia per l'incapacità di un'intera generazione di politici, banchieri e manager pubblici di lottare contro corruzione e clientelismo sempre più accentrati nelle mani di pochi, all'ombra di lobbies e "poteri forti" e con collegamenti criminali a discapito dello stato di Diritto e di una democrazia sana... Con decine di milioni di disoccupati in tutta l’UE, gli Euroscettici di tutti Paesi invocano politiche di crescita anziché di austerità: il controllo di fatto di Berlino sulla BCE, combinato alle catene del Fiscal Compact, sta drenando risorse dai Paesi a elevato debito pubblico e bassissima crescita, verso le poche economie forti dell'Euro, in primis quella tedesca. Ma in nessun altro Paese europeo il quadro è preoccupante come in Italia. Ricordo una memorabile e dotta discussione - durata ore! - nel Governo Monti, dove partecipavo come Ministro degli Esteri, per applicare una Direttiva Europea sul tipo di sacchetti di plastica da utilizzare nei supermercati, mentre per contro l'Unione si sottrae sistematicamente alle proprie responsabilità in materie di cruciale importanza per i cittadini, dallo tsunami immigratorio sulle nostre coste - dove siamo abbandonati e lasciati soli dall’indifferenza di Bruxelles, alla politica di sicurezza e di Difesa, assente sul terreno delle crisi Libica, Siriana e Ucraina, per citare solo gli esempi più recenti, all’inesistente politica unica Europea dell'energia, con le nostre aziende e tutti i cittadini pesantemente penalizzati dal monopolio di fatto che l'ENI ha assicurato al fornitore Russo con contratti ultraventennali fissati a prezzi di gran lunga superiori a quelli correnti sul mercato Europeo... Questi sono solo alcuni dei nodi che venrranno al pettine con queste elezioni europee: i cittadini si chiedono, al di là dell’eventuale uscita dall'Euro - materialmente possibile…? economicamente utile…? - se l'enorme “dilatazione” delle competenze comunitarie sia stata una risposta efficace alle sfide della globalizzazione e a cinque anni di dura crisi. Cosa penso io? Che la riaffermazione della nostra Sovranità deve partire da un netto ricambio di uomini ai vertici delle Istituzioni, dell'economia e dell'informazione, perché nessuna riforma avrà esito positivo se essa sarà avviata e gestita dai consueti e storici “protagonisti” che affondano le radici in un sistema di corruzione diffusa e d’informazione pilotata. Siamo noi italiani a dover portare il paese fuori dall'obbrobrio del settantesimo posto nella classifica di "trasparenza internazionale" a causa della corruzione diffusa e di un'altrettanta imbarazzante bassa posizione in tema di libertà di stampa, perché in nessun altro Paese del G8 l'intersezione d’interessi, proprietà, controlli tra impresa, finanza e informazione è condizionante come in Italia. Vent'anni, fa la mia generazione aveva sperato in una svolta per il Paese: vediamo ancora in questa primavera 2014 quanto illusoria fosse quella speranza. Ma non possiamo contare su un'Europa diversa senza prima modificare radicalmente la nostra realtà italiana, ne “uscire dall’Europa” risolverebbe nulla se prima non saremo in grado di modificare le cose in casa nostra. Inoltre, diversamente dai primi anni ‘90, ci troviamo oggi in una situazione internazionale che Tom Friedman ha definito del "popolo delle Piazze", perchè in questo 25 maggio di votazione Europea, convergono vicende anche molto diverse e distanti ma influenzate dalla capacità della gente comune di lottare per la propria dignità e libertà: le elezioni Presidenziali ucraine chiuderanno il ciclo apertosi con la sollevazione contro Yanukovyc; in Turchia il futuro di Erdogan appare problematico, nonostante il recente successo elettorale del suo partito radicato solo nelle campagne dove è praticamente assente il web; la riconferma di Maliki in Iraq pone un altro tassello in un puzzle regionale di crescente protagonismo iraniano; Al Sissi in Egitto sarà eletto in reazione agli errori e alle inquietudini sollevate in gran parte dell'opinione pubblica egiziana dagli estremismi dei Fratelli Musulmani e dalle altre formazioni islamiste… Il minimo comun denominatore di tutti questi scenari - pur con gradi differenti di efficacia, e con un approccio ancora non “maturo” e quindi incapace di esprimere nuove leadership politiche e sociali - è che sono stati i "popoli delle piazze" a originare tutte queste dinamiche: trovo che questo sia al tempo stesso un incoraggiamento e un severo monito… per l'Europa, ma soprattutto per l'italia…VOI COSA NE PENSATE…?
Con decine di milioni di disoccupati in tutta l’UE, gli Euroscettici di tutti Paesi invocano politiche di crescita anziché di austerità: il controllo di fatto di Berlino sulla BCE, combinato alle catene del Fiscal Compact, sta drenando risorse dai Paesi a elevato debito pubblico e bassissima crescita, verso le poche economie forti dell'Euro, in primis quella tedesca. Ma in nessun altro Paese europeo il quadro è preoccupante come in Italia

