domenica 27 settembre 2015

Perché la giurisdizione indiana sui Marò fa acqua da tutte le parti.

Avevo intenzione di dedicare il mio nuovo post alla questione migratoria, ma l’ultimo articolo pubblicato sulla vicenda dei Marò ha trovato alcune contestazioni, cui ho deciso di rispondere sempre in punto di diritto. In particolare, mi si rimproverava il fatto che la Convenzione di Montego Bay disciplini solo i fatti avvenuti in alto mare, così ho deciso – tralasciando per il momento tutte le altre norme di Diritto del Mare interessate dalla vicenda dei Marò - di dimostrare che, in qualunque porzione di acqua l’incidente sia avvenuto, la giurisdizione non appartiene all’India bensì all’Italia.

Cominciamo.
Il diritto internazionale unanimemente condiviso ripartisce le acque in mare territoriale, zona contigua, zona economica esclusiva, piattaforma continentale e alto mare. La Convenzione di Montego Bay del 1982, che sostituisce (per gli Stati che l’hanno firmata e ratificata, ben 167) le precedenti Convenzioni di Ginevra del 1958 sul tema, disciplina tutte queste porzioni di mare, stabilendone l’ampiezza, i metodi di misurazione, i diritti e poteri dello Stato costiero nonché quelli delle navi battenti bandiera di Stati terzi.

Il mare territoriale è parte integrante del territorio di uno Stato e su di esso lo Stato costiero esercita tutti i poteri che esercita sulla terraferma. Secondo la Convenzione di Montego Bay (art. 12), può raggiungere l’estensione massima di 12 miglia marine; il che significa che uno Stato può stabilire il proprio mare territoriale anche al di sotto di tale estensione, ma non può superarla.

La zona contigua (art. 33) può raggiungere al massimo 24 miglia marine. Quindi, se uno Stato decide di costituirla, dalla linea di costa fino alle 12 miglia marine è mare territoriale, dalle 12 miglia in poi (fino a massimo 24 miglia) è zona contigua. I poteri che lo Stato costiero esercita su di essa riguardano solo le violazioni delle proprie leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari e di immigrazione, avvenute entro il suo territorio o mare territoriale, e le violazioni di leggi e regolamenti riguardanti il passaggio inoffensivo di navi di Stati terzi all’interno del proprio mare territoriale.

La zona economica esclusiva raggiunge un’estensione massima di 200 miglia marine (art. 57) e su questa porzione di mare lo Stato costiero ha giurisdizione (art. 56) solo su questioni inerenti “l'esplorazione, lo sfruttamento, la conservazione e la gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo” nonché su “i) installazione e utilizzazione di isole artificiali, impianti e strutture; ii) ricerca scientifica marina; iii) protezione e preservazione dell'ambiente marino”. Gli altri Stati hanno piena libertà di navigazione e sorvolo, posizionamento di cavi sottomarini e attività similari. In più, gli Stati cosiddetti land-locked (che quindi geograficamente non hanno l’accesso al mare) possono venire in questa zona a pescare e comunque ad attingere alle risorse ittiche e biologiche disponibili in eccedenza.

La piattaforma continentale (art. 76) comprende il fondo e il sottosuolo delle aree sottomarine che si estendono al di là del mare territoriale (quindi dalle 12 miglia marine in poi) attraverso il prolungamento naturale del territorio terrestre di uno Stato fino all'orlo esterno del margine continentale o, fino a una distanza di 200 miglia marine, se il margine continentale si ferma prima. Lo Stato costiero esercita diritti sovrani solo allo scopo di esplorarla e sfruttarne le risorse naturali.

La definizione di alto mare la ricaviamo a contrario, cioè la Convenzione non ci dice cos’è bensì cosa non è. L’articolo 86 infatti recita che le disposizioni sull'alto mare si applicano “a tutte le aree marine non incluse nella zona economica esclusiva, nel mare territoriale o nelle acque interne di uno Stato, o nelle acque arcipelagiche di uno Stato-arcipelago”. Quindi, mettendo da parte le acque interne (ad es. fiumi e laghi) e gli Stati formati da arcipelaghi (un esempio a caso, l’Indonesia), l’alto mare è tutta quella parte di mare che non rientra nel mare territoriale e nella zona economica esclusiva. Qui vige il principio di libertà e nessuno Stato ha più diritti di altri.
Si può notare che i poteri dello Stato costiero decrescono sempre più mano a mano che ci allontaniamo dal mare territoriale e andiamo verso l’alto mare.

A questo punto, la domanda è: dove si trovava l’Enrica Lexie al momento dell’incidente?

Questo è l’unico aspetto della vicenda su cui India e Italia concordano: l’incidente dell’Enrica Lexie è avvenuto approssimativamente a 20,5 miglia marine dalla costa (lo ribadisce anche l’ordinanza del Tribunale del Mare del 24 agosto: paragrafo 36 quanto alla versione italiana, paragrafo 43 per quella indiana). Ora, sulla base delle misurazioni che abbiamo visto poco fa, siamo nettamente fuori dal mare territoriale (massimo 12 miglia marine) e quasi al limite della zona contigua (massimo 24 miglia).

