domenica 29 giugno 2014

In memoria di MARIELLA TOGNA del Servizio Ausiliario Femminile.

Mamma andò a curare i feriti della Folgore chiamata dall' ufficiale medico Fusarpoli perché le suore del Celio non volevano curare i feriti della Folgore. E quando ci fu la ritirata mio padre, prima di andare al nord passò al Celio e caricò tutti i paracadutisti feriti su dei camion, caricò i medicinali e mia madre! Tra i feriti al Celio che ebbero lo stesso trattamento dalle suore,c'erano anche quelli del Barbarigo. E lei curò anche loro! Però avrei un piacere da chiederti. Se mi puoi aiutare. 

Tra i ricordi più belli di mamma ci sono proprio i ragazzi del Barbarigo perché poco dopo fecero tutti quella fine orrenda e lei se li ricordava uno per uno. Le regalarono il fazzoletto e il distintivo del Barbarigo e lei li ha sempre conservati come un gioiello preziosissimo. Però io non so nulla di questo. Lei ne parlava poco come se volesse conservare quel ricordo preziosissimo in una cassaforte. Mi diceva che le faceva male al cuore parlare di quei ragazzi perché quando li salutò, loro sapevano che andavano incontro alla morte. Invece io vorrei sapere di più..... (La figlia).

Il Corpo Femminile Volontario per i Servizi Ausiliari delle Forze Armate Repubblicane, meglio noto come Servizio Ausiliario Femminile (SAF) è stato un corpo femminile delle forze armate della Repubblica Sociale Italiana, le cui componenti, tutte volontarie, sono comunemente indicate come ausiliarie.
Il Servizio Ausiliario Femminile venne istituito il 18 aprile 1944 con il decreto ministeriale n. 447, come supporto allo sforzo bellico. Il comando fu affidato al generale di brigata Piera Gatteschi Fondelli, già ispettrice nazionale dei Fasci di Combattimento Femminili. Per quanto riguarda il reclutamento e l'addestramento il SAF era posto alle dipendenze della Direzione del Partito Fascista Repubblicano per tramite di un Comando Generale del Servizio Ausiliario, ed era articolato su Comandi Provinciali e di Gruppo. Il Comando Generale del corpo sarà posto prima a Venezia e poi, dal 1945, a Como.
Al termine dei corsi di formazione le ausiliarie prestavano giuramento secondo la formula delle FF.AA.RR., e venivano considerate personale militarizzato con la qualifica di volontarie di guerra. Per l'impiego operativo le ausiliarie erano poste alle dipendenze dei comandi delle Forze Armate Repubblicane o della Guardia Nazionale Repubblicana presso i quali prestavano servizio.
Sempre appartenenti al SAF erano le Infermiere Ausiliarie inquadrate nella Croce Rossa repubblicana con l'appellativo di "Sorellina" (equivalente al grado militare di Sergente). Le sorelline vestivano l'uniforme delle Infermiere Volontarie (ma in colore azzurro anziché bianco e con il distintivo del SAF) per le attività ospedaliere, e la normale uniforme del SAF per gli altri servizi.
L'arruolamento era volontario, ed in totale le donne che si arruolarono furono circa 6000. L'addestramento del personale venne curato in 22 corsi provinciali (organizzati tra la primavera e l'autunno del 1944) e 6 corsi nazionali.


E' scomparsa da questo mondo terreno. Ha lasciato questa sgangherata Repubblica senza Patria, ha raggiunto idealmente i cento e cento ragazzi del "Nembo". ritrovando i loro volti sorridenti, ritrovando una diversa e sognata Patria non più ingrata e irriconoscibile: ha incontrato i tanti ragazzi da I,ei curati nelle corsie del Celio. assistiti amorevolmente. rincuorati. rimessi a nuovo in quella drammatica primavera del 1944. quando Mariella. crocerossina volontaria. prestava servizio all'ospedale militare di Roma ed aveva in cura con altre giovani volontarie. i tanti ragazzi che il fronte di Nettuno le inviava a decine e che le ragazze rimettevano in condizioni di riprendere a vivere. Chi non ricorda Mariella la nostra affettuosa infermiera. L'angelo bianco che si aggirava fra le corsie in mezzo a quella moltitudine dolorante. cambiando fasciature. rinnovando medicazioni. distribuendo pasticche e pozioni e con le prestazioni professionali regalava a tutti una parola d'amicizia. un dovuto ringraziamento. un se uno di solidarietà umana. un buffetto sulla guancia, una frase scherzosa. una parola d'incoraggiamento, un semplice aiuto a riprendere a camminare dopo una ferita. ed un saluto fraterno a coloro che. guariti. lasciavano l'ospedale per tornare a casa o riprendere il loro posto di combattente e credente fra i ranghi del "Nembo". quel piccolo reparto schierato sul fronte della Moletta da febbraio. che avendo dato prove ineccepibili di valore e di sacrifici perdendo oltre la metà dei suoi effettivi.

In quel momentaneo saluto, c'era anche un po' di Mariella. La sua professionalità e il suo contributo morale la nascita di amicizia e il valore di una scelta - elementi fondamentali della sua popolarità. Il "Nembo'' era entrato in azione nel febbraio. Era in assoluto il primo reparto delle FFAA della RSI a riprendere il posto che competeva agli italiani dopo, il tradimento del settembre 1943. Aveva uno slogan semplice ma efficace: "Per !'Onore d'Italia ". Erano i ragazzi di Rizzatti e di Sala. erano i giovani volontari di Piazza Colonna e di Spoleto, i ragazzi di Pistoia e di D'Abbundo, frementi di entusiasmo e desiderosi di battersi. Al primo attacco, dopo il fatidico 16 febbraio 1944, i 300 erano rimasti in 150. I sei ufficiali ridotti alla metà, 16 i sottufficiali sui 23 iniziali e il battaglione era stato concentrato e strutturato in una sola compagnia: la Nettunia/Nembo. poco più di un centinaio di volontari fra giovani e veterani. Un mese più tardi,. grazie all'afflusso di nuovi volontari. gli effettivi erano risaliti al livello iniziale e sei plotoni d'assalto erano distribuiti fra la Moletta e Bosco dei Pini. Fra i nuovi arrivati. un giovane ufficiale dei reparti giovanili del PFR., Augusto Lucchetti, che, pur di tornare a battersi aveva rinunciato al suo grado e da semplice volontario combatteva per l'Onore. Era l'uomo che il destino aveva scelto per Mariella! AI nord si stava preparando il "Folgore" con oltre 1600 volontari, il nuovo Reggimento che avrebbe raggiunto il leggendario "Nembo" nella primavera. assegnato dalla Storia alla difesa di Roma.
Da febbraio a fine maggio, il "Nembo" rimase in linea, trasformando (la Battaglione a Compagnia e poi ancora in Battaglione ebbe altri caduti, altri feriti, altri complementi: sembrava indistruttibile!
Molti dei nuovi feriti raggiunsero il celio dove trovarono. con Mariella. sorella Giovanna Crespi. Maria Magenta. Mara Maggiora arrivate a dare una mano e curare i tanti feriti, spesso colpiti al capo dai famosi Sniper con Enfield munito di cannocchiale. Lo stillicidio continuò. i caduti raggiunsero i 72 registrati con altri 10 ignoti. 36 i dispersi. 120 i feriti. e fra questi ultimi giunse anche Augusto Lucchetti, ferito al capo da una pallottola impazzita che girò in tondo a all'interno dell'elmetto producendo minuscole fratture. Veniva dal caposaldo di Tor San Lorenzo ed aveva riavuto - doverosamente - il suo grado di sottotenente meritato in battaglia. Si era distinto in combattimento per slancio, abnegazione, esempio, sacrificio. Al Celio lo consegnarono a Mariella che si prodigò per salvarlo e restituirlo alla vita. riuscendoci: "preso in cura". lo rimise ben presto in piedi. con una vistosa fasciatura che lo rendeva simile ad un Siks indiano. malfermo ancora. ma vivo e desideroso di riprendere quanto prima la sua efficienza. Una medaglia d'argento al valor militare, fu il giusto premio al suo valore.
Quando il "Folgore" raggiunse il fronte di Roma, si ebbero altri caduti e molti altri feriti e Mariella non esitò a raggiungere le retrovie per essere più vicina ai feriti negli ospedaletti da campo. incurante dei pericoli. dei bombardamenti dal cielo e le cannonate che arrivavano da terra e dal mare. vivendo pericolosamente - in tende rosso crociate - la cita del soldato. Per questo coraggio spinto sino al pericolo di vita. Mariella Togna ebbe una Medaglia di Bronzo al valore; tu una delle pochissime Ausiliarie della RSI decorata al valore.
Rivide Augusto ritornato al fronte e fra i due nacque un delicato sentimento affettivo. un forte legame chiamato amore sbocciato fra mille pericoli ma saldo. robusto. temprato da una comune volontà a battersi per la giusta causa che avevano entrambi abbracciato.
 