Ricordo una memorabile e dotta discussione - durata ore! - nel Governo Monti, dove partecipavo come Ministro degli Esteri, per applicare una Direttiva Europea sul tipo di sacchetti di plastica da utilizzare nei supermercati, mentre per contro l'Unione si sottrae sistematicamente alle proprie responsabilità in materie di cruciale importanza per i cittadini, dallo tsunami immigratorio sulle nostre coste - dove siamo abbandonati e lasciati soli dall’indifferenza di Bruxelles, alla politica di sicurezza e di Difesa, assente sul terreno delle crisi Libica, Siriana e Ucraina, per citare solo gli esempi più recenti, all’inesistente politica unica Europea dell'energia, con le nostre aziende e tutti i cittadini pesantemente penalizzati dal monopolio di fatto che l'ENI ha assicurato al fornitore Russo con contratti ultraventennali fissati a prezzi di gran lunga superiori a quelli correnti sul mercato Europeo... 

Questi sono solo alcuni dei nodi che venrranno al pettine con queste elezioni europee: i cittadini si chiedono, al di là dell’eventuale uscita dall'Euro - materialmente possibile…? economicamente utile…? - se l'enorme “dilatazione” delle competenze comunitarie sia stata una risposta efficace alle sfide della globalizzazione e a cinque anni di dura crisi. 

Cosa penso io? Che la riaffermazione della nostra Sovranità deve partire da un netto ricambio di uomini ai vertici delle Istituzioni, dell'economia e dell'informazione, perché nessuna riforma avrà esito positivo se essa sarà avviata e gestita dai consueti e storici “protagonisti” che affondano le radici in un sistema di corruzione diffusa e d’informazione pilotata. Siamo noi italiani a dover portare il paese fuori dall'obbrobrio del settantesimo posto nella classifica di "trasparenza internazionale" a causa della corruzione diffusa e di un'altrettanta imbarazzante bassa posizione in tema di libertà di stampa, perché in nessun altro Paese del G8 l'intersezione d’interessi, proprietà, controlli tra impresa, finanza e informazione è condizionante come in Italia. 

Vent'anni, fa la mia generazione aveva sperato in una svolta per il Paese: vediamo ancora in questa primavera 2014 quanto illusoria fosse quella speranza. Ma non possiamo contare su un'Europa diversa senza prima modificare radicalmente la nostra realtà italiana, ne “uscire dall’Europa” risolverebbe nulla se prima non saremo in grado di modificare le cose in casa nostra. Inoltre, diversamente dai primi anni ‘90, ci troviamo oggi in una situazione internazionale che Tom Friedman ha definito del "popolo delle Piazze", perchè in questo 25 maggio di votazione Europea, convergono vicende anche molto diverse e distanti ma influenzate dalla capacità della gente comune di lottare per la propria dignità e libertà: le elezioni Presidenziali ucraine chiuderanno il ciclo apertosi con la sollevazione contro Yanukovyc; in Turchia il futuro di Erdogan appare problematico, nonostante il recente successo elettorale del suo partito radicato solo nelle campagne dove è praticamente assente il web; la riconferma di Maliki in Iraq pone un altro tassello in un puzzle regionale di crescente protagonismo iraniano; Al Sissi in Egitto sarà eletto in reazione agli errori e alle inquietudini sollevate in gran parte dell'opinione pubblica egiziana dagli estremismi dei Fratelli Musulmani e dalle altre formazioni islamiste… 