Sia India che Italia, tuttavia, parlano concordemente di zona economica esclusiva. E a noi sta benissimo, dal momento che in tale zona lo Stato costiero (India nel nostro caso) ha giurisdizione SOLO per questioni inerenti le risorse naturali, biologiche o meno, più installazioni artificiali e ricerca scientifica e simili. Ora, fino a prova contraria, i Marò sono esseri umani, e non pesci o coralli. Come fa l’India a pretendere di aver giurisdizione?
Non trascuriamo, per spirito di completezza, che l’India al momento della ratifica della Convenzione ha fatto una bella dichiarazione interpretativa, affermando che nella sua lettura la Convenzione “non autorizza altri Stati a condurre nella zona economica esclusiva o sulla piattaforma continentale esercizi o manovre militari senza prima avvisare lo Stato costiero”. L’India potrebbe decidere di far valere questa dichiarazione, considerando in una meravigliosa fictio giuridica l’incidente dell’Enrica Lexie come qualcosa di militare vista la presenza dei Marò. Se non fosse che, sia l’Italia che altri Stati, al momento della ratifica, hanno prontamente fatto delle loro dichiarazioni interpretative (più fedeli alle disposizioni contenute nella Convenzione) nelle quali hanno chiaramente detto che lo Stato costiero non gode di diritti ulteriori rispetto a quelli già previsti dalla Convenzione per la zona economica esclusiva, e in particolare non gode del diritto di rilasciare o meno l’autorizzazione, previa notifica, per manovre ed esercizi militari. Attraverso questa “controdichiarazione”, la dichiarazione indiana diventa del tutto inapplicabile all’Italia: essa vale infatti solo e unicamente nei confronti di quegli Stati che non hanno fatto “controdichiarazioni”. Per chi avesse voglia, qui trovate tutte le dichiarazioni fatte dagli Stati.

Ma vagliamo tutte le ipotesi: non lasciamo nulla al caso.
Oltre a essere zona economica esclusiva, le 20,5 miglia marine in cui è avvenuto l’incidente potrebbero essere zona contigua. Più su abbiamo detto che in quest’area la giurisdizione dello Stato costiero sussisterebbe solo in materia doganale, fiscale, di immigrazione o sanitaria, oltre che in caso di violazione di passaggio inoffensivo. E qui l’India non ha giurisdizione per ben due motivi:
  • siamo di fronte a un caso di omicidio, non di questioni fiscali o le altre in elenco;
  • le violazioni di cui si parla debbono essere avvenute nel mare territoriale indiano. Tuttavia, se anche l’India concorda che l’incidente è avvenuto a 20,5 miglia, mi pare evidente che non siamo nel mare territoriale.
Dalla definizione a contrario di alto mare, abbiamo desunto che la zona contigua rientrerebbe nell’alto mare. Quindi, facendo un’altra finzione per assurdo, e ipotizzando che l’India non avesse costituito una sua zona economica esclusiva, l’incidente sarebbe avvenuto in pieno alto mare e si applicherebbe l’articolo 97 della Convenzione che ho citato nel mio precedente articolo.

E, infine, l’ultima ipotesi: e se tutti quanti si fossero sbagliati e l’incidente fosse avvenuto nel mare territoriale indiano, chi avrebbe la giurisdizione?
Ebbene, l’articolo 27 della Convenzione è lapidario:
"Lo Stato costiero non dovrebbe esercitare la propria giurisdizione penale a bordo di una nave straniera in transito nel mare territoriale, al fine di procedere ad arresti o condurre indagini connesse con reati commessi a bordo durante il passaggio, salvo nei seguenti casi:
a) se le conseguenze del reato si estendono allo Stato costiero;
b) se il reato è di natura tale da disturbare la pace del paese o il buon ordine nel mare territoriale;
c) se l'intervento delle autorità locali è stato richiesto dal comandante della nave o da un agente diplomatico o funzionario consolare dello Stato di bandiera della nave; oppure
d) se tali misure sono necessarie per la repressione del traffico illecito di stupefacenti o sostanze psicotrope.
Escludiamo sin da subito le ipotesi c) e d). Trattiamo prima l’ipotesi b): l’uccisione dei due pescatori ha disturbato la pace del paese o il buon ordine del suo mare territoriale? Lascio a voi la risposta, che mi sembra self-evident.
Ipotesi a): questa è in teoria l’unica ipotesi in cui, affermando che l’uccisione di due cittadini indiani produce conseguenze che si estendono allo Stato indiano, potrebbe in qualche modo sussistere la giurisdizione indiana. Tuttavia, per correttezza, devo evidenziare che l’articolo 27 si applica ai reati commessi a bordo della nave straniera: l’incidente dell’Enrica Lexie configura un reato che è stato commesso in parte a bordo di una nave italiana e in parte a bordo di quella indiana. Qui dovrei aprire la digressione su qual è il luogo considerato come luogo di commissione del reato: quello in cui l’autore ha compiuto l’azione (per intenderci dove i marò hanno sparato) o quello in cui si sono prodotti gli effetti del reato (dove i due pescatori sono morti)?
Ma non sarebbe utile ai nostri fini, dal momento che è indiscutibile ormai che l’incidente dell’Enrica Lexie non è avvenuto nel mare territoriale, bensì – ripeto – a 20,5 miglia marine dalla costa.

L’accenno al mare territoriale l’ho fatto solo e unicamente per dimostrare che già lì, nel mare territoriale, dove i poteri dello Stato costiero sono più forti, la giurisdizione penale gli spetta solo in determinati casi e non sempre. Figuriamoci quindi cosa avviene man mano che ci allontaniamo dal mare territoriale!?

La Convenzione sul Diritto del Mare parla ancora di giurisdizione penale solo in riferimento all’alto mare (l’ormai ultracitato articolo 97). Per tutte le altre porzioni di mare dice, invece, in quali materie lo Stato costiero ha giurisdizione (fiscali, sanitarie, ecc.): su tutte le altre materie lo Stato costiero NON ha giurisdizione, fatti penali inclusi. E il caso “Enrica Lexie” è un fatto penale.

di Irene Piccolo

Fonte: https://lnkd.in/dDQWXCJ

lunedì 14 settembre 2015

#Marò in India: STUPIDITA' O DILETTANTI ? di Antonio Adamo

Il ritrovamento tra gli atti della copia del referto dell’autopsia condotta dall’anatomopatologo K. S. Sisikala, che esaminò i cadaveri dei pescatori. Sisikala è un vero luminare della materia che ha dovuto eseguire decine di perizie necroscopiche di poveri pescatori crivellati da colpi di armi da fuoco sparati da pirati, dalla guardia costiera dello Sri Lanka o da concorrenti che ritenevano violati i propri spazi di pesca. Quel referto esclude che le ogive rinvenute nei cadaveri di Valentine Jelastine e di Ajeesh Pink fossero compatibili con i proiettili in dotazione ai Marò, tipicamente quelli di uso comune tra le truppe Nato. Per questo era stata fatto sparire, per cui si può essere certi che gli indiani si siano dimenticati di toglierlo dal mucchio di documenti depositati ad Amburgo come allegato no. 4.