Negli ultimi scontri di retroguardia, del giugno 1944, il "Nembo" si batteva col consueto slancio e con rinnovato valore. E Augusto Luchetti ebbe ancora occasione per combattere alla disperata quella dura battaglia: si prese un'altra ferita nello zigomo con fuoriuscita dall'orecchio e si meritò un'altra decorazione al valore. una Medaglia di Bronzo al v.m. Ancora una volta Mariella dovette curarlo. ricucirlo e rimetterlo in ordine. Divenne l'ufficiale più ferito e più decorato del Rgt. "Folgore".
AI nord, dopo la battaglia di Roma. il "Nembo" venne rinsanguato con altri volontari e Luchetti ebbe il comando di un plotone col quale combatté in Piemonte contro banditi e fuorilegge politicizzati. Al comando del Battaglione . dopo il Capitano Corradino Alvino, era subentrato il Capitano Luciano Bernardi. - un veterano di Corsica e di Nettuno - e fu lui che guidò il "Nembo" nell'ultima ritirata in Val d'Aosta verso il nemico di sempre. Ancora una volta Mariella seguì le vicende del "Nembo". fino all'ultimo ed ancora una volta Augusto Lucchetti venne ferito (era l'ultimo giorno di guerra) e riconsegnato a Mariella per farsi rabberciare alla meglio. visto che la guerra era ormai finita anche per gli irriducibili paracadutisti della RSI. Gli aspettava di diritto un'altra decorazione. ma ormai non c'era più tempo per simili cerimonie. Li attendevano come perdenti i campi PO W: la patrie galere dove rinchiudere i valorosi per dare spazio alla vigliaccheria.
Poi. finita la burrasca. A u g u s t o Lucchetti e Mariella Togna trovarono il tempo per sposarsi e mettere su famiglia. Era subentrata la pace!
Fu una coppia straordinaria, una unione affettuosa e salda che univa l'amore con la fede. l'affetto con un c o m u n e apprezzabile passato da valorosi. dovere e sacrifici offerti all' Italia, la vera Italia che servimmo senza tentennamenti. oggi sostituita da questa irriconoscente e irriconoscibile repubblica che non poteva nascere che dal disordine e dal veleno sparso a piene mani. Augusto moriva nel 1985 per un male incurabile. Mariella Togna si è spenta il 28 novembre 2006, con accanto figli e nipoti, salutata da un gruppetto di paracadutisti per l'estremo saluto alla voce spettante di diritto ai valorosi soldati. Sul Tricolore la sua medaglia conquistata in guerra, una medaglia preziosa in quanto unica decorazione metallica della RSI, ad integrazione del diploma cartaceo che le venne consegnato con un piccolo nastrino azzurro nel lontano 1944.
In quell'angolo di cielo riservato a Noi. troverà sorridenti, fieri e allineati i Caduti del "Nembo". il suo invitto Battaglione: tanti ragazzi che la saluteranno con un tonante Folgore!
L'abbiamo salutata nel Duomo di Nepi, stringendo al nostro cuore figli e nipoti. Ciao. Mariella!

Inno del Servizio Ausiliario

"Canta giovinezza"
Canta, giovinezza, la canzon del cuore
presa dall’ebbrezza e da un comune ardore.
È la Patria amata
che rinasce alata
la Patria che di luce splende ancora.
Noi ci recheremo in guerra
se la Patria lo vorrà.
Morirem su nostra terra
e se l’Italia vice
bello pur sarà.
È nata dal dolore
nel cuore la fiamma ardente
che le ali ci darà.
È la nostra prima guerra
lo giuriam, si vincerà!

Fonte: archive.today/ZIxh8

Marò in India: Salvatore Girone urla agli italiani!!!!

Dopo aver sentito le parole di Salvatore Girone, in collegamento con gli italiani, in occasione della Festa della Repubblica, il 2 Giugno, se fossi un politico del Governo vigente o dei due precedenti, MI VERGOGNEREI profondamente.


Se ascoltiamo le varie interviste che si sono susseguite in questi 28 mesi, dovremmo dormire sonni sereni.... anche i marò lo potrebbero fare. All'unisono escono dalle bocche dei politici  frasi come "Questa vicenda è massima priorità per il Governo" - "Ci stiamo adoperando con determinazione e tutti i canali sono aperti"

Tutti a cercare di proteggersi e a mettere le proprie coscienze a posto. Senza fare nomi di colleghi, o di se stessi, per denunciare le responsabilità italiane di questa amara pagina della nostra Nazione.
Le loro parole, dopo più di due anni, sono più leggere di una piuma, mentre quelle che arrivano dall'India, piombano nei nostri cuori feriti e rivangano una condizione di frustrazione per via della torbidità con cui questa vicenda è stata e viene gestita.

L'unico Ministro degli Esteri ad andare in India è stato Giulio Terzi. La Bonino e la Mogherini, non ci sono andate. Hanno cose più importanti da fare, anche se i marò sono tra le priorità del Governo....

La fermezza, la dignità e l'onore, è tutto in questo video.


 

"Abbiamo obbedito a degli ordini e oggi siamo ancora qui. Abbiamo mantenuto una parola che ci era stato chiesto di mantenere e ancora oggi con grande dignità e onore per il popolo italiano e tutti i militari del mondo la manteniamo". E' praticamente urlato l'intervento fatto da Salvatore Girone, collegato in videoconferenza dall'ambasciata d'Italia in India a New Delhi con le commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato. "Grazie per averci dato questa opportunità, auguro a tutte le istituzioni, a tutti gli italiani e colleghi militari una buona festa della Repubblica - ha detto ancora Girone - Per noi è una grande emozione sentire il passo marciante dei nostri militari e non è bello non essere lì. Sono passati più di due anni e anche questa volta siamo costretti a essere lontani da tutti voi ed essere presenti solo via webcam".

SIA RICONOSCIUTA LA NOSTRA INNOCENZA - "Noi vorremmo che venga riconosciuta la nostra innocenza - ha ribadito con forza Girone - e che i nostri Paesi dialogassero per la pace e non per le rotture. Il muro contro muro porta solo alla distruzione".



Nicola Marenzi



venerdì 27 giugno 2014

Iran a due passi dalla bomba atomica, dissidenza soffocata nel sangue. Intervista a Giulio Terzi di Sant'Agata: Italia smetta di tacere.


L'ex Ministro degli Affari esteri, l'Ambasciatore Giulio Maria Terzi di Sant'Agata (per gentile concessione dell'Ambasciatore Terzi)

In attesa dell'imminente giornata del 27 Giugno, quando si terrà un delicato summit a Parigi con tutti gli elementi di spicco della dissidenza iraniana all'estero, Epoch Times pubblica in esclusiva un'intervista all'Ambasciatore e già ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata.
Violazioni del diritto internazionale umanitario, omertà dei governi e ragion di stato nell’area iraniana e della zona mediorientale: tutte problematiche internazionali che l’Occidente dovrebbe affrontare con grande urgenza, mentre il fantasma della bomba atomica di Teheran si avvicina inesorabilmente.


Il 18 maggio, Sadeq Larijani – capo della magistratura dei Mullah, e considerato dalle organizzazioni internazionali come direttamente responsabile delle torture quotidiane e delle esecuzioni di gruppo in Iran – nel suo incontro con il capo del Consiglio Giudiziario Supremo dell'Iraq ha chiesto che i membri dell'Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano (Pmoi/Mek) in Iraq vengano «riportati in Iran per essere processati, perché se non venissero processati ciò sarebbe contro la legge». La richiesta di Larijani di estradare dei rifugiati sotto protezione internazionale dimostra la forza che il governo iraniano pensa di poter vantare. Come intervenire in tale contesto?
È davvero preoccupante e francamente intollerabile quanto è avvenuto in Iraq in particolare da un anno a questa parte nei confronti dei membri dell'Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano (Pmoi/Mek). Un nome ancora troppo poco conosciuto in Occidente, ma bisogna ricordare chi sono e cosa rappresentano questi strenui oppositori della teocrazia sciita. Proprio in questi giorni a Roma, nella sede del Partito Radicale è stato presentato il libro Una voce in capitolo di Esmail Mohades. Iraniano residente da molti anni in Italia, il dott. Mohades aveva partecipato, dopo l'arrivo di Khomeini al potere, alle manifestazioni di centinaia di migliaia di Mojahedin contro l'assolutismo sciita. Si trattava di un movimento con radici profonde nella società iraniana, guidato da una personalità carismatica come Massoud Rajavi. Sin dalla metà degli anni sessanta i Mojahedin erano stati perseguitati atrocemente dalla polizia segreta dello Shah-la Savak, perché volevano il rovesciamento di una dinastia rivelatasi totalitaria, violenta e corrotta, mentre il popolo – di cui i Mojahedin si sentivano l'espressione – invocava una sterzata drastica verso la democrazia, la libertà individuale e la giustizia sociale. Così come lo Shah, anche Khomeini e Kamenei hanno sempre visto nel Pmoi/Mek un pericolo mortale per il regime, tanto più che i Mojahedin hanno effettuato, o ne sono comunque stati ispiratori durante gli anni 80, azioni militari contro gli Ayatollah. Le cose per il Pmoi/Mek si sono però complicate negli anni 90 e poi nel 2003: questi oppositori del regime hanno fatto le spese dei "tentativi di dialogo" – peraltro falliti – tra Usa e Iran, e molti temono che emerga nuovamente oggi la tentazione di "sacrificare" la sicurezza e la sopravvivenza stessa dei Mojahedin sull'altare di un "riavvicinamento" con l'Iran in chiave nucleare e anti Jihadista. Nel suo libro, Mohades racconta due episodi allarmanti per ciò che potrebbe accadere dopo le reiterate insistenze di Laridjani per processare in Iran tutti i tremila residenti di Camp Liberty. Nel 1997 il Dipartimento di Stato rispondeva positivamente alle sollecitazioni iraniane affinché gli Usa inserissero il Pmoi/Mek nella lista delle organizzazioni terroristiche. Washington decideva di compiere un "gesto di buona volontà" nei confronti della nuova presidenza iraniana di Katami, che si auspicava riformista e moderata. Nel 2003 l'Ambasciatore americano all'Onu concordava con il collega iraniano il bombardamento dei campi dell'opposizione iraniana in Iraq affinché Teheran si astenesse dall'intromettersi negli affari interni iracheni. Vediamo con quale successo, dato che il governo Maliki si è sempre mostrato organico a quello iraniano, e che si guarda bene dal fare alcunché che possa turbare il suo potente vicino, e che nel 2011 ha rifiutato su "ordine" di Teheran una presenza anche minima di forze americane nel Paese che però ora invoca insistentemente per le proprie battaglie contro l'Isis.

Quali sviluppi hanno contraddistinto l'attività e la situazione dei Mojahedin negli ultimi periodi?
I Mojahedin hanno segnato diversi punti a proprio favore. Hanno ottenuto lo status di "persone protette" dall'Onu; hanno vinto le azioni giudiziarie da loro intentate in Europa e in America per protestare contro l'inserimento nella lista delle organizzazioni terroristiche; alcune centinaia di residenti a Camp Liberty sono stati accolti in Paesi europei, ma – val la pena dirlo – non ancora in Italia, ed è un'omissione alla quale il Governo italiano dovrebbe porre rimedio, dal momento che sono una novantina i dissidenti iraniani di Camp Liberty che rischiano seriamente la vita e che avrebbero titolo a trasferirsi subito nel nostro Paese, ma le loro pratiche languono da più di un anno alla Farnesina e negli altri competenti Ministeri. Ricordiamo che cinquantadue Mojahedin sono stati orribilmente massacrati il primo settembre scorso a Camp Ashraf da milizie sciite sotto gli occhi distratti e conniventi della polizia governativa irachena che doveva proteggerli. Moltissimi sono stati torturati e uccisi nelle prigioni iraniane, o assassinati all'estero da sicari teleguidati da chi è facile immaginare. La stampa italiana non si è neppure "accorta" del massacro dello scorso settembre ad Ashraf: è come se i grandi temi dei diritti umani dovessero sempre essere "filtrati" nel nostro Paese – ben diversamente da quanto avviene nelle altre maggiori democrazie occidentali – da ingannevoli considerazioni d'interesse commerciale, come se tacere sui crimini in un Paese avvantaggiasse i nostri imprenditori su un determinato mercato. Caso mai, è l'esatto contrario. Una situazione certo non estranea al deludente posto che occupiamo nelle classifiche internazionali sulla libertà di informazione. Né ci siamo mossi con sufficiente decisione a livello europeo e bilateralmente con Teheran. Bisogna invece essere attivi in tutte le sedi internazionali, e la questione di Camp Liberty deve essere portata con urgenza all'attenzione del Consiglio per i Diritti Umani a Ginevra e diventare prioritaria per l'Unione Europea.