Il minimo comun denominatore di tutti questi scenari - pur con gradi differenti di efficacia, e con un approccio ancora non “maturo” e quindi incapace di esprimere nuove leadership politiche e sociali - è che sono stati i "popoli delle piazze" a originare tutte queste dinamiche: trovo che questo sia al tempo stesso un incoraggiamento e un severo monito… per l'Europa, ma soprattutto per l'italia.

Fonte: https://www.facebook.com/ambasciatoregiulioterzi

Agli internazionali di Tennis spunta cartello “MARO’ LIBERI”

Alla finale maschile degli Internazionali di Tennis a Roma che si sta svolgendo in questo momento, oltre all’avvincente partita Djokovic-Nadal, un’altra cosa ha attirato l’attenzione degli spettatori. Un cartello esposto tra il pubblico con su scritto “Marò Liberi”.

Flashmob organizzato da FdI-AN per ricordare i nostri due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, illegalmente detenuti in India da più di due anni. 
 
 
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Fonte: http://www.qelsi.it/

La Strage di Capaci, di Erika Palazzo

Giovanni_Falcone
“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così, solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è, allora, che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare.”

Era il 23 Maggio 1992 quando avvenne lo sconvolgente attentato a Capaci al magistrato antimafia Giovanni Falcone. Rimasero vittime dell’accaduto insieme al magistrato, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.
L’attentato a Falcone venne deciso dal boss mafioso Salvatore Riina, detto Totò, nel corso di una delle riunioni della Commissione Regionale e provinciale di Cosa Nostra, nel dicembre del 1991. Per Riina, Falcone era diventata una figura fin troppo scomoda, troppo vicina a far saltare gli affari della sua Cosa Nostra.
Insieme a quello di Falcone erano stati decisi gli attentati all’ex ministro Claudio Martelli e a Maurizio Costanzo, colpevole di ospitare troppo spesso il magistrato e di condividere il pensiero antimafioso.

Nel febbraio 1992 Cosa Nostra decise di dare inizio al suo progetto di morte dopo la sentenza della Cassazione del 30 gennaio che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso, che fu nominato proprio così dalla stampa date le sue enormi proporzioni: 460 impuntati, 200 avvocati difensori. Le condanne furono di 19 ergastoli e tal numero di pene detentive che sommandole davano un totale di 2665 anni di reclusione carceraria. Un colpo troppo grande per la mafia palermitana che si sentiva in pericolo e sotto pressione. Fu infatti proprio lo stesso Falcone a guidare le indagini che portarono al processo e alla condanna.

Gli attentati di febbraio però furono interrotti dallo stesso Riina, che decise di colpire Giovanni Falcone in Sicilia adoperando dell’esplosivo. Iniziò così l’organizzazione della Strage di Capaci. Nei mesi che precedettero il 23 Maggio tutto fu organizzato in maniera minuziosa, i boss delle zone di San Lorenzo(Salvatore Biondino), della Noce(Raffaele Ganci) e di Porta Nuova(Salvatore Cancemi) si occuparono degli appostamenti sull’Autostrada A9, proprio all’altezza di Capaci. Il tritolo, in totale 400 KG, fu confezionato da Rampullo capo mafia della famiglia di Mistretta, che si occupò poi del posizionamento dell’esplosivo in un cunicolo di drenaggio sottostante l’autostrada A9 allo svincolo di Capaci. Il telecomando di azionamento dell’esplosivo fu affidato a Giovanni Brusca.

