domenica 8 giugno 2014

Marò in India: Colombo: «È mancata la voce dell’Italia A cominciare dal capo dello Stato»


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«Nel caso dei Marò in India sono stati fatti errori fatali, per questo su tutta la vicenda è sceso il buio. È mancata la voce dell’Italia»: Furio Colombo, giornalista, scrittore, politico ed osservatore esperto di affari internazionali inquadra il caso di Latorre e Girone, da oltre due anni ingiustamente detenuti in India, come il risultato di una serie madornale di leggerezze e sbagli. E sottolinea che «è mancato l’intervento del capo dello Stato, il presidente Napolitano, che è anche capo delle Forze Armate».

Onorevole Furio Colombo, cosa è stato sbagliato nella vicenda dei marò?
«Ci sono stati due errori, uno in testa e uno in coda. Evitando uno solo di questi due si poteva evitare tutto. Primo errore: chi, dove e quando ha autorizzato la missione dei due fucilieri italiani per scortare una nave privata? Ricordo benissimo le circostanze e la pirateria, so però che quando dei soldati di un esercito ben organizzato sono assegnati a una missione hanno delle regole d’ingaggio che dovranno osservare. Noi non sappiamo nulla di queste regole d’ingaggio. Avendo partecipato in quel periodo sia alla Commissione Difesa sia a quella Esteri non ricordo mai alcuna discussione sulle regole d’ingaggio e neanche sull’autorizzazione.
 
E dalla Difesa?
«Esisteva un’indicazione del ministero della Difesa che diceva "eventualmente si potrà provvedere a proteggere le navi". Ma quell’"eventualmente" non è mai diventato una sequenza di progetti legislativi o regole da presentare alle commissioni per l’approvazione. Questo atto non ci è mai stato presentato e non conoscendolo noi non sappiamo quanto privata o pubblica può essere interpretata l’attività che i marines stavano svolgendo».
 
L’errore in coda?
«Si deve per forza attribuire al capitano della nave e all’armatore. Latorre e Girone sono soldati italiani e dovevano essere consegnati, eventualmente, per essere incarcerati o processati, alle autorità italiane. Non è possibile al mondo consegnare i propri soldati alla parte avversa e non potrà mai giudicarli, perché non si tratta di una situazione privata. Si tratta di soldati italiani che devono rispondere alle autorità italiane e la prima domanda alla quale devono rispondere è: chi gli ha dato gli ordini?»
 
Perché?
«Il loro grado non comporta l’iniziativa che hanno preso e, certamente, dato il senso di responsabilità che hanno sempre dimostrato, non erano dei bulli che giravano per l’Oceano Indiano a sparare al primo obiettivo che gli capitava. Ora però si è creata una sorta di doppia opinione pubblica: una che dice: "Assassini, consegnateli e che si decida secondo giustizia", ma non può l’avversario militare decidere secondo giustizia. Non erano in vacanza: erano militari e i militari eseguono ordini nell’ambito di regole d’ingaggio. Per questo dobbiamo difenderli, perché non possono essere affidati al loro avversario. Non è umano. Perché il capitano li ha consegnati? È inimmaginabile che l’armatore abbia dato l’ordine, che però ha dato. È stato uno scambio mercantile: io ti dò i soldati del mio Paese, ma tu mantieni la mia rotta privilegiata che ho su questo tratto di mare. L’armatore non ha voluto rischiare».
 
Cosa si può fare oggi?
«Vorrei sapere che cosa è stato fatto, per poter dire che cosa si farà. Apprezzo il lavoro che è stato fatto da De Mistura e non l’avrei liquidato su due piedi, come uno che ne approfittava per farsi dei viaggetti in India. È un diplomatico di esperienza che non può essere tacciato di aver fatto male il suo lavoro. Ma quali erano le istruzioni che gli venivano date? Si valeva della sua capacità di trattare o di una forza e di un’autorità che il governo italiano gli aveva dato in pieno?»
 
E allora?
«C’è perciò un terzo errore: il governo uno, Monti, il governo due, Letta e il governo tre, Renzi, avrebbero dovuto essere molto più vigorosi e netti nel pretendere un’evoluzione rapida e incontrovertibile del caso. La Repubblica Italiana avrebbe dovuto agire con un vigore che non abbiamo visto, dal presidente della Repubblica in giù. Il capo dello Stato è anche il capo delle Forze Armate. E due membri delle sue Forze Armate sono a lungo stati tenuti in sospeso perché, forse ci sarebbe potuta essere la pena di morte. Questo richiede una risposta estremamente drammatica. Che non c’è stata».

Fonte:  http://www.iltempo.it/

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