“Il documento balistico esibito dagli indiani è stato palesemente e grossolanamente contraffatto”. La sua indagine parte dai “fermo immagine” scattati sui filmati trasmessi dal Tg 1 e dal Tg 2 della Rai. Per cominciare, Di Stefano aveva già fatto notare che le pagine mandate in onda si limitavano al frontespizio ed alle conclusioni, ovvero che non si fosse fornita nessuna immagine del testo. Nel passaggio riferito a Binki o Pink, una delle due vittime, si vedono addirittura due residui dello scritto originale parzialmente rimosso e sostituito. L’indicazione del mese e il nome sono sulla destra, mentre il resto del documento è ordinatamente allineato a sinistra. La stessa anomalia si ripete quando viene citato il reperto estratto dal cervello di Jelestine, l’altra vittima, a testimonianza del fatto che l’originale e la versione finale del documento non coincidono e non sono state redatte dalla stessa persona.

Il 7 e 62 lungo da 31 millimetri è il calibro delle pallottole in dotazione al mitra Pk di fabbricazione russa. L’arma è montata di serie sulle torrette delle piccole unità Arrow Boat in dotazione alla Guardia Costiera dello Sri Lanka.

Infine, nella documentazione prodotta ad Amburgo dagli indiani segnaliamo la perla più fulgida ed abbagliante prodotta dalla loro stupidità, figlia diretta della loro ottusa malafede. Non sapendo più a quale appiglio attaccarsi, gli indiani hanno cambiato impostazione e tattica circa la richiesta di giurisdizione sul caso. Per i Marò l’Italia ha chiesto il rispetto dell’immunità funzionale che taglierebbe la testa al toro e renderebbe inutile la disputa circa il riconoscimento della territorialità del luogo ove avvenne l’uccisione di Valentine Jelastine ed Ajeesh Pink. Infatti, se tale immunità funzionale fosse riconosciuta, e l’India stando alla normativa internazionale la DEVE riconoscere visto che è firmataria dell’Unclos III, il procedimento giudiziario non riguarderebbe più direttamente i Marò, ma aprirebbe un contenzioso tra i due governi e i due militari dovrebbero essere immediatamente rilasciati (si fa per dire, dopo tre anni e mezzo di sequestro). L’immunità infatti va riconosciuta ai funzionari in missione ufficiale in rappresentanza di uno Stato, i quali non sono responsabili delle conseguenze del loro operato se questo si svolge sul teatro operativo e nell’ambito di quanto disposto dal mandato per compiere la missione loro affidata.

Fonte: https://www.facebook.com/antada1?fref=nf

lunedì 7 settembre 2015

Le decisioni del Tribunale del Mare sul caso dei Marò: coerenti o pilatesche?

Un osservatore poco attento e  non familiare con i contenuti del Diritto Internazionale marittimo, oppure qualche individuo un po’ fazioso sarebbe portato frettolosamente a dichiarare, come peraltro hanno fatto alcuni media nostrani e anche qualche insulso e tedioso talk-show, se non il fallimento di certo una sonora sconfitta delle istanze avanzate dall’ Italia con l’Arbitrato internazionale al Tribunale del Mare di  Amburgo. Nulla di più falso e fuorviante. 

L’Italia, dopo aver battuto tutte le strade della diplomazia e della politica internazionale, seppure in modo piuttosto ondivago e poco incisivo, e comunque con scarsi risultati, ha recentemente deciso di avviare – con un colpevole ritardo di oltre 2 anni-  l’Arbitrato internazionale previsto dall’UNCLOS, la Legge sul Mare, al fine di dirimere l’ormai annosa (sono passati oltre tre anni) questione con l’India riguardante i 2 Fucilieri di Marina Latorre e Girone, accusati di aver sparato ed ucciso 2 pescatori del Kerala scambiati per presunti pirati. 

E’ mai possibile che la nostra stampa non riesca a parlar chiaro, diretto, senza fuffa e senza raccontare quelle menzogne che si annidano fra le pieghe di fatti reali, seguendo sempre una concezione teleologica dell’informazione, basata su priorità utilitaristiche, di potere corrente, oppure del denaro? Evidentemente esistono dei limiti professionali e deontologici, mentre la stampa di altre nazioni, seppure con certi condizionamenti , riesce a fare informazione più ‘’pulita e meno asservita’’. 

Nel caso specifico basta leggere alcuni giornali indiani, e fra gli altri  ‘’ The Economic Times’’ che non va mai sul soft, ma è caratterizzato da inchieste piuttosto feroci, per rendersi conto della valenza del verdetto di Amburgo. Con un articolo dal titolo emblematico ‘’ settle the case, send the italians home’’ (risolvete il caso e rimandate gli italiani a casa), nel confermare la giustezza delle decisioni prese dal Tribunale ITLOS , innescato da Roma circa due mesi fa, prende atto delle determinazioni di tale consesso  ‘’India and Italy to suspend all court proceedings against the two marines’’; inoltre, in esito a quanto accaduto, sostiene che comunque si è trattato di un ‘’horrible misunderstanding’’ sulle norme dell’ antipirateria che l’India deve rispettare, senza pietismi, ma riconoscendo la buona fede italiana.

Addirittura arriva a proporre che, nelle more di preparare i relativi rapporti per l’ITLOS – il predetto Tribunale- entro il 24 settembre pv, l’India, pur continuando a sostenere le proprie ragioni , rilasci da subito i 2 FCM  di fatto detenuti da tre anni e mezzo, facilitando così una ‘’compensazione di buona volontà’’ offerta da Roma alle famiglie dei due poveri pescatori deceduti, al fine di rendere l’atmosfera meno ostile e favorire la conclusione del contenzioso. Considerazioni di pregio che portano a favorire il rientro di Girone, quale misura collaterale sostenuta dall’Italia, ma che al momento il Tribunale di Amburgo non ha potuto avallare per la mancanza, abbastanza condivisibile,  ‘’del requisito dell’urgenza’’.