Nelle settimane precedenti all’attentato Raffaele Ganci e suo nipote pedinarono il caposcorta del magistrato, Antonio Montinaro. Era proprio lui a guidare le blindate della scorta in prima fila. Sempre Ganci seguì le Fiat Croma uscire dalla caserma e dirigersi verso l’Aeroporto di Punta Raisi, dove stavano atterrando Falcone e sua moglie che tornavano da Roma. Subito dopo l’atterraggio fu avvisato Brusca della partenza delle blindate, il quale si trovava già posizionato sulle colline di Capaci, in attesa. Un altro componente della famiglia dei mafiosi seguiva invece il corteo per avvisare Brusca del momento esatto in cui azionare il telecomando collegato all’esplosivo.

Così accadde, la prima Fiat Croma marrone, guidata dal caposcorta Montinaro fu investita in pieno dall’esplosione, uccidendo lui stesso e altri due agenti della scorta, Vito Schifani e Rocco Dicillo. La seconda blindata bianca era quella guidata dallo stesso Falcone che si schiantò contro il muro di cemento, facendo sbalzare fuori dal parabrezza il magistrato e Francesca Morvillo. Rimasero illesi quattro componenti del gruppo scorta tra cui: Giuseppe Costanza, l’autista giudiziario seduto nei sedili posteriori della Fiata Croma bianca, gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo, che invece erano sulla terza blindata che non fu investita dall’esplosione.

La strage di Capaci fu festeggiata dai mafiosi in carcere, mentre l’intera Italia rimaneva incredula davanti alla notizia della morte di un Grande Uomo, che con la sua determinazione, astuzia e intelligenza voleva salvare un Paese da una delle più grandi associazioni criminali organizzate.

Ogni anno, il 23 maggio, si tiene a Palermo e Capaci una lunga serie di attività, in commemorazione della morte del magistrato Giovanni Falcone e di sua moglie Francesca Morvillo. I resti dell’auto furono portati a Roma ed esposti presso la scuola di formazione degli agenti di polizia penitenziaria.

Nel 1992, l’anno dell’attentato, la sorella di Giovanni Falcone, Maria Falcone, creò una fondazione intitolata al fratello e a sua moglie, con l’obiettivo di combattere la criminalità organizzata e di promuovere attività di educazione alla legalità.Nel 1996 l’ONU riconobbe lo status consultivo in qualità di ONG (Organizzazione non governativa) alla Fondazione presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.

Fonte:  http://www.iniurevir.it/

CORFU': 1000 Velisti al fianco dei Marò



 Paolo-Montefusco
Il Montefusco Sailing Project Team in occasione della XXIX Regata Internazionale Brindisi – Corfù ha adottato una iniziativa di solidarietà a sostegno dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.

L’iniziativa consiste nell’esposizione a bordo dell’imbarcazione Idrusa di una bandiera bianca con fascia tricolore recante la scritta “1000 Velisti al fianco dei Marò”. La bandiera sarà esposta ben visibile sia durante la regata che in tutte le fasi pre e post regata a Brindisi e a Corfù.


Vuole essere un modo silenzioso ma tangibile di dimostrazione che i cittadini italiani non dimenticano la vicenda dei due fucilieri detenuti in India e far sentire la propria vicinanza ad entrambi ed alle rispettive famiglie.

Siamo altresì certi che altri team esporranno la stessa bandiera sulle proprie imbarcazioni in regata, condividendo con noi lo spirito di forte solidarietà che accompagna questa dolorosa vicenda.

Anche le mogli di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone presenzieranno il 10 giugno alla cerimonia d’inaugurazione della regata. In quella stessa occasione Vania Ardito, moglie di Salvatore Girone, consegnerà al nostro team la bandiera del Battaglione San Marco che
veleggerà così nel Canale d’Otranto per ricordare i due marò detenuti in India.