Il Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana ha comunicato, in data 19 Maggio, che dieci prigionieri nella prigione di Gohardasht a Karaj sono stati condannati all’impiccagione. I detenuti sono stati fatti uscire dalle loro sezioni il giorno prima con la scusa di dover essere portati in ospedale o in tribunale e sono stati invece portati in isolamento. Il giorno prima, altri dieci prigionieri erano stati giustiziati nella prigione di Kerman. Perciò, il numero delle esecuzioni registrate solo dal 21 Aprile ad oggi è arrivato a 113. Il Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana ha dichiarato che l'inerzia della comunità internazionale, in particolare del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, verso le esecuzioni incessantemente in crescita in Iran, esprimono un record di indifferenza senza precedenti. Come porre l’attenzione dell’Onu e della Comunità Europea, oltre che della politica italiana, su questa situazione? Inoltre, la Resistenza Iraniana chiede a tutti gli organismi internazionali e alle organizzazioni per i diritti umani di intraprendere un’azione efficace e urgente per salvare le vite dei molti prigionieri politici, ora ammalati e in condizioni disperate: come rispondere in tempi brevi ed efficacemente a queste richieste?
A inizio giugno, dopo dodici anni di continue torture, è stato impiccato Gholamreza Khosravi. La situazione dei Diritti Umani in Iran è così drammatica che persino il Segretario Generale delle Nazioni Unite, sempre molto cauto nell'affrontare criticamente questioni di forte impatto politico interno per un Paese membro dell'Onu, si è espresso con durezza. Non vedo allora perché un Paese come l'Italia, impegnato a tutto campo sul versante umanitario, non possa affrontare questioni come queste con Teheran in termini perlomeno analoghi a quelli utilizzati da Ban Ki Moon.
Questi ha constatato nell'ultimo rapporto al Consiglio per i Diritti Umani che in questo campo le promesse fatte da Rouhani ad inizio presidenza sono fallite drammaticamente. Settecento persone sono state giustiziate da quando il nuovo Presidente si è insediato. Un numero di esecuzioni mai visto prima, a ritmi di almeno cento al mese, che assicura all'Iran un orribile primato assoluto tra i paesi che ancora applicano la pena di morte, con riguardo al rapporto tra popolazione residente e condanne capitali.
Il Segretario Generale dell'Onu si è soffermato anche su altre gravi violazioni iraniane di norme internazionali che tutelano i Diritti Umani: amputazioni, torture, fustigazioni, detenzioni arbitrarie, processi sommari, intimidazioni di attivisti politici, di sindacalisti, di giornalisti. Dall'atto della sua nomina, tre anni fa, il Rappresentante Speciale dell'Onu per i Diritti umani ha chiesto ripetutamente ma senza esito alcuno di visitare il Paese. Da nove anni nessun esperto dell’Onu si è potuto recare a Teheran per discutere di sparizioni extragiudiziarie, esecuzioni sommarie, libertà religiosa, discriminazione contro le donne e le minoranze. Il Parlamento Europeo si è espresso lo scorso aprile in termini ancora più fermi. Se crediamo che vi possa essere un futuro pluralista e democratico in Iran, le forze politiche che si battono per quel futuro devono essere concretamente tutelate dalla Comunità internazionale. Trattati e Convenzioni sui Diritti Umani sono stati sottoscritti e ratificati da Teheran, ma vengono costantemente violati. Esigerne il rispetto costituisce un aspetto fondamentale per la credibilità dell'Occidente. L'orrore delle repressioni del 2009 contro l'Onda Verde, le immagini di Neda assassinata mentre manifestava pacificamente, non devono più ripetersi, e l'Italia – che ha nel proprio DNA il tema del rispetto dei diritti umani, dovrebbe smetterla di "tacere" e fare la propria parte.

La problematica legata alla forza nucleare iraniana è spesso al centro delle notizie di cronaca internazionale. Israele è l’unica nazione seriamente preoccupata perché è l’unica a sentirsi esplicitamente minacciata da vicino. L’Mi–6 britannico dichiarò che l’Iran avrebbe raggiunto il traguardo della sua prima bomba atomica proprio nel 2014. Dopo il cambio di governo in Iran, qual è la situazione attuale?
Le Nazioni Unite stanno chiedendo da ben undici anni all'Iran chiarimenti seri sugli scopi di un programma nucleare così esteso e differenziato da non avere nessuna giustificazione logica se avesse esclusivamente – come dichiarato da Teheran – la finalità di produrre energia o di ricerca. Sino all'elezione di Rouhani, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e le ispezioni e decisioni dell'Aiea hanno creato rallentamenti e ostacoli a quelle parti del programma nucleare che sono con estrema probabilità orientate a scopi militari. Le sanzioni petrolifere lanciate quattro anni fa sono state insieme a una seria di altre misure penalizzanti per l'economia iraniana, e questo è stato il principale motivo del ritorno di Teheran al tavolo delle trattative e del "nuovo corso" di Rouhani. L'Iran soffre di inflazione, disoccupazione, tasso di povertà elevato, calo di investimenti esteri come non pativa da almeno quindici anni. Ma Teheran ha caparbiamente proseguito il suo gigantesco programma di arricchimento dell'Uranio, e da ultimo di fabbricazione del Plutonio - la seconda strada per realizzare la bomba - che ha avvicinato moltissimo la "soglia" nucleare. Un paese che miri alla capacità nucleare non deve necessariamente "avere" la materiale disponibilità di bombe assemblate. Ciò che conta è la breakout capability, ovvero la quantità disponibile di uranio arricchito, i sistemi di innesco, i modelli informatici che possono sostituire i test veri e propri, sempre ammesso che – come ipotizzato da alcuni osservatori – gli iraniani i test non li facciano altrove, ad esempio in Corea del Nord, paese legato a doppio filo con l'Iran nella cooperazione nucleare e missilistica. Se gli iraniani ottengono dal negoziato "5+1"di mantenere costantemente in funzione 20/30.000 centrifughe di ultima generazione, e di attivare il reattore di ricerca di Arak, la soglia nucleare è praticamente raggiunta. L'arma necessiterebbe di poche settimane per essere pronta all'impiego, e non molto più tempo occorrerebbe per armare missili già esistenti e sperimentati.

Lei ha certamente fonti d’informazione privilegiate: come stanno procedendo dunque i negoziati?
Al tavolo negoziale, non nascondiamocelo, l'Iran si trova in una posizione assai vantaggiosa. Anzitutto perché è chiaro a tutti quanto gli Stati Uniti e gli Europei abbiano "bisogno" politicamente di un esito negoziale positivo. L'alternativa di un attacco militare – teoricamente sempre sul tavolo ma evocata ormai sottovoce e raramente – non è credibile, tanto meno dopo le numerose "linee rosse" superate senza danni da Assad con l'impiego del proprio arsenale chimico, mentre la Presidenza Obama ha bisogno di potersi accreditare un successo in politica estera. In secondo luogo, i "5+1" possono essere tentati di accettare un'elevata capacità di arricchimento iraniano se il sistema di verifica venisse rafforzato. Ma l'efficacia delle verifiche dipende da contingenze del momento, gli ispettori possono ad esempio essere allontanati in momenti di crisi, mentre le centrifughe sono elementi strutturali del programma che una volta attivate non vengono meno. Il terzo vantaggio iraniano è che l'impianto sanzionatorio, da quando sono state sollevate tante aspettative "di clima" nel negoziato con l'Iran, ha cominciato a fare acqua da tutte le parti. La pressione degli interessi economici, soprattutto nell'energia, è davvero enorme. Se il negoziato dovesse fallire, è realistico pensare che le sanzioni potrebbero ripartire…? Esse rischiano di apparire come un'arma spuntata che non impressionerebbe ormai più di tanto l'Iran. I "5+1" saranno quindi purtroppo flessibili, magari con un altro accordo a termine. Ma con quale grado di soddisfazione israeliana?