Certo, tutti auspicavamo, a prescindere dalle regole, che l’ITLOS si esprimesse  a favore di un rientro immediato del FCM Girone ancora ‘’quasi ostaggio’’ di Delhi, in Italia o in un paese terzo, in attesa delle determinazioni di quel Tribunale circa la giurisdizione, ma oggettivamente sarebbe stata una forzatura procedurale che esulava dalle stesse competenze di quel consesso. Tale richiesta era stata comunque avanzata dalla delegazione italiana, come secondaria rispetto a quella primaria che riguardava la definizione della giurisdizione, e quindi la titolarità italiana a processare i due FCM. Chiaramente tutti gli italiani, o quasi, avrebbero gradito, e Girone per primo, una decisione favorevole sia in merito alla giurisdizione, sia al suo rientro; altri hanno gridato scioccamente al solito ‘’cerchiobottismo’’ e ad una sentenza pilatesca lasciando prevalere l’ignoranza e, forse, i più onesti,  il cuore sul cervello. Qualcuno ha detto che l’ITLOS ha’’ deciso di non decidere’’, mentre tale Tribunale ha oggettivamente deciso in modo coerente ed equanime nell’ambito delle proprie competenze: decidere diversamente equivaleva a debordare dai propri compiti, abusando di un’autorità che formalmente non possedeva.

Infatti la decisione primaria per cui ‘’l’Italia e l’India devono sospendere ogni azione e qualsiasi iniziativa giudiziaria che possa aggravare la disputa in essere’’ è assai importante in quanto vieta all’India, che ha sempre sostenuto di voler e dover processare i due fucilieri, di perseverare in qualsiasi azione processuale nei loro riguardi: una decisione che preluderebbe ad una ‘’sostanziale’’ futura svolta a favore della giurisdizione italiana. Tuttavia non c’è da farsi illusioni poiché la strada dell’Arbitrato internazionale è lunga, tortuosa e nulla può essere dato per scontato, tutt’altro! Di certo se l’avessimo avviato oltre due anni e mezzo fa, forse oggi  saremo fuori da questa fastidiosa e involuta situazione, e le occasioni non sono mancate. Se nell’imminenza del permesso Pasquale del marzo 2013, il Governo in carica  avesse  trattenuto in Italia i due FCM e magari avviato un regolare processo, tenuto conto che sussistevano gli estremi giuridici per farlo – come aveva ribadito il Ministro della Giustizia pro-tempore Severino con un documento che solo poco tempo fa è venuto alla luce-  con la contestuale richiesta dell’Arbitrato internazionale, anche la situazione dei due FCM sarebbe stata del tutto diversa, e molto probabilmente risolta.

L’invocata ‘’condizione’’ di averli in Patria sarebbe stata superata ‘’ab origine’’, non restituendoli coattivamente agli indiani, e le nostre suppliche sulla giurisdizione  avrebbero avuto un diverso peso e rilevanza: la restituzione è stata invece letta, anche da alcuni giuristi, come un’implicita ammissione della titolarità indiana nel processarli. Nel napoletano si direbbe, non a torto: ‘’c…ti e mazziati’’!   Né sotto il profilo giuridico può avere valore quella fola sulla ‘’parola data’’, mentre in realtà si trattava di un ‘’affidavit’’ possibilista, attuabile solo e soltanto se non in contrasto con la nostra Costituzione (cosa che invece era, come ha sottolineato la stessa Severino, in quanto si trattava di estradarli in un Paese ove vigeva la pena capitale, oltre al fatto  che ‘’i rilevamenti satellitari’’ confermavano che la posizione della Lexie era in acque internazionali, soggetta unicamente alla legge di Bandiera-italiana!): una occasione perduta con un voltagabbana incredibile, restituendo al patibolo indiano due poveretti che probabilmente non c’entrano nulla con quell’evento!    

Di responsabilità politiche, della magistratura e di alcuni Vertici militari, l’odissea dei due FCM è lastricata come la via dell’Inferno; qualcuno si è difeso sostenendo che ‘’non si può venir meno alla parola data’’ mentre in realtà, con tutto ciò che in seguito è emerso, l’Italia poteva tranquillamente tenersi a casa i due fucilieri, e non svenderli per un pugno di lenticchie o per alcuni elicotteri, poi, mai venduti. Nessuno, in questa nostra democrazia ‘’inferiore’’ a quella  ‘’grande’’ indiana, si è mai preoccupato di fare luce sul sinistro e pervenire a capo della vera verità e delle correlate omesse responsabilità politiche o anche militari, con una mirata Commissione di Inchiesta parlamentare, pur considerando di non interferire con le attività processuali in corso. 

E’ mai possibile che in questo Belpaese tutto passa sottobanco, si riduce ‘’a bottega’’ e nessuno risponde di errori o malefatte nei confronti di due nostri figli che oltre ad essere stati arrestati illegittimamente, sono stati rigettati nelle mani avversarie per ben due volte, mentre tutt’intorno è silenzio rotto in modo estemporaneo da qualche telefonata di prammatica da parte dei neo eletti Ministri? Anzi, spesso vediamo, per assurdo, che chi era allora nelle posizioni decisorie ed ha consentito quelle nefandezze, è stato in seguito gratificato con incarichi di prestigio, politici o industriali, sicuramente prezzolati, ma assai poco meritati. 

Sono passati 3 governi, 5 Miniesteri, 3 Ministri della Difesa che, tergiversando per oltre tre anni, sono risultati inconcludenti e senza mai che qualcuno si assumesse l’onere di dichiarare l’ innocenza dei due fucilieri, almeno fino a prova contraria, tipico dovere di un Paese civile e con la schiena dritta, a tutela dei propri figli; anzi abbiamo avuto Miniesteri che l’hanno messa indubbio palesemente ( la Bonino) ed altri che, con bizantinismi degni di un paese del Quarto mondo, li hanno considerati aprioristicamente colpevoli  (dall’onorevole Pistelli al duo Manconi-Galan) per essere giocati come ‘’baratto’’ con altri delinquenti indiani detenuti in Italia su tavoli negoziali internazionali, senza tener di conto della giurisdizione e neppure della loro immunità funzionale, e ancor meno della sconosciuta  dignità e del supremo concetto dell’onore del militare!