"Un'iniziativa straordinaria" - ha dichiarato l'Ambasciatore Giulio Terzi, ex Ministro degli Esteri che si dimise per protesta proprio a seguito della decisione dell'allora Governo Monti di rimandare i due Marò in India -  "ancor più significativa perché nata spontaneamente da un gruppo di cittadini che hanno a cuore la sorte dei nostri due Marò. Centinaia di vele solcheranno il nostro mare per lanciare un messaggio forte: la necessità di riportarci - con Massimiliano e Salvatore - l'onore, il rispetto e la dignità delle nostre Forze Armate e della nostra Bandiera, come decine di milioni di italiani a gran voce richiedono e meritano"



Brindisi, 19 maggio 2014

Montefusco Sailing Project Team

                                                                                     Paolo Montefusco


Brindisi-Corfù: invitati i famigliari dei marò alla cerimonia di presentazione.



Brindisi-Corfù: invitati i famigliari dei marò alla cerimonia di presentazione

Famigliari e amici dei due marò trattenuti da oltre due anni India saranno presenti alla serata di presentazione (10 giugno) degli equipaggi che prenderanno parte alla 29esima edizione della regata internazionale Brindisi - Corfù, la cui partenza è prevista per l'11 giugno. L'iniziativa di sensibilizzazione per il rientro in Italia dei sottufficiale Salvatore Girone e Massimiliano Latorre è stata lanciata dalla maxi Idrusa Farr 80 dell'armatore Montefusco sailing project
 


rindisi-Corfù: invitati i famigliari dei marò alla cerimonia di presentazione



Famigliari e amici dei due marò trattenuti da oltre due anni India saranno presenti alla serata di presentazione (10 giugno) degli equipaggi che prenderanno parte alla 29esima edizione della regata internazionale Brindisi – Corfù, la cui partenza è prevista per l’11 giugno.
L’iniziativa di sensibilizzazione per il rientro in Italia dei sottufficiale Salvatore Girone e Massimiliano Latorre è stata lanciata dalla maxi Idrusa Farr 80 dell’armatore Montefusco sailing project, che porterà in regata una bandiera appositamente realizzata per l’occasione con l’effige dei due militari e ha fatto un comunicato in cui invita tutti gli armatori che parteciperanno alla manifestazione ad esporre sulle proprie barche tale bandiera.
Brindisi, del resto, è la sede storica dall’inizio degli anni 70 della Brigata Marina San Marco, a sua volta legata da un forte legame con la città. E i fratelli Paolo e Sandro Montefusco, ex  olimpionici e campioni di vela, si sono sempre mostrati sensibili verso la sorte dei due marò.


Fonte: http://www.brindisireport.it/


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sabato 24 maggio 2014

Membro del Bilderberg afferma che il gruppo è molto più potente e influente del " World Economic Forum "



Recentemente un'ex partecipante del Bilderberg, ha affermato al mensile tedesco " Cicero " , che  “ le cose che importano davvero si dicono al Bilderberg. Si impara una quantità di cose incredibile. Davos in confronto sono solo chiacchiere.”

Il riferimento  è alla Conferenza di Davos, il meeting organizzato dal " World Economic Forum " , in cui si incontrano importanti esponenti del mondo della politica,dell'economia e del giornalismo .

Come ha fatto notare il giornalista statunitense Paul Joseph Watson, questa ammissione è indubbiamente notevole, considerando l'assai differente copertura mediatica data agli eventi, praticamente quasi nulla per il Bilderberg .


Già nel 1998 un'altro partecipante, l'economista e ex redattore capo del quotidiano " The Observer " ,Will Hutton,  scrisse che  : " quanto vi viene concordato è la base cui le politiche mondiali si conformano. "

Nel 2009 l'allora presidente dello stesso Bilderberg, l'industriale e politico Étienne Davignon, in un'intervista alla testata giornalistica online " EUobserver ", disse che il gruppo Bilderberg aveva dato un forte contributo per la creazione dell'euro, pianificando praticamente la creazione della moneta unica nel 1990 .


Ultimamente l'attenzione per il Bilderberg si sta facendo sempre più crescente, mentre prima solitamente si sosteneva che addirittura non esisteva .