La giornalista statunitense-iraniana Farnaz Fassihi ha scritto sul Wall Street Journal un articolo che racconta come il governo dell’Iran abbia iniziato da diversi mesi a reclutare profughi afghani per combattere in Siria a fianco delle forze del presidente siriano Bashar al Assad. Citando fonti afghane e occidentali, Fassihi ha scritto che l’ente iraniano responsabile del reclutamento è la Guardia Rivoluzionaria, una forza militare istituita dopo la Rivoluzione Islamica del 1979. Ci sono notizie più precise su questo comunicato?
L'Iran sta assicurando ad Assad, perlomeno dalla seconda metà del 2012, un crescente aiuto militare, economico e politico. Teheran ha costantemente insistito con Damasco, come sta facendo ora con Baghdad, per una repressione immediata e durissima di qualsiasi forma di opposizione e dissenso interno. La verità è che le primavere Arabe hanno costituito una grande preoccupazione per il regime iraniano, così come d'altra parte le manifestazioni del 2009 seguite ai brogli per la rielezione di Amadinehjead. Per gli Ayathollah era e resta un "anatema" la sola idea di consentire, nei due altri "paesi fratelli" a controllo sciita, un processo di riforme che possa portare a Governi meno autoritari e inclusivi di componenti della società non esclusivamente sciite – in Iraq – o alavate – in Siria. Da due anni la presenza militare iraniana in Siria, con centinaia di consiglieri e ufficiali della Irgc – i Pasdaran – e di diverse migliaia di Hezbollah libanesi, milizie sciite pure addestrate e direttamente sostenute dall'Iran, ha costituito il principale fattore di insuccesso per la Coalizione dell'Opposizione iraniana. Che gli iraniani mobilitino ora anche "manovalanza" afghana, assoldata tra la componente sciita Hazara, non sorprende quindi affatto. È anzi probabile che il reclutamento promosso dall'Iran vada ad attingere anche in altri Paesi con forti comunità sciite. Assad ha così potuto recuperare terreno, rimanere in sella, senza riuscire però a riprendere il controllo dell'intero Paese. Infatti, come ampiamente previsto, le titubanze occidentali nel sostenere nel 2011 e nel 2012 le forze dell'opposizione e l'interesse dello stesso Assad a radicalizzare all'estremo il conflitto ha purtroppo dato grande slancio agli islamisti di Al Nousra, di Isis e di altre formazioni Jihadiste che si sono ora radicate anche nelle regioni sunnite dell'Iraq. I Baathisti conservano importanti radici culturali e sociali nelle regioni ora controllate dall'insorgenza, e gli ex appartenenti alla Guardia Repubblicana di Saddam, gruppi come il Naqshbandia Order, si sono tatticamente saldati ai Jihadisti. Lo scontro diretto tra gli sciiti e i sunniti iracheni può ora rappresentare un "secondo tempo" per Theran nell'affermare in modo decisivo la propria supremazia regionale dopo il "primo tempo" vinto con l'eliminazione di Saddam Hussein e – errore colossale dell'Amministrazione Bush, riconosciuto peraltro dai diretti responsabili – dalla "debaathificazione" del Paese e del totale smantellamento del preesistente apparato di sicurezza. Il Primo Ministro iracheno ha governato in base a un'agenda “settaria” e di totale occupazione dello Stato da parte della componente sciita. Per i sunniti, Maliki è semplicemente un agente dell'Iran. Questo è il motivo che ha forzatamente avvicinato da diverso tempo gli ex ufficiali di Saddam Hussein e le tribù sunnite dell'Anbar, vessate economicamente e terrorizzate militarmente da Maliki, ai jihadisti dell'Isis.

Come stanno reagendo gli USA a questa situazione assai fluida e critica? Quali possono essere le ricadute negative per l'Occidente?
L'Amministrazione americana sembra aver colto il gravissimo rischio di un intervento militare aereo massiccio sulle regioni sunnite irachene accettando la tesi di Baghdad e di Teheran sulla necessità di colpire i terroristi, richieste in realtà motivate solo da necessità di regolamenti di conti di Teheran sul territorio. Anche in Siria all'inizio del 2011 la gente manifestava inerme nelle strade, ed era massacrata dai cecchini del regime, e solo dopo molti mesi di massacri le rivolte si sono trasformate in estremismo jihadista. Purtroppo il "modello" siriano è destinato a replicarsi in Iraq, se prima di qualsiasi altra azione repressiva anti-sunnita non si avvierà un serio percorso politico, includendo sunniti e curdi nel sistema di Governo. Speriamo che Washington riesca in questo intento, ma sono seriamente perplesso, perché su questo aspetto si aprirebbe un ulteriore punto di attrito con l'Iran, che gli USA non vogliono e non cercano in questo momento. Il Generale Petraeus, che si intende di counterinsurgency, avendo guidato con successo quella del 2007/08 in Iraq, ha detto: «Gli Stati Uniti non possono diventare l'aviazione delle milizie sciite». Se gli americani dovessero accogliere la richiesta insistente di Maliki bombardando loro stessi i sunniti senza peraltro un solido accordo politico con le tribù dell'Anbar e con il mondo ex Baath, temo che si otterrà il risultato esattamente opposto a quello di prevenire attacchi jihadisti all'Occidente.

Fonte:  http://www.epochtimes.it/index.html
           Intervista di Domenico Letizia

domenica 22 giugno 2014

I “GUFI” DELLA GEOPOLITICA. L’OCCIDENTE E’ MORTO…? Cap. II

Stati Uniti ed UE sono parsi in affanno in un 2014 che sembra aver riportato le rivalità geopolitiche al centro delle relazioni internazionali. Gli occidentali ritenevano tramontata la stagione dei confronti territoriali, dell'uso della forza, degli "zero sum games": multilateralismo e governance globale erano diventati il "playfield" del post-Guerra Fredda, e la speranza che fosse tramontata la "vecchia geopolitica" si alimentava - come ha scritto recentemente Walter Russel Mead - con il trionfo dell’approccio liberale rispetto al comunismo. 

Foto: I “GUFI” DELLA GEOPOLITICA. L’OCCIDENTE E’ MORTO…? (POST 2). Come promesso, dopo il dibattito del post 1 di qualche giorno fa, eccovi il mio pensiero e le mie risposte su questo tema che ci riguarda tutti da vicino… Stati Uniti ed UE sono parsi in affanno in un 2014 che sembra aver riportato le rivalità geopolitiche al centro delle relazioni internazionali. Gli occidentali ritenevano *tramontata* la stagione dei confronti territoriali, dell'uso della forza, degli "zero sum games": multilateralismo e governance globale erano diventati il "playfield" del post-Guerra Fredda, e la speranza che fosse tramontata la "vecchia geopolitica" si alimentava - come ha scritto recentemente Walter Russel Mead - con il trionfo dell’approccio liberale rispetto al comunismo. L'ambito del confronto sembrava evolvere dalla “contrapposizione ideologica” est/ovest verso l'universale accettazione della democrazia, e dalla minaccia dell'uso della forza verso l'applicazione del *diritto internazionale*. Ora dobbiamo invece fare i conti con un "hard power" accresciutosi esponenzialmente da parte di "Potenze revisioniste" che non si sono mai completamente adattate agli equilibri usciti dal post Guerra Fredda e che ora cercano di cogliere tutte le occasioni per modificarli anche con la forza. Il mondo è ripiombato brutalmente nella paura già con l'11 settembre: la guerra al terrorismo e all'"Axis of Evils" della Presidenza Bush si è declinata nelle operazioni in Afghanistan e in Iraq, intervenendo – a torto o a ragione - senza timidezze nell'utilizzo della forza. Obama ha poi tentato una netta sterzata, con un rilancio poggiato su un'agenda assai ambiziosa: a) blocco dell'armamento nucleare iraniano; b) soluzione del conflitto Israelo Palestinese; c) lotta ai cambiamenti climatici; d) accordi di Partenariato strategico con i Paesi più vicini all'America nel Pacifico e con l'Unione Europea; e) "reset" del rapporto con Mosca, concordando ulteriori riduzioni degli arsenali strategici; f) radicale cambio di marcia nei rapporti con il mondo Islamico; g) promozione a tutto campo dei diritti umani, con particolare riferimento a diritti degli omosessuali; h) ristabilimento di un clima di completa fiducia - dopo le crepe verificatesi per l'intervento in Iraq - tra Americani e Europei; i) fine della presenza militare in Iraq e Afghanistan; l) contenimento della spesa militare.
Il "decalogo" Obamiano corrisponde *interamente* anche alle aspettative europee, ed è in astratto pienamente condivisibile, ma gli strumenti di cui l'Occidente vuole e può avvalersi bastano ad esempio a stabilizzare l'Ucraina? E a fermare i conflitti settari in Medio Oriente? E a ottenere che Cina, Giappone, Filippine, Vietnam risolvano le loro controversie attraverso l'arbitrato e non con la forza…?. Esiste fra Cina, Russia e Iran un interesse comune di portata strategica che non sia soltanto quello di erosioni opportunistiche e tattiche di singole posizioni dell'Occidente? La Russia teme un eccessivo potere regionale cinese; Russia e Iran hanno l'esigenza di prezzi alti dell'energia, la Cina esattamente il contrario; l'instabilità in Medio Oriente, utile all'Iran, è pericolosa per la Cina e della Russia; ma l'Iran ha ottenuto un insperabile rilancio del mondo sciita dall'invasione dell'Iraq, e se ne avvale a piene mani in Siria e in Libano, mettendo sotto pressione l'ampia maggioranza sunnita in tutto il Medio Oriente... Quindi: l'Occidente deve avere un approccio realista e pragmatico di breve periodo, oppure imperniato sulla sicurezza cooperativa e sull'affermazione planetaria dei diritti umani e delle libertà fondamentali…?
Io credo possa esistere un “bland” di questi fattori, un giusto mix di tutti questi elementi, che vanno a costituire “il perimetro” entro il quale deve muoversi l’Occidente … Se consideriamo tre dimensioni essenziali, quella economica, quella militare e quella scientifico-culturale, dovremmo esser portati a ritenere che il XXI sarà il Secolo della "leadership mondiale condivisa " tra l'Occidente/Area Atlantica e l'Asia, con queste precisazioni:
1) analizzati alla lente della geopolitica, gli equilibri - o squilibri - globali non potranno che essere di tipo "bipolare", con due "masse", quella Euroatlantica da un lato e quella Cinese dall'altro, contrapposte nella definizione dei rispettivi interessi economici, territoriali e di sicurezza;
2) si tratterà ovviamente di un bipolarismo imperfetto, dato che con queste due "masse" dominanti continueranno a interagire attori *per nulla secondari* come Russia, India, Brasile e l'Islam nelle sue diverse e complesse configurazioni;
3) se i dati del Prodotto Interno Lordo mostrano una tendenza occidentale in progressivo ridimensionamento, ve ne sono altri legati allo sviluppo umano, all'innovazione tecnologica e alla scienza che fanno prevedere una tenuta di competitività del "modello occidentale”;
4) sono convinto che le armi debbano restare l‘extrema ratio nella gestione di qualunque controversia, ma capacità militari e "soft power" continueranno a vedere l'Occidente in vantaggio anche nel lungo periodo, e questo non solo perché il bilancio per la Difesa dell’area Atlantica è superiore al totale degli altri principali Paesi, ma soprattutto perché la capacità di aggregazione dell’occidente è - per la natura stessa degli interessi di sicurezza che difende - infinitamente superiore a quella dei principali "competitors": gli USA ad esempio sono parte di un sistema di alleanze che li lega a una sessantina di Paesi, la Cina a uno solamente (la Corea del Nord); l'Iran alla Siria e all'Iraq; la Russia a otto paesi...;
5) le potenzialità dell'Occidente dal punto di vista valoriale si rivelano così straordinarie da travalicare ampiamente i confini americani ed europei. Pensiamo all'esigenza, avvertita dalla generalità dei Paesi membri ONU, di esser considerati "Stati di diritto", di essere visti come vere democrazie, di esser considerati rispettosi dei Diritti Umani e delle libertà fondamentali, anche per *poter così attrarre e garantire investimenti stranieri*… Questi principi sono radicati in una rete densissima di Trattati, rientrano tra le condizioni poste dall'Unione Europea agli accordi di collaborazione e partenariato con Paesi terzi, e sono tutti patrimonio dell'Occidente!
Allora, dinanzi alle "sei sfide" che ho ricordato nel precedente Post di qualche giorno fa, il rafforzamento della leadership dell'Occidente dovrà quindi basarsi su una ritrovata volontà ad agire per:
- combattere i cambiamenti climatici, perché sono state adottate misure che segnano il percorso, ma c'è moltissimo ancora da fare;
- adottare regole di controllo per i mercati finanziari e misure fiscali che assicurino una più equa ripartizione della crescita e dei redditi tra le diverse fasce di popolazione;
- contrastare con vigore la corruzione, la criminalità economica e quella organizzata;
- integrare pienamente l'economia Euroatlantica in un sistema di regole condivise.
- uscire dal sogno a occhi aperti che si possa continuare a pensare al "dividendo della pace" fine a se stesso, perché gli strumenti di Difesa devono essere rapportati all'entità delle crisi in atto e a quelle possibili, e l'intero apparato di Difesa europeo va seriamente adeguato, integrato e ammodernato.
- far diventare una realtà la *politica estera europea*. Le lezioni apprese con la tragedia siriana, con il suo ampliarsi all'intero teatro iracheno, e le distruzioni, le catastrofi umanitarie e migratorie che ne sono derivate, tutti fattori ad alto impatto sui nostri Paesi, dimostrano come l'Occidente debba assumersi ben maggiori responsabilità, con tempestività di iniziativa, con impiego di risorse, con volontà politica assai diversa da quanto non sia avvenuto negli ultimi tre anni.
Moltissimo della risoluzione di queste complesse problematiche è affidato alla Diplomazia, e al suo *coraggio di esprimere e sostenere la cultura politica dell'Occidente* e i valori di libertà e di tolleranza che le sono propri. Non sempre la nostra Sovranità è stata tutelata com’era nostro precipuo dovere fare, e non sempre la diplomazia italiana ed europea si è mostrata attiva e coraggiosa nella tutela dei diritti umani, nel difendere le minoranze religiose, nell'influire con decisione nei processi di transizione verso la democrazia e lo Stato di Diritto di paesi in via di sviluppo. Ci sono cambiamenti importanti di mentalità, di metodi, di strumenti operativi e di formazione – basti pensare all’utilizzo dei social media – che sono necessari per i diplomatici di questa e della prossima generazione. La competizione indiscriminata e le sfide planetarie nelle quali siamo immersi non ci permettono di attendere nell'angolo, di evitare il confronto intellettuale, o di lasciare i problemi nel cassetto nella speranza che diventino...meno urgenti! RIFLESSIONE PER IL WEEKEND: QUALI ALTRE IDEE AVETE VOI SUL FUTURO DEL *NOSTRO* OCCIDENTE…?
 