Troppo facile  e profondamente ingiusto criticare ora l’ITLOS  da parte dei soliti detrattori da strapazzo; nonostante tali precedenti colpevolizzanti cui si sommano le reiterate violazioni perpetrate dagli indiani – dall’ingresso ingannevole della Lexie in acque territoriali, al sequestro delle armi di un altro Stato, all’arresto coatto di due soldati in missione istituzionale, alla elargizione ex-grazia di somme alle famiglie dei pescatori ed al proprietario del peschereccio San Antony, alla presa per i fondelli della perizia balistica, alla sparizione dei proiettili e dei video-filmati, e via dicendo…. noi, ora, pretendiamo  che  l’ITLOS  ce li restituisca senza una robusta e sostanziale motivazione, e con un suo proprio abuso di potere!                       

Davvero poco giusto e assai poco corretto. Tutti sproloquiano  a ruota libera, molti confidano ancora nello stellone italico,  ma gli oneri sono e restano tutti a carico dei 2 fucilieri, checché se ne dica!

I due FCM hanno già pagato sulla loro pelle un costo psico-fisico di detenzione ultratriennale nelle ‘’oasi indiane’’; il povero Latorre con un grave ictus ed un successivo intervento cardiologico da cui deve ancora riprendersi, mentre Girone è stato recentemente colpito dall’influenza virale  Dengue di cui sta soffrendo i postumi nella situazione di ‘’ostaggio’’  a Delhi, che di certo non l’aiuta.   Per il momento, quindi l’ITLOS ha fatto il suo mestiere, rilanciando alla fine del mese, quando avrà maggiori elementi per decidere più compiutamente, nell’assunto che tuttavia dovrà essere un Tribunale arbitrale in via di costituzione all’Aja – secondo quanto previsto dall’ Allegato VII alla Convenzione UNCLOS sulla legge del Mare, invocato formalmente dall’Italia-  che dovrà esprimersi nella sostanza e nel merito, sia sulle competenze giurisdizionali che sulle misure accessorie cautelari riguardanti direttamente i due FCM.  Ma anche là, a scanso di equivoci, tale consesso  si esprimerà sulla giurisdizione e anche sulle misure cautelari riguardanti i due FCM, ma non sull’innocenza o sulla colpevolezza dei due fucilieri in quanto dovrà essere un Tribunale competente per giurisdizione, si spera italiano, per un definitivo  giusto processo.

La nottata dell’Aja dovrà  passare e il tempo  dovrà pur essere galantuomo nei loro confronti, anche se leggendo l’interessante, recentissimo e documentato libro di Toni Capuozzo su ‘’I segreti dei Marò’’ ci sono aspetti, dubbi imponderabili e intrecci particolari che fanno rabbrividire; in sostanza sembra  che stiamo tentando di processare due nostri figli senza capi d’accusa, e probabilmente estranei alla morte di quei due pescatori ed al sinistro Lexie-San Antony, atteso che sussistono tali e tante discrasie, sulle posizioni relative dei bastimenti, sulla tempistica degli eventi, sulle ritrattate testimonianze, sulla perizia balistica farlocca, sulla sparizione dei bossoli e dei video dell’incidente,ecc: è assai probabile che i  2 FCM c’entrino come i cavoli a merenda, ma nessuno si è mai battuto per la loro estraneità e quindi per la loro innocenza!  Ciò, insieme con altri aspetti trattati diffusamente in tale testo, comprese le accuse ai Vertici militari ‘’d’aver fatto carriera sulla pelle dei marò’’, meritano riflessioni e commenti che -per questioni di spazi disponibili e per non appesantire inutilmente questo scritto-  saranno oggetto di un articolo a seguire il presente…continua!

di Giuseppe Lertora

Fonte: http://www.liberoreporter.it/

venerdì 4 settembre 2015

Chi dice che il Tribunale del Mare ha bocciato l’Italia mente o ignora.

Nel diritto l’interpretazione fa spesso da padrona. La cosa diventa ancor più minacciosa in una branca considerata astratta come il diritto internazionale. Tuttavia, nella vicenda dei Marò non c’è spazio per l’interpretazione, la norma è chiara.

L’India ha violato più di una volta il diritto internazionale nel corso di questa vicenda e, al suo posto, avrei un certo timore di quella che potrà essere la decisione del tribunale arbitrale.

Il comportamento indiano ha infatti mostrato al mondo un brutto vizio, piuttosto noto nel common law (il diritto anglosassone) e riassumibile nel principio “male captus, bene detentus”. In base a questo principio, anche se uno Stato cattura una persona in netta violazione del diritto (male captus), può comunque processarla (bene detentus).

Ebbene, già solo con l’arresto dei Marò l’India ha fatto un poker di violazioni(inseguimento dell’Enrica Lexie non iniziato nel mare territoriale indiano; arresto di due persone coperte da immunità funzionale; sequestro di beni appartenenti allo Stato italiano – le armi dei Marò!; arresto per fatti che non rientrano nella giurisdizione dello Stato indiano dal momento che non sono avvenuti nel suo mare territoriale).
Vogliamo poi parlare di quello che è letteralmente stato il sequestro dell’ambasciatore italiano nel momento in cui il nostro governo si è rifiutato di far rientrare i Marò in India? Qui, il governo indiano ha violato la norma più sacra e antica del diritto internazionale: l’inviolabilità della figura dell’Ambasciatore!

Se l’ambasciatore di uno Stato si è comportato in maniera scorretta, o non ha mantenuto la parola data, o ha fatto qualcos’altro di sbagliato, tu India (o qualunque altro Stato al mondo) lo espelli dal tuo territorio come “persona non grata”, ma non lo sequestri!
Ad ogni modo, su questi e altri aspetti scriverò a breve un altro post. Oggi voglio concentrarmi sulla recente decisione del Tribunale del Mare (ITLOS).