Solo dopo la pubblicazione, nel 2009, del libro " Il Club Bilderberg " di Daniel Estulin, l'esistenza di questo gruppo è diventata nota all'opinione pubblica, mentre prima, a parte la minoranza dei seguaci dell'informazione alternativa, spesso etichettati dai mass media come " teorici della cospirazione " , non se ne sapeva niente .



Ultimamente anche molti dei principali quotidiani, a partire da quello inglese " The Guardian " , hanno iniziato ad interessarsi di questo gruppo che riunisce le più influenti personalità del mondo della finanza, dell'economia e della politica mondiale .

Gli " scettici ", che sino a qualche anno fa negavano anche l'esistenza di questi meeting, sostengono che il Bilderberg non sia altro che una sorta di semplice riunione privata tra amici di vecchia data, mentre i sostenitori dell'informazione alternativa affermano che nelle riunioni vengano discusse questioni importanti dal punto di vista politico e economico mondiale, e prese delle decisioni che poi verranno seguite dai governi .


Intanto, come rivelato più di un mese fa da vari siti di informazione alternativa, e ripreso pochi giorni fa anche  dal quotidiano " la Stampa ", il prossimo incontro ( il 62° ) del Bilderberg si terrà all'hotel Mariott di Copenhagen dal 29 maggio al 1 giugno .

Fonte: http://informazioneconsapevole.blogspot.it/

Marò in India, Napolitano e tecnici ancora in Italia (A.d’Ecclesia)

Il non riconoscimento del diritto internazionale e il non riconoscimento della sovranità nazionale non riguarda l’India ma riguarda l’Italia solo ed esclusivamente l’Italia. Il primo a non riconoscere l’Italia come una nazione che ha le sue leggi e che regola i rapporti con gli altri Stati con trattati internazionali è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che in un comunicato del Quirinale dice: ”Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – si legge nella nota – ha avuto una conversazione telefonica con il fuciliere di Marina Massimiliano Latorre nel corso della quale ha espresso a lui e al suo collega Salvatore Girone l’apprezzamento per il senso di responsabilità con cui hanno accolto la decisione del Governo e ha assicurato loro la massima vicinanza nel percorso che li attende con l’augurio di un sollecito, corretto riconoscimento delle loro ragioni”.

Dalle parole del Presidente Napolitano sparisce tutto ,il diritto internazionale è sparito,la sovranità nazionale violata è sparita,tutto il resto è sparito e cosa rimane? Rimane l’augurio di “un sollecito, corretto riconoscimento delle loro ragioni”. Ma abbiamo capito quello che ha detto ? Un sollecito, corretto riconoscimento delle loro ragioni. Questa è la nota ufficiale del garante della Costituzione e dei cittadini italiani e oltre a essere il Presidente della Repubblica e anche il Capo delle forze armate.

Il sobrio Presidente del consiglio Mario Monti invece affida a una nota la decisione presa ed è subito un giallo per l’assenza del Ministro degli Esteri, è presente nella nota ma assente di fatto dalla riunione del Governo e raggiunto via fb dalla notizia risponde a questa maniera:

Subito dopo ricevuta comunicazione, abbraccia nuovamente l’idea prendendosi anche i meriti, pare che la mossa sia stata intelligente per far accogliere all’India le sue ragioni e in un intervista a Repubblica dichiara “Senza lo strappo non avremmo potuto contrattare con il governo indiano le condizioni attuali, che prevedono per loro condizioni di vivibilità quotidiana nel paese e la garanzia che non verrà applicata la pena massima prevista per il reato di cui sono accusati. Su questo adesso non abbiamo più preoccupazioni.Deve essere chiaro che il nostro sforzo non finisce qui. Con l’India abbiamo aperto adesso un canale di comunicazione diplomatica e giuridica che riparte da presupposti diversi, e che si basa sul principio del mutuo rispetto tra i due Paesi, così come ha chiesto l’Onu più volte“. Sulle sue dimissioni aggiunge: “Non ne vedo il motivo. In questi mesi abbiamo lavorato con impegno, cercando sponde diplomatiche e giuridiche per risolvere la situazione. Dimettermi? Io faccio parte di un governo dimissionario“.