L'ambito del confronto sembrava evolvere dalla “contrapposizione ideologica” est/ovest verso l'universale accettazione della democrazia, e dalla minaccia dell'uso della forza verso l'applicazione del *diritto internazionale*. Ora dobbiamo invece fare i conti con un "hard power" accresciutosi esponenzialmente da parte di "Potenze revisioniste" che non si sono mai completamente adattate agli equilibri usciti dal post Guerra Fredda e che ora cercano di cogliere tutte le occasioni per modificarli anche con la forza. 


Il mondo è ripiombato brutalmente nella paura già con l'11 settembre: la guerra al terrorismo e all'"Axis of Evils" della Presidenza Bush si è declinata nelle operazioni in Afghanistan e in Iraq, intervenendo – a torto o a ragione - senza timidezze nell'utilizzo della forza. Obama ha poi tentato una netta sterzata, con un rilancio poggiato su un'agenda assai ambiziosa: 
a) blocco dell'armamento nucleare iraniano; 
b) soluzione del conflitto Israelo Palestinese; 
c) lotta ai cambiamenti climatici; 
d) accordi di Partenariato strategico con i Paesi più vicini all'America nel Pacifico e con l'Unione Europea; 
e) "reset" del rapporto con Mosca, concordando ulteriori riduzioni degli arsenali strategici; 
f) radicale cambio di marcia nei rapporti con il mondo Islamico; 
g) promozione a tutto campo dei diritti umani, con particolare riferimento a diritti degli omosessuali; 
h) ristabilimento di un clima di completa fiducia - dopo le crepe verificatesi per l'intervento in Iraq - tra Americani e Europei; 
i) fine della presenza militare in Iraq e Afghanistan; 
l) contenimento della spesa militare.
 
Il "decalogo" Obamiano corrisponde interamente anche alle aspettative europee, ed è in astratto pienamente condivisibile, ma gli strumenti di cui l'Occidente vuole e può avvalersi bastano ad esempio a stabilizzare l'Ucraina? E a fermare i conflitti settari in Medio Oriente? E a ottenere che Cina, Giappone, Filippine, Vietnam risolvano le loro controversie attraverso l'arbitrato e non con la forza…?. Esiste fra Cina, Russia e Iran un interesse comune di portata strategica che non sia soltanto quello di erosioni opportunistiche e tattiche di singole posizioni dell'Occidente? La Russia teme un eccessivo potere regionale cinese; Russia e Iran hanno l'esigenza di prezzi alti dell'energia, la Cina esattamente il contrario; l'instabilità in Medio Oriente, utile all'Iran, è pericolosa per la Cina e della Russia; ma l'Iran ha ottenuto un insperabile rilancio del mondo sciita dall'invasione dell'Iraq, e se ne avvale a piene mani in Siria e in Libano, mettendo sotto pressione l'ampia maggioranza sunnita in tutto il Medio Oriente... 

Quindi: l'Occidente deve avere un approccio realista e pragmatico di breve periodo, oppure imperniato sulla sicurezza cooperativa e sull'affermazione planetaria dei diritti umani e delle libertà fondamentali…?
Io credo possa esistere un “bland” di questi fattori, un giusto mix di tutti questi elementi, che vanno a costituire “il perimetro” entro il quale deve muoversi l’Occidente … Se consideriamo tre dimensioni essenziali, quella economica, quella militare e quella scientifico-culturale, dovremmo esser portati a ritenere che il XXI sarà il Secolo della "leadership mondiale condivisa " tra l'Occidente/Area Atlantica e l'Asia, con queste precisazioni:
1) analizzati alla lente della geopolitica, gli equilibri - o squilibri - globali non potranno che essere di tipo "bipolare", con due "masse", quella Euroatlantica da un lato e quella Cinese dall'altro, contrapposte nella definizione dei rispettivi interessi economici, territoriali e di sicurezza;
2) si tratterà ovviamente di un bipolarismo imperfetto, dato che con queste due "masse" dominanti continueranno a interagire attori *per nulla secondari* come Russia, India, Brasile e l'Islam nelle sue diverse e complesse configurazioni;
3) se i dati del Prodotto Interno Lordo mostrano una tendenza occidentale in progressivo ridimensionamento, ve ne sono altri legati allo sviluppo umano, all'innovazione tecnologica e alla scienza che fanno prevedere una tenuta di competitività del "modello occidentale”;
4) sono convinto che le armi debbano restare l‘extrema ratio nella gestione di qualunque controversia, ma capacità militari e "soft power" continueranno a vedere l'Occidente in vantaggio anche nel lungo periodo, e questo non solo perché il bilancio per la Difesa dell’area Atlantica è superiore al totale degli altri principali Paesi, ma soprattutto perché la capacità di aggregazione dell’occidente è - per la natura stessa degli interessi di sicurezza che difende - infinitamente superiore a quella dei principali "competitors": gli USA ad esempio sono parte di un sistema di alleanze che li lega a una sessantina di Paesi, la Cina a uno solamente (la Corea del Nord); l'Iran alla Siria e all'Iraq; la Russia a otto paesi...;
5) le potenzialità dell'Occidente dal punto di vista valoriale si rivelano così straordinarie da travalicare ampiamente i confini americani ed europei. Pensiamo all'esigenza, avvertita dalla generalità dei Paesi membri ONU, di esser considerati "Stati di diritto", di essere visti come vere democrazie, di esser considerati rispettosi dei Diritti Umani e delle libertà fondamentali, anche per *poter così attrarre e garantire investimenti stranieri*… Questi principi sono radicati in una rete densissima di Trattati, rientrano tra le condizioni poste dall'Unione Europea agli accordi di collaborazione e partenariato con Paesi terzi, e sono tutti patrimonio dell'Occidente!
 
Allora, dinanzi alle "sei sfide" che ho ricordato nel precedente Post di qualche giorno fa, il rafforzamento della leadership dell'Occidente dovrà quindi basarsi su una ritrovata volontà ad agire per:
- combattere i cambiamenti climatici, perché sono state adottate misure che segnano il percorso, ma c'è moltissimo ancora da fare;
- adottare regole di controllo per i mercati finanziari e misure fiscali che assicurino una più equa ripartizione della crescita e dei redditi tra le diverse fasce di popolazione;
- contrastare con vigore la corruzione, la criminalità economica e quella organizzata;
- integrare pienamente l'economia Euroatlantica in un sistema di regole condivise.
- uscire dal sogno a occhi aperti che si possa continuare a pensare al "dividendo della pace" fine a se stesso, perché gli strumenti di Difesa devono essere rapportati all'entità delle crisi in atto e a quelle possibili, e l'intero apparato di Difesa europeo va seriamente adeguato, integrato e ammodernato.
- far diventare una realtà la *politica estera europea*. Le lezioni apprese con la tragedia siriana, con il suo ampliarsi all'intero teatro iracheno, e le distruzioni, le catastrofi umanitarie e migratorie che ne sono derivate, tutti fattori ad alto impatto sui nostri Paesi, dimostrano come l'Occidente debba assumersi ben maggiori responsabilità, con tempestività di iniziativa, con impiego di risorse, con volontà politica assai diversa da quanto non sia avvenuto negli ultimi tre anni.