La Convenzione di Montego Bay del 1982 sul Diritto del Mare, di cui sia Italia sia India sono Stati Parti, recita all’articolo 97, in maniera netta, che “in caso di abbordo o di qualunque altro incidente di navigazione nell'alto mare, che implichi la responsabilità penale o disciplinare del comandante della nave o di qualunque altro membro dell'equipaggio, non possono essere intraprese azioni penali o disciplinari contro tali persone, se non da parte delle autorità giurisdizionali o amministrative dello Stato di bandiera o dello Stato di cui tali persone hanno la cittadinanza”. Quindi, essendo i nostri fucilieri di marina i presunti autori del reato, ed essendo la loro cittadinanza italiana, è più che evidente che la giurisdizione spetta all’Italia.
Vedete in questa disposizione dei margini di interpretazione? Qualcosa che lasci anche solo un piccolo appiglio all’India per affermare la sua giurisdizione esclusiva? Bene, neanch’io..
Passiamo al punto successivo: cosa fa il Tribunale del Mare?

Esso decide sulle controversie sorte in merito alle norme delle Convenzione sul Diritto del Mare; ma non in via automatica! Quando sorge una controversia, gli Stati debbono innanzitutto cercare di trovare una soluzione con mezzi pacifici. Quando però una controversia langue, ci si può rivolgere a una struttura terza, che può essere (articolo 287):
a) il Tribunale internazionale per il diritto del mare;
b) la Corte internazionale di giustizia;
c) un tribunale arbitrale costituito conformemente all'Allegato VII;
d) un tribunale arbitrale speciale costituito conformemente all'Allegato VIII.
Se le parti trovano un accordo sul giudice cui rivolgersi, nessun problema. Ma se le parti non si accordano (ed è questo il nostro caso, visto che l’India rifiuta assolutamente l’internazionalizzazione della vicenda), la controversia “può essere sottoposta soltanto all'arbitrato conformemente all'Allegato VII” (comma 5) dal momento che “si deve ritenere che uno Stato contraente, che è parte di una controversia non coperta da una dichiarazione in vigore, abbia accettato l'arbitrato conformemente all'Allegato VII”( comma 3). L’India, al momento della sua adesione alla Convenzione sul Diritto del Mare non ha presentato alcuna dichiarazione in cui rifiutava tale tipo di arbitrato, quindi adesso non può rifiutarsi di sottoporvisi.

Ebbene, l’Italia alcuni mesi fa, e con gravissimo ritardo, ha deciso di procedere, scegliendo la soluzione c), quindi l’arbitrato previsto dall’Allegato VII e non il Tribunale del Mare (soluzione a). L’India si è opposta, ritenendo se stessa e solo se stessa competente a decidere sul caso dei Marò.
Ma,allora, per quale motivo il Tribunale del Mare si è pronunciato lo scorso 24 agosto?

Ai sensi dell’articolo 290 della Convenzione di Montego Bay, mentre un tribunale arbitrale investito di una controversia si sta costituendo “qualunque corte o tribunale designato di comune accordo dalle parti o, in difetto di tale accordo [ed è ovviamente il nostro caso!], entro un termine di due settimane dalla richiesta delle misure cautelari, il Tribunale internazionale per il diritto del mare può adottare, modificare o revocare le misure cautelari se ritiene, prima facie, che il tribunale da costituire avrebbe la competenza e che l'urgenza della situazione così esiga”.

Così, visto che non c’è stato accordo, solo al Tribunale del Mare l’Italia poteva chiedere le misure cautelari e, alla fine, ne ha chieste due:
1.La sospensione di tutte le procedure amministrative e giudiziarie da parte dell’India contro i Marò in attesa della decisione del tribunale arbitrale;
2. La libertà di movimento (compresa quindi la possibilità di tornare in Italia) per Salvatore Girone e la libertà di rimanere in Italia per Massimiliano Latorre finché il tribunale arbitrale non decide.
La prima c’è stata concessa, senza remore, dal momento che il Tribunale del Mare ha ritenuto competente il Tribunale arbitrale, checché ne dicesse l’India.
La seconda no. Ma perché no?

Come recita l’ultimo articolo che vi ho riportato, il 290, la misura cautelare è concessa solo se “l’urgenza la esiga”.  Pur non essendovi alcun dubbio che la limitazione della libertà personale dei due fucilieri sia una lesione dei diritti umani, e che la irragionevole durata del processo da parte dell’India sia una lesione dei loro diritti processuali, si può parlare di “urgenza”?
Lo stesso tribunale decise in modo diverso nel caso, citato dall’Italia stessa, dell’Arctic Sunrise. Caso in cui degli ambientalisti che protestavano, a bordo di una nave battente bandiera olandese, contro le trivellazioni nell’Artico iniziate da Gazprom, erano stati arrestati. Nonostante la mia simpatia per i Marò, non riesco ad assimilare le due condizioni: Latorre è in Italia e Girone è sì agli arresti domiciliari, ma pur sempre all’interno di un’ambasciata; mentre gli attivisti stavano nelle carceri russe, che non spiccano né per la bontà dei metodi di trattamento né per la trasparenza.

Se provo a mettermi nella testa dei rappresentanti italiani, interpreto la richiesta della seconda misura cautelare come qualcosa di simile a quelle che, nella nostra procedura civile e penale, prendono il nome di richieste sussidiarie. Cioè, la mia richiesta principale, quella a cui tengo di più, è che tu, Tribunale del Mare, faccia sospendere all’India le procedure e dichiari la giurisdizione prima facie dell’arbitrato internazionale. Poi, in via secondaria, sussidiaria, io provo a metterci anche quest’altra richiesta (la libertà per i Marò in attesa del giudizio), e se va va!