Un’altra Ministra esperta di diritto internazionale e nazionale e mi riferisco al Ministro tecnico Paola Severino, Ministro della Giustizia, ci fa sapere dall’alto della sua esperienza che “dal mio punto di vista, contano i risultati e gli esiti della vicenda e soprattutto conta il fatto che ai nostri due militari sia assicurata la garanzia di un giusto processo”. “Da ministro della Giustizia – precisa il Guardasigilli - il mio solo compito era ed è quello che ai nostri due militari venga riconosciuto un livello di garanzia tale da assicurare loro un giusto processo. Quindi, che possano essere giudicati da un tribunale che si ispira ai principi della normativa internazionale e che si abbia la garanzia che, neppure dal punto di vista ipotetico, possano essere assoggettati alla pena di morte. Queste sono le due condizioni che sono sempre rimaste fisse”.

Per quanto riguarda la giurisdizione, italiana o indiana, il Ministro aggiunge ”deve essere comunque risolto secondo la normativa internazionale. Questo è il quadro in cui, dal punto di vista del ministro della Giustizia e del diritto, si è sempre rivolta ed evoluta la vicenda. Il modo, poi, con il quale ottenere questi risultati non è certamente nelle funzioni del ministro della Giustizia”.

In un articolo dello scorso 24 febbraio 2012, pubblicato su Agenzia Radicale e riportato anche sulla rassegna stampa della difesa si dice: “Inoltre la materia è regolata dall’articolo 698 del codice di procedura penale, che vieta l’estradizione quando la persona verrà sottoposta ad un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali, nello specifico quello della difesa con un processo basato su prove, quali quelli derivanti da esame autoptico e prova balistica. Inoltre la Corte Costituzionale con Sentenza n. 223 del 27 giugno 1996 ha ritenuto che la semplice garanzia formale che non verrà applicata la pena di morte è insufficiente alla concessione dell’estradizione. Più nello specifico la Suprema Corte si è espressa attraverso la Sezione VI, Sentenza n. 45253 del 22/11/2005 Cc. – dep. 13/12/2005, Rv. 232633; da ultimo, sez. VI, 10 ottobre 2008, n. 40283 dep.28 ottobre 2008, affermando che “ai fini della pronunzia favorevole all’estradizione, è richiesta la documentata sussistenza e la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’estradando (…) che essa espressamente condizioni l’estradizione alla sussistenza dei gravi indizi: in regime convenzionale, invero, la sussistenza dei gravi indizi di reità va incontrovertibilmente presunta dai documenti che la Convenzione indica”.

Di conseguenza l’accordo di riconsegna all’India di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone era nullo, in quanto in aperto contrasto con il Dettato costituzionale, consolidato dalla prassi. Chi se ne assunto la responsabilità potrebbe essere incorso reati di Attentato alla Costituzione e/o Alto tradimento”.

Un altro grande protagonista è De Mistura in un intervista rilasciata Simone Spetia dichiara “Ciò che è cambiato è che avevamo chiesto agli Indiani alcune garanzie, queste garanzie ci sono state fornite per iscritto ieri, sulla base di questa previsione e di questa situazione ci sono state riunioni a livello di Governo”. Con le garanzie è prevalso un bene fondamentale per l’Italia che è quello della parola data; nel caso non ci fosse stata una garanzia sull’aspetto della pena capitale, che non è marginale, quello sarebbe bastato per non mantenere una parola che comunque è importante mantenere. Una volta ricevute queste garanzie ha prevalso la parola data dalla Nazione, dall’ambasciatore a nome del Governo e da due Marò. E questo è stato il punto di svolta sul quale si è deciso, con difficoltà per me che li ho dovuti accompagnare in India, per le famiglie, per i marò. Ma la parola di un italiano conta e vogliamo che conti.