Moltissimo della risoluzione di queste complesse problematiche è affidato alla Diplomazia, e al suo coraggio di esprimere e sostenere la cultura politica dell'Occidente e i valori di libertà e di tolleranza che le sono propri. Non sempre la nostra Sovranità è stata tutelata com’era nostro precipuo dovere fare, e non sempre la diplomazia italiana ed europea si è mostrata attiva e coraggiosa nella tutela dei diritti umani, nel difendere le minoranze religiose, nell'influire con decisione nei processi di transizione verso la democrazia e lo Stato di Diritto di paesi in via di sviluppo. Ci sono cambiamenti importanti di mentalità, di metodi, di strumenti operativi e di formazione – basti pensare all’utilizzo dei social media – che sono necessari per i diplomatici di questa e della prossima generazione. La competizione indiscriminata e le sfide planetarie nelle quali siamo immersi non ci permettono di attendere nell'angolo, di evitare il confronto intellettuale, o di lasciare i problemi nel cassetto nella speranza che diventino...meno urgenti!

Fonte: https://www.facebook.com/ambasciatoregiulioterzi?hc_location=timeline

I “GUFI” DELLA GEOPOLITICA. L’OCCIDENTE E’ MORTO…? Cap. I


 Foto: I “GUFI” DELLA GEOPOLITICA. L’OCCIDENTE E’ MORTO…? (POST 1) Nel lontano 1990, alcuni osservatori avevano previsto che la fine del Patto di Varsavia avrebbe *automaticamente comportato anche la fine dell'Alleanza Atlantica*. La stessa tipologia di analisti sta ora alimentando un dibattito sull' "inarrestabile declino dell' Occidente”. Si evocano nell’ordine: le incertezze americane e europee in Siria, lo stallo dell'iniziativa Usa in Medio Oriente, le incognite sul negoziato nucleare iraniano, l'annessione russa della Crimea con il protagonismo Russo, le rivendicazioni territoriali di Pechino nel Mar della Cina, etc etc L’Occidente è *in una situazione di stallo* che lo rende incapace di influire sulla realtà mondiale nel medio e lungo periodo? Quali sfide dovremo impegnarci a vincere per tornare a essere “centrali” sullo scenario globale? Questi i temi da affrontare senza altro ritardo:
1) una *rivoluzione demografica* senza precedenti nella storia dell'umanità ha portato la popolazione del pianeta in un solo secolo da 1,3 a 9 miliardi di esseri umani, e la crescita è polarizzata nelle regioni maggiormente esposte a tensioni per scarsità di risorse;
2) una *deriva climatica ormai irreversibile*, come indicano tutti gli ultimi rapporti ONU. Il riscaldamento atmosferico è all' origine di sempre più frequenti disastri naturali, di enormi carenze idriche e di migrazioni massicce, tutti eventi che hanno poi un impatto fortissimo anche sulle nazioni occidentali, e - a meno di inserire correttivi immediati - il degrado ambientale, l'inquinamento delle aree urbane dove vive più della metà della popolazione mondiale, la desertificazione e la scomparsa di foreste toccheranno nel secolo in corso livelli incompatibili con la sopravvivenza dell'intero ecosistema;
3) una *crescita economica apparentemente infinita ma in realtà illusoria*, insostenibile per l’Umanità. La crescita dell'economia mondiale, accelerata anche dal ruolo spregiudicato dei Paesi emergenti, tende ad aggravare rapidamente la scarsità delle risorse alimentari, idriche, energetiche e il degrado ambientale. Basti un esempio: agli attuali ritmi di crescita del Paese, il PIL pro-capite cinese potrebbe raggiungere la parità con l'odierno PIL pro-capite americano - oggi superiore di ben 9 volte a quello cinese - in soli 40 anni, ed entro il 2025 la Cina potrebbe superare in PIL la somma di tutti i Paesi del G7. Se già il PIL cinese attuale fa di quel Paese il principale "emettitore" di CO2 e di particelle inquinanti nell'atmosfera, appare chiara la drammaticità del bisogno di sterzare verso diversi modelli di crescita, di consumi e di assetti socioeconomici. Con ogni cautela verso previsioni a così lungo termine che prescindono da rivolgimenti politici, recessioni e cicli economici, il raddoppio dell'economia cinese ogni sette/otto anni e la prospettiva di un suo PIL decuplicato in quarant'anni pone inquietanti interrogativi quanto alla "tenuta" di modelli economici mirati esclusivamente alla crescita senza un occhio alla sostenibilità ambientale e sociale;
4) le *diversità nello sviluppo umano* tra "the West... and the Rest". Resteranno in ogni caso fondamentali differenze anche nel lungo termine tra "Cindia" e area OCSE per quanto riguarda gli standard di vita. Non è certo irrilevante il fatto che Cina e India siano ancora oggi al 101 e 134 posto nell'indice sullo sviluppo umano stilato da UNDP, mentre i Paesi Occidentali occupano le prime 25 posizioni, e la Russia la 66ma. Un dato che sembra contare più di molti altri nel dimostrare la "vitalità" dell' Occidente e del suo sistema di valori basati sulla democrazia, la libertà individuale e lo Stato di diritto;
5) la *crescita nell'era della globalizzazione che allarga sempre più il divario* - come titola un saggio di De Rita e Galdo - tra "Il popolo e gli Dei", ovvero tra il 99% e l'1% della popolazione, come accusano movimenti tipo Occupy Wall Street. E' questo l'altro versante della "rivoluzione" che sta attraversando l'economia mondiale: l'inarrestabile concentrazione della ricchezza e delle attività finanziarie è accompagnata dal regresso della "middle class" e da segnali di forte impoverimento per le fasce basse di reddito. La concentrazione della ricchezza a ritmi così elevati anche nei periodi di recessione costituisce un trend particolarmente dannoso: comprime l'investimento produttivo a vantaggio di quello speculativo, destabilizza la rappresentatività democratica, in quanto le lobby finanziarie sono infinitamente più forti delle altre categorie organizzate che rappresentano interessi settoriali, crea forte insoddisfazione e tensione sociale. ATTENZIONE: *il punto di rottura degli equilibri istituzionali e politici giunge quasi sempre inatteso*: come ha osservato Niall Ferguson, i sistemi ad elevata complessità delle "potenze imperiali" del passato sono passati dall'erosione al collasso non attraverso cicli graduali ma improvvisamente. Merita perciò riflettere sull'importante lavoro dell'economista francese Thomas Piketty, "Il capitale nel ventunesimo secolo": ne è scaturito un dibattito che dà la temperatura di un forte malessere, causato dall'inarrestabile concentrazione della ricchezza su scala mondiale;
6) la società dell'informazione e della conoscenza costituisce il motore più potente dello sviluppo globale. Un'enorme forza per il mondo Occidentale, dove ancora negli ultimi anni le spese per la scienza e la ricerca sarebbero state più della metà del totale mondiale, e che si sta diffondendo nelle economie emergenti con progressi rapidissimi. In India ogni anno si laureano due milioni e mezzo di studenti, ma le università americane e europee continuano ad attrarre centinaia di migliaia di cinesi e di indiani. La leadership occidentale nella società della conoscenza e dell'informazione non è assicurata tanto dal possesso e dal continuo avanzamento di tecnologie, di reti, di scoperte scientifiche, ma dal clima di libertà nella ricerca, di rispetto della dignità della scienza e dell'espressione del pensiero umano. Sin dal Rinascimento l'universo della scienza collega valori dell'uomo e progresso in uno stretto rapporto. Nel frattempo però le tecnologie dell'informazione tendono anche a esasperare le conflittualità: utilizzo dei "metadati", cybersecurity, intrusioni esponenzialmente accresciute nella Sovranità altrui per destabilizzare politicamente (Ucraina),economicamente (Estonia), militarmente (Siria) paesi ritenuti ostili, o per carpire progetti industriali o danneggiare la concorrenza, sono ormai all'ordine del giorno. Il CSIS di Washington ha calcolato che i danni complessivi prodotti da attacchi cibernetici si situino tra i 375 e i 575 miliardi di dollari annui, dei quali circa 9 miliardi solo in Italia…
IN DEFINITIVA: viviamo in una realtà "liquida", fortemente condizionata dalle sei sfide globali che ho sopra richiamato. Domanda: c'è un'Agenda comune dei Paesi "revisionisti", le nuove potenze mondiali? Russia, Cina e Iran coltivano una grande visione per un nuovo “ordine mondiale alternativo” a quello costruito attorno ai valori Occidentali…? O più semplicemente sono mossi dall'interesse ad affermare la propria Sovranità e il dominio sulle rispettive regioni, per massimizzarne i benefici commerciali, economici e tecnologici? Se così è, l'Occidente *deve* accentuare l'"engagement", rafforzare il sistema internazionale di rapporti basati sui valori liberali e democratici, e attuare una strategia coerente nelle alleanze, nelle istituzioni multilaterali, nella diplomazia… QUALE MODELLO PERMETTERA’ ALL’OCCIDENTE DI SOPRAVVIVERE E RIACQUISTARE CENTRALITA’ SULLO SCENARIO GLOBALE…? Ditemi la Vostra…e vi prometto che poi io vi dirò la mia con un secondo post tra qualche giorno, che sto preparando ma che voglio tenga conto anche dei vostri commenti… ;)

Nel lontano 1990, alcuni osservatori avevano previsto che la fine del Patto di Varsavia avrebbe automaticamente comportato anche la fine dell'Alleanza Atlantica. La stessa tipologia di analisti sta ora alimentando un dibattito sull' "inarrestabile declino dell' Occidente”. 