Ma indipendentemente da tutto ciò, la vera vittoria, secondo me, sta nelle ragioni per le quali il Tribunale del Mare ha accolto la prima delle richieste italiane.
L’India per tutto il procedimento ha affermato solo e unicamente la propria giurisdizione, ritenendo che la vicenda fosse fuori dalla Convenzione del Diritto del Mare e che quindi nessun giudice internazionale potesse metterci becco.

E invece il Tribunale ha risposto picche! Il Tribunale le ha detto: “Cara India taci e rispetta per una volta in tutta questa vicenda le regole a cui ti sei vincolata! Cara India,la giurisdizione non è solo tua. Su questa vicenda può pronunciarsi un giudice internazionale, e sarà questo giudice a decidere se sarai tu India oppure sarà l’Italia a processare i Marò!”

Chi si aspettava che il Tribunale decidesse sulla vicenda dei Marò sbagliava, perché il tribunale in questo caso non poteva farlo. E neppure il Tribunale arbitrale dell’Aja potrà dire se i Marò  sono colpevoli o innocenti dell’omicidio dei pescatori indiani. Il tribunale arbitrale, infatti, applicando la Convenzione sul Diritto del Mare, potrà solo dirci a chi spetta la giurisdizione: sarà un tribunale italiano a processare i Marò o sarà un tribunale indiano?

di Irene Piccolo

Fonte: http://www.ameimportasoltantodisapere.com/#!%E2%80%9CChi-dice-che-il-Tribunale-del-Mare-ha-bocciato-l%E2%80%99Italia-mente-o-ignora%E2%80%9D/c1n6/1

giovedì 3 settembre 2015

#Marò in India: Facciamo chiarezza sull'ordinanza del Tribunale Internazionale del Diritto del Mare

“Stampando una notizia in grandi lettere, la gente pensa che sia indiscutibilmente vera.”
(Jorge Luis Borges)


Dott. Carmelo Cataldi - Da qualche giorno e precisamente dallo stesso pomeriggio del 24 agosto scorso, data in cui il Tribunale Internazionale del Diritto del Mare di Amburgo ha emesso l’ordinanza n. 24 (le des affaires n. 24, L’INCIDENT DE L’« ENRICA LEXIE » ITALIE c. INDE), in Italia, soprattutto, si è scatenata una ridda d’interventi, autorevoli e non sulla vexata questio, che in alcuni casi è sembrata essere, per i livelli e le similitudini, pari a quando, alle tornate elettorali escono i primi exit pool e tutti incominciano ad arrogarsi competenza e vittoria sulle altre parti.
Insomma, allo stesso modo di un dopo partita, partita che nel caso specifico ancora nemmeno è iniziata, i soliti soggetti di turno si sono arrogati interpretazioni e risultati, alcuni assumendosene in parte anche una potestà potenziale e morale, rimbalzati sui quotidiani con titoli dal seguente tenore:
"Marò, il Tribunale del Mare di Amburgo ordina all'India di fermare il processo. Salvatore Girone rimane a Nuova Delhi". (L’Huffington Post: 24 agosto 2015, 11:56)
Marò, il primo verdetto del Tribunale di Amburgo: "Fermare processo in India, ma Girone resta a Delhi- I giudici hanno chiesto di "sospendere ogni iniziativa giudiziaria in essere". Respinta la richiesta italiana di revocare le misure temporanee sui due ufficiali: "Spetta all'Aja decidere nel merito". Il ministro degli Esteri Gentiloni: "E' un risultato utile, continueremo a lavorare per la libertà dei due fucilieri.. (La Repubblica, 24 agosto 2015)
Marò, Tribunale di Amburgo: “India non può giudicare”. Ma Girone non torna in Italia LAgente del Governo italiano, Francesco Azzarello: "Bene lo stop del tribunale del mare alla giurisdizione indiana, delusione per la mancata adozione di misure per Girone e LatorreIl tribunale di Amburgo non assumerà nessuna misura temporanea sui marò in attesa della conclusione dell’iter giudiziario.. (Il Giornale 24 agosto 2015, 13:37)
Marò, la sentenza del Tribunale del Mare: Girone e Latorre non rientreranno in Italia, processo con corte internazionale.. (Libero 24 agosto 2015)
Giulio Terzi, ministro degli Esteri per il governo Monti quando accadde il fatto dei marò, affida a Facebook le sue critiche:
Il Tribunale di Amburgo NON HA accolto la tesi Indiana sulla giurisdizione esclusiva dell'India, ha disposto che le parti debbano "sospendere ogni procedura in corso sul dossier" - di fatto bloccando le attività dei Tribunali in India sui due marò - e ha fissato come termine il 28 settembre per esaminare ulteriori documenti e approfondimenti sul dossier... Il Governo italiano dichiarò che questa dell'Arbitrato Internazionale era l'ultima carta da giocare: gli esiti di oggi - dopo 3 anni di inutili ritardi! - hanno dimostrato che questa carta doveva essere LA PRIMA, esattamente come da iniziativa della Farnesina in quell'ormai lontano marzo 2013Ora il 28 settembre vi sarà un'udienza di approfondimento, nelle quali le parti dovranno fornire alla Corte ulteriori elementi… AVANTI COSI', A TESTA ALTA, CON LA DIFESA DEI NOSTRI SOLDATI E DELL'INTERESSE NAZIONALE!“.”, da (Marò, il Tribunale del Mare di Amburgo ordina all'India di fermare il processo. Salvatore Girone rimane a Nuova Delhi - L'Huffington Post: 24 agosto 2015, 11:56).