C’è stata una discussione dura nel Governo? Non faccio commenti su questo argomento. Il ministro ha avuto un comportamento altamente professionale, ha difeso questa posizione, si è adoperato in questi giorni e nell’ultimo mese perché si trovassero delle forme diplomatiche. L’importante è la decisione finale e collegiale del Governo, alla quale ci siamo tutti adeguati e sulla quale lavoriamo. Ha prevalso l’interesse per i principi, uno di questi è che la parola italiana vale.

C’è chi dice: il Governo ha fatto una figuraccia. In India hanno avuto gli stessi problemi: erano stati accusati di aver fatto degli accordi segreti, che tutto era in qualche maniera ondivago. La realtà è che la diplomazia e i rapporti tra Stati su questioni inaudite come questa richiedono decisioni e aggiustamenti sulla base di elementi che vengono o non vengono forniti. In questo caso la posizione non è stata facile, non c’è stata la possibilità di aggiustare il tiro nello spiegare cosa avveniva perché queste discussioni avvengono discretamente e il risultato è quello che abbiamo. I due marò sono convinti anche loro che questa è una decisione condivisa, la loro parola è importante quanto quella dell’ambasciatore, sanno che l’Italia non li lascerà mai. La mia presenza qui e nei prossimi giorni a Delhi per garantire che certe condizioni che certe condizioni che sono state concordate vengano applicate e il fatto che noi manteniamo a bocce ferme, senza un dramma creato che poteva confondere tutte le acque, noi manteniamo la nostra posizione: arbitrato internazionale, riteniamo che i militari italiani, così come quelli indiani, debbano essere giudicati a casa propria. I nostri militari mantengono un atteggiamento profondamente dignitoso rispetto a questa questione. Ultimo punto: loro tornano in ambasciata, sono funzionari a questo punto dell’ambasciata, sostengono il nostro consigliere militare e hanno libertà di movimento. Le prossime mosse dipenderanno dalla diplomazia e dall’aspettativa che abbiamo noi che anche da parte indiana, come siamo stati capaci anche noi di prendere atto di alcune decisioni indiane, si prenda atto di quanto importante sia una soluzione diplomatica, giusta, internazionalmente riconosciuta di un fatto mai avvenuto prima.

E’ mancato il supporto dell’Unione Europea? L’unione Europea mi pare che abbia preso una posizione molto chiara rispetto ad una questione: quando l’India ha fatto capire che di fatto non avrebbero applicato l’immunità diplomatica all’ambasciatore. Su questo punto abbiamo visto un’Unione Europea forte.

Come stanno i due marò? Io li conosco molto bene. Sono l’orgoglio del migliore comportamento che un militare può avere: dignità, chiarezza del loro ruolo e del loro comportamento, adeguarsi all’interesse e all’immagine dell’Italia e del loro corpo, quello dei Marò. Le loro famiglie sono state straordinarie perché hanno dovuto accettare per l’ennesima volta una delusione. Ma sono militari e anche in volo mi hanno ricordato: “Siamo militari, noi andiamo avanti e andremo avanti”.


Un po’ addolorati lo saranno.
Lo siamo tutti, siamo tutti esseri umani. Lo sono anche io. Credo che lo siano anche coloro che hanno dovuto prendere questa decisione. Ma siamo anche convinti della forza che vedrete nei nostri militari: noi abbiamo la nostra posizione e siamo pronti a difenderla perché non abbiamo timore di difenderla”.

Leggendo e rileggendo queste dichiarazioni e tutto quello accaduto è difficile trovare delle parole che non sfociano in insulti rabbiosi nei confronti di questi falsi rappresentanti istituzionali italiani,si confermano le voci di chi ha lavorato per creare un entità geografica chiamata Italia, gestita da un comitato d’affari, e a questo punto sarebbe utile sapere i nomi di questi affaristi, e chi hanno finanziato durante la campagna elettorale. L’unica risposta da dare a questi signori,oltre a quello che prevede la legge, sarebbe quello di togliere la cittadinanza italiana, e mandarli a vivere dove risiedono i loro mandanti.

(A cura di Alfredo d’Ecclesia)

Fonte:  http://www.statoquotidiano.it/