Si evocano nell’ordine: le incertezze americane e europee in Siria, lo stallo dell'iniziativa Usa in Medio Oriente, le incognite sul negoziato nucleare iraniano, l'annessione russa della Crimea con il protagonismo Russo, le rivendicazioni territoriali di Pechino nel Mar della Cina, etc etc L’Occidente è in una situazione di stallo che lo rende incapace di influire sulla realtà mondiale nel medio e lungo periodo? Quali sfide dovremo impegnarci a vincere per tornare a essere “centrali” sullo scenario globale? Questi i temi da affrontare senza altro ritardo:

1) una rivoluzione demografica senza precedenti nella storia dell'umanità ha portato la popolazione del pianeta in un solo secolo da 1,3 a 9 miliardi di esseri umani, e la crescita è polarizzata nelle regioni maggiormente esposte a tensioni per scarsità di risorse;

2) una deriva climatica ormai irreversibile, come indicano tutti gli ultimi rapporti ONU. Il riscaldamento atmosferico è all' origine di sempre più frequenti disastri naturali, di enormi carenze idriche e di migrazioni massicce, tutti eventi che hanno poi un impatto fortissimo anche sulle nazioni occidentali, e - a meno di inserire correttivi immediati - il degrado ambientale, l'inquinamento delle aree urbane dove vive più della metà della popolazione mondiale, la desertificazione e la scomparsa di foreste toccheranno nel secolo in corso livelli incompatibili con la sopravvivenza dell'intero ecosistema;

3) una crescita economica apparentemente infinita ma in realtà illusoria, insostenibile per l’Umanità. La crescita dell'economia mondiale, accelerata anche dal ruolo spregiudicato dei Paesi emergenti, tende ad aggravare rapidamente la scarsità delle risorse alimentari, idriche, energetiche e il degrado ambientale. Basti un esempio: agli attuali ritmi di crescita del Paese, il PIL pro-capite cinese potrebbe raggiungere la parità con l'odierno PIL pro-capite americano - oggi superiore di ben 9 volte a quello cinese - in soli 40 anni, ed entro il 2025 la Cina potrebbe superare in PIL la somma di tutti i Paesi del G7. Se già il PIL cinese attuale fa di quel Paese il principale "emettitore" di CO2 e di particelle inquinanti nell'atmosfera, appare chiara la drammaticità del bisogno di sterzare verso diversi modelli di crescita, di consumi e di assetti socioeconomici. Con ogni cautela verso previsioni a così lungo termine che prescindono da rivolgimenti politici, recessioni e cicli economici, il raddoppio dell'economia cinese ogni sette/otto anni e la prospettiva di un suo PIL decuplicato in quarant'anni pone inquietanti interrogativi quanto alla "tenuta" di modelli economici mirati esclusivamente alla crescita senza un occhio alla sostenibilità ambientale e sociale;
 
4) le diversità nello sviluppo umano tra "the West... and the Rest". Resteranno in ogni caso fondamentali differenze anche nel lungo termine tra "Cindia" e area OCSE per quanto riguarda gli standard di vita. Non è certo irrilevante il fatto che Cina e India siano ancora oggi al 101 e 134 posto nell'indice sullo sviluppo umano stilato da UNDP, mentre i Paesi Occidentali occupano le prime 25 posizioni, e la Russia la 66ma. Un dato che sembra contare più di molti altri nel dimostrare la "vitalità" dell' Occidente e del suo sistema di valori basati sulla democrazia, la libertà individuale e lo Stato di diritto;
 
5) la crescita nell'era della globalizzazione che allarga sempre più il divario - come titola un saggio di De Rita e Galdo - tra "Il popolo e gli Dei", ovvero tra il 99% e l'1% della popolazione, come accusano movimenti tipo Occupy Wall Street. E' questo l'altro versante della "rivoluzione" che sta attraversando l'economia mondiale: l'inarrestabile concentrazione della ricchezza e delle attività finanziarie è accompagnata dal regresso della "middle class" e da segnali di forte impoverimento per le fasce basse di reddito. La concentrazione della ricchezza a ritmi così elevati anche nei periodi di recessione costituisce un trend particolarmente dannoso: comprime l'investimento produttivo a vantaggio di quello speculativo, destabilizza la rappresentatività democratica, in quanto le lobby finanziarie sono infinitamente più forti delle altre categorie organizzate che rappresentano interessi settoriali, crea forte insoddisfazione e tensione sociale. ATTENZIONE: il punto di rottura degli equilibri istituzionali e politici giunge quasi sempre inatteso: come ha osservato Niall Ferguson, i sistemi ad elevata complessità delle "potenze imperiali" del passato sono passati dall'erosione al collasso non attraverso cicli graduali ma improvvisamente. Merita perciò riflettere sull'importante lavoro dell'economista francese Thomas Piketty, "Il capitale nel ventunesimo secolo": ne è scaturito un dibattito che dà la temperatura di un forte malessere, causato dall'inarrestabile concentrazione della ricchezza su scala mondiale;

6) la società dell'informazione e della conoscenza costituisce il motore più potente dello sviluppo globale. Un'enorme forza per il mondo Occidentale, dove ancora negli ultimi anni le spese per la scienza e la ricerca sarebbero state più della metà del totale mondiale, e che si sta diffondendo nelle economie emergenti con progressi rapidissimi. In India ogni anno si laureano due milioni e mezzo di studenti, ma le università americane e europee continuano ad attrarre centinaia di migliaia di cinesi e di indiani. La leadership occidentale nella società della conoscenza e dell'informazione non è assicurata tanto dal possesso e dal continuo avanzamento di tecnologie, di reti, di scoperte scientifiche, ma dal clima di libertà nella ricerca, di rispetto della dignità della scienza e dell'espressione del pensiero umano. Sin dal Rinascimento l'universo della scienza collega valori dell'uomo e progresso in uno stretto rapporto. Nel frattempo però le tecnologie dell'informazione tendono anche a esasperare le conflittualità: utilizzo dei "metadati", cybersecurity, intrusioni esponenzialmente accresciute nella Sovranità altrui per destabilizzare politicamente (Ucraina),economicamente (Estonia), militarmente (Siria) paesi ritenuti ostili, o per carpire progetti industriali o danneggiare la concorrenza, sono ormai all'ordine del giorno. Il CSIS di Washington ha calcolato che i danni complessivi prodotti da attacchi cibernetici si situino tra i 375 e i 575 miliardi di dollari annui, dei quali circa 9 miliardi solo in Italia…

IN DEFINITIVA: viviamo in una realtà "liquida", fortemente condizionata dalle sei sfide globali che ho sopra richiamato. Domanda: c'è un'Agenda comune dei Paesi "revisionisti", le nuove potenze mondiali? Russia, Cina e Iran coltivano una grande visione per un nuovo “ordine mondiale alternativo” a quello costruito attorno ai valori Occidentali…? O più semplicemente sono mossi dall'interesse ad affermare la propria Sovranità e il dominio sulle rispettive regioni, per massimizzarne i benefici commerciali, economici e tecnologici? Se così è, l'Occidente deve accentuare l'"engagement", rafforzare il sistema internazionale di rapporti basati sui valori liberali e democratici, e attuare una strategia coerente nelle alleanze, nelle istituzioni multilaterali, nella diplomazia… QUALE MODELLO PERMETTERA’ ALL’OCCIDENTE DI SOPRAVVIVERE E RIACQUISTARE CENTRALITA’ SULLO SCENARIO GLOBALE…?

Fonte:  https://www.facebook.com/ambasciatoregiulioterzi?hc_location=timeline

sabato 21 giugno 2014

Il manifesto-sfottò contro i marò? Il no comment della compagna di Latorre


india


Paola Moschetti parla della solidarietà che arriva da tutti gli italiani, non delle provocazioni contro i due militari detenuti in India 

"Tutti insieme, nessuno indietro": è lo slogan del San Marco ed è diventato anche il motto di chi non si rassegna a dimenticare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti ormai da quasi due anni e mezzo in India, con l'accusa di aver sparato a due pescatori al largo delle coste del Kerala, uccidendoli. Accuse non ancora tradotte in un'ipotesi di reato formale, in attesa che la burocrazia indiana decida anche chi debba processare (e dove) i due fucilieri di Marina.

Il ministro della Difesa italiano, Pinotti, nelle scorse ore ha ribadito che il governo italiano, nella sua nuova strategia per uscire dall'empasse, punta sull'immunità funzionale, ovvero non riconosce la giurisdizione indiana sul caso perché i due marò si trovavano a bordo del mercantile Enrica Lexie nell'ambito di un'operazione anti-pirateria sotto egida Onu e rappresentavano, in quanto militari in servizio, il nostro Paese. "Ma visto che la procedura dell'arbitrato è lunga, io spero sempre che i due nuovi governi che ora si sono insediati a Roma e a New Delhi trovino l'intesa" ha ribadito Roberta Pinotti.

Dal canto loro, i familiari dei due fucilieri continuano a mantenere un basso profilo, nonostante evidenti provocazioni, come quella del manifesto-"sfottò", comparso a Roma: si tratta di un poster della Marina Militare, che invita all'arruolamento, ma che è stato taroccato ad hoc . Su metà della gigantografia, dove si leggeva "Vieni in Marina", compariva una scritta che trasformava il messaggio originale in "Vieni in India a sparare ai pescatori". "Non credo valga la pena di commentare certi gesti" ha detto a Panorama.it Paola Moschetti Latorre, che invece ha mostrato tutto il suo entusiasmo per la riuscita della manifestazione di sabato 14 a Roma, a sostegno proprio dei fucilieri.

"E' stata una manifestazione molto bella e sentita oltre che emozionante per diversi aspetti" ha commentato ancora Moschetti Latorre, che ha sfilato per le vie della Capitale, insieme ad alpini, parà e molta gente comune. "In questi ventotto mesi di lontananza dalla Patria e dagli affetti più cari, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone hanno sempre affermato la propria innocenza con stile: la fermezza dei loro animi è stata possibile anche grazie agli incoraggiamenti che arrivano dal popolo tricolore, che ha fatto della campagna per i Leoni del San Marco una battaglia di libertà e giustizia".

La compagna di Latorre ringrazia uno ad uno coloro che hanno manifestato solidarietà ai marò e alle loro famiglie. Un messaggio che arriva mentre Salvatore Girone è impegnato oggi nella seconda prova della maturità , proprio da New Delhi, da dove si è preparato per ottenere il diploma. Collegato via Skype con l'Istituto tecnico-professionale Marconi di Bari, è stato descritto come "un alunno modello" che vuole dimostrare che "non gli è stato regalato niente", come ha dichiarato una professoressa. Lui, invece, continua a mentenere il consueto riserbo, come la sua famiglia, che preferisce aspettare l'esito dell'esame per poi eventualmente rilasciare dichiarazioni.