Da queste prime battute di ordine giornalistico si denota subito una scarsa conoscenza (ci auguriamo colposa e non volontaria) delle dinamiche processuali del Tribunale Internazionale del Diritto del Mare e soprattutto dell’Arbitrato Internazionale affidatogli per convenzione.
Se i vari e in parte autorevoli commentatori avessero avuto a mente la Convenzione di Montego Bay si sarebbero subito resi conto delle inesattezze riversate a caldo sulla vicenda dei due Marò. 
Infatti, leggendo testualmente quanto deciso dalla Corte il 24 agosto, con l’ordinanza nr. 24, si apprende che:
141. Par ces motifs, LE TRIBUNAL, 1) Par 15 voix contre 6, prescrit, en attendant la décision du tribunal arbitral prévu à lannexe VII, la mesure conservatoire suivante en application de larticle 290, paragraphe 5, de la Convention : LItalie et lInde doivent toutes deux suspendre toutes procédures judiciaires et sabstenir den entamer de nouvelles qui seraient susceptibles daggraver ou d’étendre le différend soumis au tribunal arbitral prévu à lannexe VII, ou de compromettre lapplication de toute décision que le Tribunal arbitral pourrait rendre ou dy porter préjudice;
e cioè : “141. Per questi motivi, il Tribunale, 1) con 15 voti contro 6, prescrive, in attesa della decisione del Tribunale arbitrale di cui all'allegato VII, il seguente provvedimento provvisorio ai sensi dell'articolo 290, comma 5°, della Convenzione: l'Italia e l'India devono tutte e due sospendere tutti i procedimenti legali e rinunciare ad avviarne di nuovi che possono aggravare o estendere la controversia sottoposta al Tribunale arbitrale di cui all'allegato VII, così da non compromettere l'esecuzione di qualsiasi decisione del Tribunale arbitrale potrebbe fare o comprometterla;”.
In buona sostanza, essendo stato avviato un arbitrato, da due parti convenute e su domande di entrambi le parti, il Tribunale, prima di avviare il giudizio arbitrale, quello secondo le regole previste all’annesso VII della Convenzione, ferma, con un ordinanza ai sensi dell’art. 290 c. 5° (5. Nelle more della costituzione di un tribunale arbitrale investito di una controversia ai sensi della presente sezione, qualunque corte o tribunale designato di comune accordo dalle parti od, in difetto di tale accordo, entro un termine di due settimane dalla richiesta delle misure cautelari, il Tribunale internazionale per il diritto del mare od, in caso di attività svolte nellArea, la Camera per la soluzione delle controversie relative ai fondi marini, può adottare, modificare o revocare le misure cautelari conformemente al presente articolo se ritiene, prima facie, che il tribunale da costituire avrebbe la competenza e che lurgenza della situazione così esiga.
Una volta costituito, il tribunale cui la controversia sia stata sottoposta, agendo conformemente ai numeri da 14, può modificare, revocare o confermare queste misure cautelari.) le attività giudiziali delle parti contendenti per non pregiudicare quelle successive dell’arbitrato o non gravarle di ulteriori attività. Ulteriormente la Corte ha ancora sanzionato:
2) Par 15 voix contre 6, décide que lItalie et lInde, chacune en ce qui la concerne, devront présenter au Tribunal, au plus tard le 24 septembre 2015, le rapport initial visé au paragraphe 138, et autorise le Président à leur demander, après cette date, tout complément d'information qu'il jugera utile";
e cioè: “ 2) Con 15 voti contro 6, ha deciso che l'Italia e l'India, ognuno per la sua parte, dovranno presentare al Tribunale entro il 24 settembre 2015, il rapporto iniziale di cui al paragrafo 138 (Considérant qu'en vertu de l'article 95, paragraphe 1, du Règlement, chaque Partie est tenue de présenter au Tribunal un rapport sur la mise en oeuvre de la mesure prescrite - Considerando che, a norma dell'articolo 95, paragrafo 1°, del Regolamento, ciascuna parte è tenuta a presentare al Tribunale una relazione sull'attuazione delle misure previste) e autorizzare il Presidente a chiedere loro, dopo tale data, tutte le informazioni supplementari che ritiene necessarie.”, ossia invita le parti a relazionare entro il 24 settembre 2015 sull’applicazione delle misure a loro richieste con la presente Ordinanza nr. 24 ed autorizzare il Presidente alle sue eventuali necessità di approfondimento della questione.

Da tutto ciò si deduce che da qui non ne esce alcun vincitore o sconfitto, come invece sembrerebbe di capire dai titoli precedenti e dai commenti, ma viene invece e giustamente realizzata, nelle forme ordinarie, quella fase procedimentale iniziale e prodromica al vero e propria arbitrato, che sarà sempre a cura dello stesso TIDM e non della Corte di Giustizia Internazionale, come qualcuno sembra voler proporre; peraltro occorre tener presente che, mentre l’Italia, in ragione dell’art. 287 della Convenzione di Montego Bay, ratificata sia dall’Italia che dall’India e l’Accordo adottato nel 1994, relativamente all’attuazione della Parte XI, ha scelto, per controversie del genere, di poter adire sia la Corte Internazionale di Giustizia che il Tribunale Internazionale del Mare, l’India, invece, in forza dell’art. 36 par. 2° dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia ha accettato, in forma vincolante, la giurisdizione della CIG e se non lo ha fatto finora non si capisce perché, dopo aver aderito all’arbitrato chiesto dall’Italia, dovrebbe accettare di trasferire a quella Corte un arbitrato che poi tale non sarebbe più con il trasferimento del contenzioso a quella giurisdizione internazionale.

Questo Tribunale arbitrale, previsto dall’Annesso VII, perché ne esiste anche un altro previsto dall’Annesso VIII successivo e che riguarda, ai sensi dell’art. 1 dello stesso Annesso, controversie pertinenti l’interpretazione o l’applicazione degli articoli della Convenzione rispetto alla pesca, alla protezione e preservazione dell’ambiente marino, alla ricerca scientifica marina o alla navigazione, incluso l’inquinamento da navi e da immissione, viene attivato quando vi sono solo due parti che lo richiedono ed hanno presentano al TIDM un contenzioso, così come meglio articolato nell’allegato che si riporta.
Insomma prima di dare adito a facili entusiasmi sarebbe stato magari più opportuno documentarsi e ricondurre l'evento nel giusto alveo giuridico e mediatico.
Ma forse aveva ragione lo scrittore francese Henri Béraud quando diceva che il giornalismo è un mestiere nel quale si passa la metà del tempo a parlare di ciò che non si conosce e l’altra metà a tacere ciò che si sa.

Scarica il testo dell'annesso VII