Chi invece ha parlato nei giorni scorsi è Alfredo Saitto, ex ammiraglio della Marina oggi in pensione, che ha presentato un esposto alla Procura generale militare di Roma contro l'ex ministro della Difesa. L'accusa è pesantissima: secondo l'alto ufficiale, Giampaolo Di Paola, sarebbe colpevole di " inettitudine grave al comando e di aver abbandonato due militari in servizio , da lui dipendenti, in territorio straniero chiaramente ostile". Oltre a puntare il dito sulla gestione del caso con il governo Monti, l'ex alto ufficiale sostiene di sapere che "quando gli indiani chiesero alla nave Enrica Lexie con i marò a bordo di rientrare in porto da Santa Rosa a Roma, all'inizio dissero no. Poi l'armatore, la Farnesina e alla fine lo stesso ministro Di Paola decisero diversamente". Da qui l'accusa di aver "tradito" i marò.

Fonte:  http://www.panorama.it/

 

mercoledì 18 giugno 2014

Marò, rispunta la NIA. Renzi e Mogherini, se ci siete battete un colpo, ma il disco sembra...... inceppato.

Alcune fonti vicine agli ambienti governativi indiani riferiscono che alla fine della scorsa settimana Rajnath Singh, Ministro degli Interni del nuovo governo di destra insediatosi dopo le recenti elezioni, ha chiesto di essere ragguagliato sullo stato dell’arte della vicenda dei fucilieri italiani detenuti da 27 mesi in India. A tal fine, si è svolta a New Delhi, presso il Ministero degli Interni, un’affollata riunione che aveva ufficialmente per oggetto la “Familiarizzazione del ministro degli interni con strutture, organismi, procedure ed organigrammi” del complesso sistema di sicurezza interna dell’India. Un tema molto delicato in un Paese vasto quanto un sub-continente, popolato da 1.300 milioni di persone, percorso da violente tensioni sociali e ribellioni spontanee, ed alle prese con problemi di drammatica quotidianetà, che vanno dalle pratiche terroristiche del fondamentalismo islamico, alle lotte tribali nelle aree rurali, dalla virulenza del fanatismo religioso alle irrisolte controversie territoriali con Pakistan, Cina e Sri Lanka, le frontiere con i quali Paesi sono spesso teatro di cruenti scontri a fuoco. Eppure non si è riusciti a parlare di questi pressanti ed inquietanti argomenti, ma la riunione si è svolta tutta attorno ad un solo tema: il caso dei Marò.

A questo meeting sulla sicurezza hanno preso parte, tra gli altri, il sottosegretario agli Interni Kiren Rijiju, l’aggiunto Anil Goswami, Sharad Kumar, direttore generale dell’agenzia antiterrorismo, la famigerata NIA che ancora oggi vorrebbe processare i Marò come terroristi passibili di pena di morte, e Asif K. Ibrahim, capo dei servizi segreti indiani. E’ evidente che a parlare di Latorre e Girone sia stato soprattutto Kumar che è il capo degli investigatori della NIA cui era stato affidato il caso, per cui quanto riferito è per forza di cose una versione di parte in termini autogiustificativi, piuttosto che una obbiettiva ricostruzione dei fatti. Infatti, più che illustrare le vicende in cui sono implicati loro malgrado i nostri fucilieri, la NIA si è imbarcata nel difficile compito di spiegare ai suoi interlocutori, specie ai rappresentanti degli Interni, come mai in 27 mesi non si sia arrivati a capo del tormentato caso che ha incrinato i rapporti tra l’India e l’Italia, la Ue, che ha sospeso la ratifica del trattato di coperazione economica, gli USA, inorriditi dal vedere perseguire anzichè i terroristi, quelli che come i Marò li combattono nell’interesse di tutti, e l’ONU, che ha ufficialmente denunciato la palese violazione anche dei più elementari diritti umani dei Marò da parte degli indiani.
La scusa addotta dalla NIA per questo che è ormai persino eufemistico definire “ritardo nell’iter investigativo-giudiziario” è quella che è “tutta colpa dell’Italia” che s’è sempre rifiutata di far interrogare gli altri 4 Marò a bordo della Lexie spedendoli in India, tanto che alla fine si sono dovuti “scomodare” a venire in Italia (poverini, che scocciatura!) ad interrogare i quattro commilitoni di Latorre e Girone. I quali, peraltro, erano stati già ripetutamente interrogati dagli inquirenti indiani nel corso dei due mesi in cui l’Enrica Lexie ed il suo intero equipaggio, tranne Latorre e Girone che languivano in galera, sono stati tenuti sotto sequestro nel porto di Kochi nel 2012. Ma lasciamo perdere ed andiamo avanti.
Kumar ha anche lamentato che l’Italia si è sempre rifiutata di raccoglire l’offerta indiana di “collaborazione” all’inchiesta che avrebbero rivolto alle autorità italiane. Precisato che questa è una invenzione bella e buona, perchè sono stati gli indiani ad arrogarsi il diritto a condurre le indagini autonomamente ed in esclusiva, Kumar ha omesso di specificare che comunque sarebbe stato difficile per chiunque, anche per gli italiani, accettare supinamente di collaborare quando nel corso delle perizie balistiche agli esperti dei nostri Carabinieri e del RIS è stato imposto di “osservare a basta”, facendo loro assoluto divieto di formulare domande, di avanzare richieste di chiarimenti, di obbiettare per le procedure adottate, non in linea od in palese dispregio degli standard internazionali approvati e riconosciuti legalmente validi. Oppure avallare le conclusioni dei periti balistici indiani circa la presunta sparatoria dalla Enrica Lexie senza aver potuto effettuare una sola ricognizione del peschereccio St Antony, rottamato e fatto marcire in mare in un remoto angolo del Kerala, poi miracolosamente fatto ritrovare un anno dopo quando era divenuto inutilizzabile ai fini di indagini e perizie. Su che cosa e come si può collaborare se magistrati ed inquirenti indiani si rifiutano di prendere sistematicamente in considerazione fatti, testimonianze e documenti che scoffessano clamorosamente le ricostruzioni dei fatti ed il traballante teorema accusatorio messo in piedi con le accertate complicità della politica e della magistratura indiana per incastrare i Marò?
Fonti vicine al nuovo premier confermano che Narendra Modi vorrebbe tanto chiudere il caso, perchè lui è un politico pragmatico e non ha alcun interesse in questo momento a tenere aperto un contenzioso che fa accumulare pesanti nubi sulla sua politica estera, tramite la quale vorrebbe rilanciare le ambizioni dell’India in chiave di Grande Potenza. Modi è anche un grande accentratore ed è chiaro a tutti che qualsiasi decisione riguardo ai Marò la prenderà in prima persona, sentito al massimo il parere dell’uomo forte del nuovo governo, il Ministro dell’Economia Arun Jaitley. Siamo nelle condizioni, quindi, nelle quali un approccio diretto del governo italiano sarebbe altamente auspicabile e potrebbe trovare con ogni probabilità l’interessato ascolto del nuovo establishment di New Delhi. Questo significa che tocca a Renzi ad al ministro Mogherini rompere gli indugi, aprire un dialogo a vasto raggio con il governo indiano e creare un clima se non amichevole, almeno improntato a reciproco rispetto ed alla tutela degli interessi comuni. L’Italia ha moltissimo da offrire agli indiani, dai rapporti amichevoli con l’Occidente e l’Europa in particolare, all’apertura degli scambi commerciali, al rafforzamento della lotta al terrorismo. Ora che la Russia si è notevolmente avvicinata alla Cina con una mega-fornitura di gas trentennale, l’India ha la necessità di avere in Occidente dei partners solidi ed affidabili per non venire stritolata nella morsa asiatica rappresentata da Russia, Cina e Giappone.
In altri termini, questo appare il momento più opportuno per avviare una trattative diretta che permetta di evitare quella che al momento appare l’unica alternativa percorribile per ottenere il rilascio dei Marò, cioè l’arbitrato internazionale. Se questo fosse stato avviato due anni, come si sarebbe dovuto, a quest’ora si sarebbe già concluso. Ma adesso, protrarre per altri due anni o più la prigionia non sembra il massimo delle prospettive che si possano offrire a Latorre e Girone. Tra le altre cose, è di dominio pubblico che Narendra Modi le stia tentando tutte per recuperare sul piano dell’immagine personale, dopo che per anni gli Usa ed altri paesi occientali l’hanno incluso nella lista degli esponenti politici “indesiderabili” al punto da negargli il visto di ingresso dopo che l’avevano apertamente accusato di aver fomentato i disordini religiosi con 1200 morti nel Gujarat, lo stato che lui ha governato per 13 anni. Per tutta una serie di ragioni concomitanti, vale quindi la pena tentare di avviare un negoziato diretto e globale con l’India, cosa che, se ne può essere certi, Modi non aspetta altro che si faccia.
Ergo, Renzi e Mogherini: se ci siete battete subito un colpo. Anche perchè al di là di ogni altra considerazione, non ci sembra per niente conveniente ed opportuno che sia la NIA con falsità pretestuose e di parte, e non il governo italiano, ed in via ufficiale, a rappresentare al nuovo governo di New Delhi la reale ed inaccettabile situazione di cui sono vittime i nostri fucilieri del San Marco per colpa di personalità ignobili e meschine dell’India che hanno strumentalizzato il caso nel proprio personale interesse.

Rispondono insieme le donne del Premier: Mogherini e Pinotti
 ''Non e' retorica dire che siamo tutti con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Questa come le tante altre manifestazioni promosse anche dai compagni d'arma, ci dice una volta di piu' che i nostri due fucilieri di marina sono nel cuore degli italiani''
 ''Vorremmo ribadire a loro, alle famiglie e a chi ci legge che l'azione dei nostri ministeri e del governo e' quotidiana e instancabile. Puo' apparire silenziosa ma solo perche' l'obiettivo di riconsegnare i nostri due militari alle loro famiglie richiede la massima discrezione. Di certo, stiamo facendo tutto cio' che serve per garantire il pieno successo del caso. Il nostro governo rifiuta la giurisdizione indiana: Massimiliano e Salvatore erano impegnati in una missione internazionale, coperti dall'immunita' funzionale. E questo certifica che la vicenda deve essere ricondotta in un alveo internazionale''

 ''Dunque e' su questo solco che l'Italia intende mantenersi, consapevole della forza delle sue ragioni in base al diritto internazionale - concludono i due ministri - . E da Roma, oggi, ne siamo certe, arriveranno a Massimiliano e Salvatore il sostegno compatto e la vicinanza di tutto il Paese'' (14/06/2014)

Fonti: http://www.qelsi.it/
          http://www.asca.it/